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Amazzonia

Amazzonia"Avatar" senza tecnologia né effetti speciali, con una buona dose di realismo al posto della fantascienza più sfrenata. Amazzonia è questo e molto di più. Presentata come una “favola ecologica”, di favolistico ha in verità molto poco. C’è la realtà delle prime depredazioni in una terra ricca di natura ma anche di risorse che fanno gola alla cosiddetta civiltà. Una storia anni Ottanta, raccontata con una modernità che la fa arrivare a oggi in piena salute. Anche se è palese come due decenni fa si fosse più propensi a una buona narrazione, lineare ma raffinata, piuttosto che a sconvolgere il lettore a ogni pagina.

Steven T. Seagle affida a un giornalista a caccia del Pulitzer l’onere e l’onore di guidarci attraverso i paesaggi di un mondo che ricorda un lontano passato. E che solletica tante nostalgie in questo nostro presente. Una sceneggiatura a tre voci, ma tutte del cronista partito per l’Amazzonia alla ricerca di un operaio scomparso da un cantiere americano. O forse dello spirito di quelle stesse terre. Dialoghi, pensieri e articoli di giornale si intersecano fino a creare tre livelli di realtà che convivono e che talvolta si accavallano. Arrivando anche a disturbare chi legge, ma solo di rado. Perché le parole abbondano e danno profondità, ma sono gli sfondi a verdeggiare. Letteralmente. In alcune vignette, Tim Sale si lancia in prospettive che fanno sembrare gli uomini piccoli come formiche parlanti in mezzo a un prato. E viene da pensare che il titolo italiano abbia più ragione dell’originale.

Perché a dispetto di quanto dicono le nuove copertine, disegnate ad hoc per festeggiare i vent’anni dalla prima edizione, il protagonista non sembra affatto l’amazzone dallo sguardo minaccioso, ma quello stesso paradiso chiamato Amazzonia.


Simone Celli

Dati del volume

  • Voto della redazione: 1
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