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303

Pubblicato un paio di anni fa da Magic Press, 303 è uno di quei volumi che corre il rischio di restare di esclusivo appannaggio della stretta cerchia di fan hardcore dello sceneggiatore Garth Ennis. In effetti la prolificità dell’autore nord-irlandese è tale che le sue storie non dirette all’editoria mainstream spesso e volentieri vengono fagocitate dalla mole di materiale fumettistico che inonda mensilmente le librerie specializzate. Col risultato che titoli come 303 finiscono col fare bello sfoggio nelle bibliografie di pubblicazioni monografiche (come il saggio antologico Garth Ennis – Nessuna pietà agli eroi proposto dalle Edizioni XII) senza che il grande pubblico abbia la minima idea di quale sia loro vera forza narrativa.

Prodotto dalla Avatar, disegnato con tratto solido ed essenziale da Jacen Burrows (che ha avuto l’onore e l’onere di visualizzare storie scritte da Warren Ellis e Alan Moore), 303 rappresenta l’anello di congiunzione che lega l’Ennis di The Punisher (e in particolare della miniserie Born) a quello di Storie di Guerra o di Unknown Soldier (entrambi targati DC Comics/Vertigo). E anche se il titolo sembra semplicemente parodiare 300 di Frank Miller (nonostante il riferimento sia ad un proiettile e al calibro di un fucile), in realtà la citazione è molto più profonda di quanto sembri.

303 è diviso in due parti: la prima vede i militari di tre nazioni – Russia, Gran Bretagna e USA – impegnati nella ricerca di un velivolo precipitato sulle montagne dell’Afghanistan. Un velivolo che cela un segreto scottante per il quale tutti sarebbero disposti persino a uccidere.
Tra raffinate citazioni di Kipling, massacri insensati e cruente scene d’azione che sembrano tratte di peso dal ciclo cinematografico di Rambo, Ennis costruisce un racconto epico che guarda alle logiche militari con spirito antiretorico e un’immedesimazione nella “morale” guerresca che si pone agli antipodi dell’esaltazione superomistica e destrorsa presente, per esempio, in molti romanzi di Tom Clancy.

I guerrieri di Ennis sono feroci cavalieri la cui idealità risiede sempre nella memoria di un passato glorioso che non gli appartiene e che non hanno mai vissuto. Il presente, per loro, è pura azione e il futuro non esiste.
Lo sconvolgente epilogo della prima parte introduce a un secondo atto d’ambientazione statunitense: qui un ufficiale russo – figlio di una nazione in costante declino – si propone di portare a compimento un’incredibile vendetta, ma i capricci della sorte lo conducono in una cittadina ai confini col Messico dove apprenderà su quale marciume si fonda il moderno sogno americano, concime di un’altra potenza in disfacimento. A questo punto il tono della narrazione subisce un’ulteriore, dolente sterzata che sembra agganciarsi alla poetica del Cormac McCarthy di Meridiano di sangue e di Non è un paese per vecchi. Il russo incrocia la sua strada con uno sceriffo che tenta di difendere con tutta l’anima un sistema di cui conosce tutta la degenerazione ma che non può fare a meno di mantenere. E a conclusione del duello risulta più chiaro il riferimento alla battaglia delle Termopili e a 300 di Frank Miller: guerrieri e militari sono tutti dei potenziali Leonida che non hanno ancora compreso chi è il Serse contro cui dovrebbero combattere e a cui si dovrebbe spiccare la testa dal collo.
Ma una presa di coscienza comune è di fatto impossibile e non resta altro, quindi, che concedersi a gesti tanto eclatanti quanto, in fin dei conti, inutili.


Alessandro Di Nocera

Dati del volume

  • Voto della redazione: 7
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