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Wolverine 243-244

Wolverine 243-244Con questi due numeri i lettori italiani assistono al raddoppiarsi delle testate targate Wolverine. Accanto a Wolverine e Wolverine: Origins iniziano su queste pagine Wolverine: Weapon X (sul 243) e Dark Wolverine (sul 244), serie regolare di Daken.

Il piatto forte è il primo storyarc di Wolverine: Weapon X, che vede riunirsi il team creativo composto da Jason Aaron e Ron Garney, ospitato interamente sui due numeri dell’edizione italiana (il 243, se si eccettuano le otto pagine di team-up tra Wolverine e il Punitore, è interamente un numero dedicato alla nuova serie di Logan). Aaron confeziona una storia dalle tinte fosche e dal tenore cupo e ricco d’intrigo, che vanno a braccetto con la scelta di vestire il mutante artigliato con il costume nero e grigio che indossa quando è a capo di X-Force.
La storia prende avvio dalla scoperta che Blackguard, la milizia privata della Roxxon, ha acquisito gli archivi del progetto Arma X, contenenti tra le altre cose la formula per il trattamento dell’adamantio, per creare una squadra di superumani, la Strikeforce X. Spetterà a Logan, che fa di ogni questione in cui sia implicato Arma X una questione personale. Prende così avvio una narrazione serrata, un blockbuster su carta che catapulta Wolverine verso l’eliminazione dei suoi emuli. In parallelo, anche se con un peso minore, Aaron ci mostra il percorso di Melita Gardner, giornalista del San Francisco Post intenzionata a realizzare un approfondimento sul mutante artigliato che riceve, una sera, una soffiata su Blackguard.
Gli Uomini di Adamantio è una storia dallo sviluppo abbastanza lineare ma ben scritta, in cui ottimo è il ruolo di Ron Garney alle matite, che sfodera disegni in grado di oscillare da uno stile personale a uno che in certi momenti giunge a citare – ma pur sempre rielaborandolo secondo una sintesi personale – il lavoro di Barry Windsor-Smith, autore unico della storica saga Weapon X, cui la nuova serie di Aaron e Garney non poteva che rendere omaggio. È pregevole, inoltre, il modo in cui la colorazione digitale di Jason Keith, non certo una esemplare ma certamente d’impatto per quanto riguarda le scene d’azione e in alcuni momenti in cui gioca con la messa a fuoco per rendere la profondità degli ambienti, non copra i molteplici tratti di inchiostro di Garney, che rendono più vivida la narrazione grafica e contribuiscono ad amplificare la ferinità del protagonista.
Oltre a riportare in gioco Maverick, di cui non si avevano più notizie dal numero 7 di Wolverine: Origins, e ad introdurre l’agente di H.A.M.M.E.R. Gertrude Jacks, Jason Aaron lavora su due spunti piuttosto interessanti nell’economia del personaggio. Il primo è la concezione di Logan che la vita, con tutti i suoi problemi e le sue afflizioni, rappresenti l’inferno e che il paradiso e la pace si possano trovare solo dopo la morte; Aaron si ricollega così alla storia realizzata assieme ad Adam Kubert, A Mile in My Mocassins (pubblicata in Italia sul numero 239) in cui si spiegava che la tendenza di Wolverine ad apparire in un gran numero di gruppi era dovuta ad un sostanziale istinto suicida, finalizzato appunto al raggiungimento della quiete.
Inoltre nelle mani dello scrittore dell’Alabama Logan si interroga sulla propria unica paura, l’unica cosa in grado di terrorizzarlo e, se sottovalutata, dargli la morte.
Gli Uomini di Adamantio dosa al punto giusto intrigo, azione e riflessione sono dosati. Il risultato è una storia che cattura e convince, degno esordio di una nuova serie del mutante artigliato.

Restando in tema di esordi, poi, sul numero 244 troviamo il numero 1 di Dark Wolverine. Daniel Way e Marjorie Liu ci offrono un primo numero in cui è l’introspezione a fare da traino alla narrazione. Gli scrittori si concentrano sul rapporto tra Daken e gli altri membri degli Oscuri Vendicatori, a una riunione così come a un party, mostrandolo come la mela potenzialmente marcia della cesta, che scopre le falle organizzative e psicologiche del gruppo (la facile stoltezza di Mac Gargan, i problemi di Bullseye con le proprie emozioni, la forza e la fragilità di Sentry), di Osborn e del suo “regno”. Way e Liu puntano l’attenzione sul potere di Daken di manipolare le emozioni, che egli usa a proprio piacimento per procurarsi l’avventura di una notte o il divertimento di una scazzottata. Già da questo primo numero, insomma, è chiaro che Daken abbia un piano preciso, di cui la collaborazione con Osborn non è che un fine, fine per il quale è disposto a sacrificare cose, persone e parte di sé.
Il team grafico al lavoro su questo primo numero di Dark Wolverine è capitanato da Giuseppe Camuncoli, inconfondibile nello stile, le cui fisionomie affilate si addicono a quella che sembra essere la filosofia della serie. Alle chine Onofrio Catacchio svolge un lavoro egregio, aggiungendo valore all’operato di Camuncoli; Marte Gracia e A. STreet, ai colori, si armonizzano con l’inchiostro di Catacchio creando la giusta gamma di luci ed ombre richiesta da una storia che si appoggia su segreti e apparenze.

In conclusione, su entrambi gli albi è possibile trovare le battute finali del team-up tra Wolverine (di Cebulski e Rocafort) e il Punitore apparso negli States sui numeri 1-6 di Astonishing Tales. Si conclude lo scontro con i Predatori X, Viper e l’Hydra in una storia sostanzialmente priva di alcun fascino narrativo. Un Cebulski non certo dei migliori, che sembra lontano anni luce da quello di X-Infernus o del breve ma incisivo Ultimates Saga, porta così a conclusione una trama esile e sostenuta solamente dal lavoro di Kenneth Rocafort e IroBot; un lavoro che sazia l’occhio ma, a lungo andare, riempie oltre l’appetito.


Alfredo Goffredi

Dati del volume

  • Voto della redazione: 1
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