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A caro prezzo. Bella Ciao 1-3, recensione: il memoir familiare sull’immigrazione italiana in Francia

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Strano destino quello di Hervé Barulea, in arte Baru. Colui che ora è un celebrato maestro della bande dessinée, insignito nel 2010 del prestigioso Grand Prix de la ville d’Angoulême (vinto, tra gli altri, da artisti del calibro di Enki Bilal, Moebius e Will Eisner), sembrava non ritenere il fumetto il mezzo d’espressione adeguato al genere di storie che aveva in mente di raccontare. Eppure, fu proprio la natura popolare delle Nona Arte – scoperta poco dopo i vent’anni, appassionandosi alle avventure di Tintin e Spirou - unita all’approccio più adulto con cui alcuni autori europei e sudamericani decisero di caratterizzare le proprie opere a cominciare dagli anni Settanta, che gli fecero cambiare idea, permettendogli di imporsi, nel tempo, come il cantore a fumetti delle periferie operaie francesi, soprattutto quelle contrassegnate da una folta rappresentanza di migranti. Una sorta di Ken Loach della letteratura disegnata, insomma, che già con il suo primo lavoro di un certo spessore, Quéquette Blues, apparso a episodi sulle pagine di Pilote a partire dal 1983, pose le basi per quella che sarebbe diventata la sua poetica, un misto di critica sociale, condanna della xenofobia ed esaltazione degli umili, dove commedia – di frequente declinata in forma di satira – e dramma si muovono ripetutamente a braccetto, dentro una narrazione libera da schemi precostituiti, che, tuttavia, non rinuncia a una messa in scena teatrale o all’utilizzo di personaggi curiosi e bizzarri, a dispetto di numerosi spunti autobiografici, che derivano dall’essere lui stesso – così come molti componenti della sua famiglia – parte di quel mondo.

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Tanti elementi che ritroviamo, al loro apice, in A caro prezzo, titolo con il quale Oblomov ha pubblicato in Italia (in maniera esemplare per stampa e confezione, come è consuetudine della casa editrice bolognese) l’opera in tre volumi Bella Ciao, uscita originariamente in Francia per Futuropolis tra il 2020 e il 2022. Il fumetto, frutto di un accurato lavoro di documentazione, durato parecchi anni, non si limita a riprendere ogni tema prediletto dall’autore transalpino, ma ne amplifica il sottotesto, incastonando una cronaca familiare multigenerazionale all’interno di una lunga epopea storica, che inizia con la rievocazione dei tragici eventi di Aigues-Mortes, un paesino nel sud della Francia, dell’agosto del 1893, quando alcuni abitanti del luogo massacrarono diversi immigrati italiani, che lavoravano nelle vicine saline di Fangouse. Un’introduzione brutale, raccontata con cruda essenzialità, la cui cupezza viene, però, presto ribaltata dall’allegria del banchetto per la Prima Comunione di Teo Martini, uno dei personaggi principali, oltreché, in vari passaggi, voce narrante dell’opera. Ambientata negli anni Sessanta del secolo scorso, la festa rappresenta non solo l’occasione per fare la conoscenza di molti dei protagonisti della vicenda, ma anche per tornare a respirare il forte spirito di fratellanza che unisce le comunità di stranieri, con cui Baru ha spesso caratterizzato i suoi lavori precedenti. In A caro prezzo questo legame diventa, esplicitamente, l’unico antidoto possibile per dimenticare le difficoltà a integrarsi fuori dalla propria terra d'origine, per riuscire a ignorare l’ostilità della popolazione locale, per mitigare l’irrefrenabile desiderio di fare ritorno in patria o, più semplicemente, per cercare di preservarne le tradizioni (che può significare anche solo tramandare le ricette di cucina apprese da nonni e genitori).

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Un’alternanza continua di flashback e di salti nel futuro, concepiti quasi come dei piccoli racconti autoconclusivi, ci mostrano poi le vicissitudini di vari personaggi, con la storia del Novecento sullo sfondo a inquadrarle in un’epoca precisa. E così, le brigate garibaldine accorse in difesa della Francia assediata dall’Impero austro-ungarico all’inizio della Prima Guerra Mondiale, lasciano rapidamente spazio all’aspro scontro tra comunisti e fascisti negli anni Trenta, fino ad arrivare agli anni Sessanta, dove giovani più interessati a ballare il rock and roll paiono non preoccuparsi della perdita di un’identità politica ben definita. Esistenze diverse e stili di vita agli antipodi che, tuttavia, trovano il loro elemento unificatore nell’enorme impianto siderurgico che sostiene l’intera comunità. Un ulteriore tema ricorrente per Baru, che questa volta dipinge il gigante metallico in maniera fortemente ambivalente: unica speranza di sfuggire alla miseria contadina, ma, nello stesso tempo, inesorabile condanna per chi non ha altre alternative.

L’imponenza della struttura viene rappresentata attraverso vignette a tutta pagina molto suggestive, in particolare la doppia tavola che ne mostra la demolizione, evento liberatorio e, insieme, doloroso, che funge anche da chiusura del cerchio per la vicenda nel suo complesso. Le parole usate da Teo Martini nel primo libro, rammentando la sua infanzia, vengono infatti riprese integralmente nell’epilogo, al fine di trasmettere nel lettore il profondo disagio provato dal personaggio nel vedere scomparire lo stabilimento in cui intere generazioni della sua famiglia hanno lavorato instancabilmente per assicurare a lui e ai suoi coetanei un futuro migliore. Un futuro che si concretizza subito dopo in modo alquanto surreale: gli ex macaronì (termine dispregiativo utilizzato oltralpe per indicare gli immigrati italiani) perdono gradualmente di colore e di consistenza, divenendo infine indistinguibili dal resto dei francesi. I sacrifici, le rinunce e le fatiche di chi parecchi anni prima aveva dovuto abbandonare il Bel Paese in cerca di un’occupazione risuonano come un ricordo lontano, percepibile soltanto in qualche sbiadita fotografia in bianco e nero, ma destinato a sparire a breve nelle nebbie del tempo. Una conclusione agrodolce che celebra la normalità delle persone comuni, da sempre ignorate dai libri di storia a dispetto del ruolo fondamentale da loro svolto nell’edificare l'identità di una nazione.

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Di fronte ad argomenti di così ampio respiro, Baru sceglie saggiamente di lasciare meno spazio agli eccessi grotteschi, all’umorismo nero e al linguaggio scorretto, tipici di gran parte delle sue opere precedenti e anche il suo caratteristico tratto sporco, irregolare e poco attento al rispetto delle anatomie, in qualche misura ispirato a quello del suo mentore José Muñoz, sembra quasi addolcirsi, per quanto costantemente pronto a riemergere a ogni esplosione di gioia o nelle ingenue manifestazioni di cialtroneria popolare.
Consapevole, inoltre, che questo suo monumentale lavoro di ricostruzione possa essere scambiato per un semplice racconto nostalgico, prima di congedarsi l’autore italo-francese decide di tornare all’eccidio di Aigues-Mortes, alludendo a quanto la superficialità, la mancanza di memoria storica e l’opportunismo politico spingano l’umanità a ripetere di continuo i propri errori. Un messaggio lucido e apparentemente incontestabile, ma che contrasta nettamente con la realtà e con l’ipocrita afflizione dei governi europei davanti a ogni conta dei morti, dopo l’ennesimo naufragio di migranti nel Mediterraneo.

A ulteriore certificazione del valore dell'opera, chiudiamo ricordando che, durante la recente edizione primaverile di Romics, il terzo volume di A caro prezzo si è aggiudicato il Premio Speciale della Giuria.

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