Lo sbarco in America di Morrison, la recensione di Animal Man 1
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Nel 1982 un giovane sceneggiatore inglese di nome Alan Moore aveva concepito, sulle pagine della rivista Warrior, un revival di Marvelman, vecchio personaggio della Silver Age inglese modellato sull’americano Captain Marvel della Fawcett Comics, poi passato nel catalogo della DC col nome di Shazam. Inconsapevolmente o meno, lo scrittore di Northampton aveva dato il via al cosiddetto periodo revisionista del fumetto supereroistico, che culminerà anni dopo ne Il Ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller e in Watchmen dello stesso Moore. La storia del fumetto americano prende una piega decisiva, che ne segna i futuri sviluppi, quando Len Wein, autore classico della Marvel e DC degli anni ’70 e allora editor-in chief di quest’ultima, chiama Moore al capezzale di un personaggio di sua creazione, Swamp Thing, la cui serie era sull’orlo della cancellazione. Fin dalla sua prima storia, Lezione di anatomia, che è tanto un titolo quanto una dichiarazione di intenti, Moore infonde alla serie della Cosa della Palude una qualità letteraria e un lirismo fino ad allora sconosciuti al fumetto americano mainstream, fatta eccezione per alcuni precursori come Don McGregor. Ma soprattutto, colpisce la visione critica nei confronti dell’american way of life fornita da un autore europeo. È esattamente quello che chiede una nuova generazione di lettori, cresciuta abbastanza da contestare, oltre ai genitori, anche le figure istituzionali ed ingessate del comicdom americano.
Il successo di critica e pubblico dei lavori di Moore è tale che i vertici della DC organizzano un tour in terra d’Albione alla ricerca di nuovi talenti, in grado di tirare a lustro qualche altro vecchio personaggio del proprio catalogo. La spedizione, capitanata dal presidente Jehnette Kahn, l’editor Karen Berger, futura responsabile della creazione della linea Vertigo, e il veterano Dick Giordano raccoglierà frutti prelibati nelle persone di giovani autori che di li a pochi anni diventeranno nomi di riferimento del settore come Neil Gaiman, Peter Milligan, Jamie Delano e, ovviamente, Grant Morrison.
È il 1987 e Morrison è l’autore di fumetti iconoclasti e provocatori come Zenith, il giovane supereroe creato per la rivista 2000 A.D., che preferisce le pagine dei rotocalchi o un’apparizione a Top of the Pops piuttosto che combattere per il bene comune. L’approccio del giovane Morrison al fumetto, contraddistinto da venature punk e anti-tatcheriane, è paragonabile al grido di Sid Vicious che fa consapevolmente scempio della classica My Way di Frank Sinatra. Esattamente il tipo di sensibilità che porterà con se nella sua prima avventura americana, Animal Man. La narrazione che Morrison stesso fa di quel viaggio in treno che lo porta dalla natia e per molti aspetti provinciale Glasgow fino a Londra per incontrare la dirigenza DC è entrato nella mitologia dei “dietro le quinte” della storia del fumetto, e lo immaginiamo simile al tragitto che Jimmy Somerville dei Bronski Beat compie nel videoclip della coeva Smalltown Boy mentre si allontana, per sempre, da una ristretta dimensione di provincia. Durante il viaggio Morrison pensa su quale personaggio del catalogo DC incentrare una proposta, e dai suoi ricordi di bambino avido lettore di fumetti americani emerge il personaggio di Animal Man, apparso per la prima volta sull’antologica Adventure Comics, character dalle caratteristiche al limite del ridicolo di cui Morrison può essere moderatamente certo di essere uno dei pochi a serbarne memoria. Il funzionamento dei poteri del buon Buddy Baker, infatti, è molto semplice: assorbire le capacità di qualsiasi animale si trovi nelle vicinanze. Il lancio della nuova serie di Animal Man è quindi a rischio zero, salvo che per la reputazione di Morrison e la possibilità futura di ritagliarsi un posto al sole nell’industria del fumetto americano: in caso di insuccesso, l’alter-ego di Buddy Baker sarebbe semplicemente tornato nel dimenticatoio da cui l’autore scozzese l’aveva prelevato. Per fortuna di Morrison, della DC e dei lettori, nulla di tutto questo accadde.
Alan Moore aveva dimostrato, nel suo ciclo di Swamp Thing, che il fumetto mainstream poteva essere un contenitore di tematiche adulte e attuali, come quelle a sfondo ecologiche e ambientaliste. Morrison segue la scia del Bardo di Northampton, scegliendo un personaggio così naif da prestarsi ad essere l’avatar dell’impegno civile del Morrison di quel momento. Emergono nettamente, nella prima sequenza di storie ospitate dal volume con cui RW Lion ripropone al pubblico questo fondamentale ciclo, le posizioni dell’autore contro la vivisezione, in un momento in cui Morrison sta per diventare vegetariano, scelta che viene fatta propria anche dall’eroe protagonista, identificazione tra scrittore e il suo personaggio di cui si contano pochi precedenti. Meat is Murder, cantano in quegli anni gli Smiths e il loro leader Morrissey, ispirazione fondamentale nella carriera di Morrison che sarà evidente anche in prove successive. Ritroviamo molte delle esperienze della vita di Morrison nell’esistenza quotidiana di Buddy Baker, outsider che vive in una villetta di periferia con moglie e figli, lontano dalle metropoli in cui agiscono gli altri eroi del DC Universe, tra vicini annoiati perennemente collocati su una sdraio a bordo piscina o alle prese con qualche barbecue. Come Moore prima, l’autore scozzese comincia presto la decostruzione non solo del fumetto supereroistico mainstream, ma dello stesso stile di vita americano, basato su una violenza innata che si annida anche un luoghi apparentemente insospettabili e tranquilli. È il caso del rischiato stupro della moglie di Buddy, colpevole solo di essersi avventurata nel parco vicino alla sua abitazione, da parte di un gruppo di violenti cacciatori, situazione salvata solamente dall’intervento del vicino.
Se le prime quattro storie costituiscono un corpus a parte, in cui Morrison, attraverso didascalie poetiche ed ispirate, tenta di imitare il lirismo tipico di Moore e si prodiga a favore della difesa dei diritti degli animali, nel quinto episodio, Il Vangelo del Coyote, l’autore opera una svolta verso un surrealismo meta-narrativo che sarà il tratto caratteristico di tutta la sua produzione successiva. Trovate come quella del coyote dei cartoni animati giunto per caso nella nostra dimensione che si immola cristologicamente per la salvezza del mondo possono esistere solamente nel mondo morrisoniano: d’altronde parliamo dell’autore che, nella successiva Doom Patrol, farà scontrare il gruppo protagonista contro una “confraternita” di cultori del dadaismo. Già in questo volume troviamo tracce del Morrison che sarà, lisergico e citazionista, colto e surrealista. Dove trovare, peraltro, un alieno di Thanagar (il pianeta da cui proviene Hawkman) che minaccia la terra con una bomba modellata sulla teoria dei frattali, citando inoltre l'esoterista Alesteir Crowley, altro "nume tutelare" dell'autore? Il tutto inserito nel contesto del DC Universe del 1987. Siamo in era pre-Vertigo e le testate DC rivolte ad un pubblico maturo vivono ancora nello stesso universo di Batman, Superman e soci. Ecco quindi apparire Martian Manhunter, che recluta Animal Man per la Justice League, il villain Mirror Master e lo stesso Uomo d’Acciaio in un rapido cameo. Uno scenario composito nel quale Buddy Baker sembra aggirarsi spaesato e attraversato da un persistente senso di inadeguatezza.
Se leggendario è il peso avuto da queste storie nella storia del fumetto americano, lo è altrettanto l’imperizia grafica del suo disegnatore, Chas Truog. Narra la leggenda che Truog sia stato scelto proprio per le sue scarse capacità, in modo che i suoi non eccelsi disegni non distogliessero il lettore dai testi di Morrison. E il caso divenne paradigmatico di come a volte pessimi disegni non solo non pregiudicano un ottimo script, anzi lo esaltano. In alcune episodi, per fortuna, Truog viene sostituito dal buon Tom Grummett, veterano della DC conosciuto per il suo lavoro su Teen Titans e Superman.
Riletto a 30 anni dalla sua uscita, Animal Man non ha perso nulla di quella carica iconoclasta e detonante che investì il fumetto americano, sconvolgendolo per sempre.