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Whiteout: Melt

Whiteout: MeltNell’Antartico, terra di tutti e di nessuno dove le leggi contano davvero poco, ha luogo un "incidente" piuttosto sospetto che coinvolge un centro operativo russo. Partono così le indagini della poliziotta americana Carrie Stetko, ormai una veterana delle lande antartiche, che in compagnia di un agente russo dovrà risolvere il caso e disinnescare (o innescare?) una bella grana internazionale.
Queste le premesse di Whiteout: Melt, seguito di Whiteout, ancora una volta ad opera di Greg Rucka e Steve Lieber, premiati per l'occasione con un Premio Eisner.

Rucka mette in scena un hard boiled ben mascherato, che sostituisce i contesti urbani americani con i gelidi skyline del continente antartico, e rimpiazza il tipico protagonista maschio e duro con una donna (altrettanto dura). Ma oltre queste due variazioni, le caratteristiche del genere sono tutte presenti: l'intrigo e l'azione, la tensione sessuale, il lessico sbrigativo, il pericolo e il tradimento.
Rucka conferma anche in questo caso la propria bravura nel caratterizzare i personaggi: non tanto nel fornire loro caratterizzazioni eccezionali e perciò riconoscibili, ma proprio nel saper descrivere con efficacia e realismo, attraverso i dialoghi e le azioni, la loro normalità (anche in situazioni straordinarie). E infatti Carrie, prima di tutto, è una donna perfettamente nella media, la classica eroina suo malgrado, incastrata in una situazione che non le piace e che di certo non si è cercata.

Dall'altro lato, mentre l'azione procede, è proprio l'ambientazione scenica a fare da seconda protagonista. I ghiacci antartici non guardano in faccia nessuno, travolgo tutto e tutti; sono assassini personificati nella descrizione data dalla stessa protagonista. Una descrizione che ritrae l'immagine di una spietatezza che non ha senso, giacché la natura non è spietata, ma semplicemente è. E per questo, appunto, non guarda in faccia nessuno. I ghiacci sono come la vita: stratificazioni imprevedibili che si fissano e ti mettono in situazioni che non puoi sceglierti in piena autonomia. "Una puttana assassina", la chiama Carrie, ma in fondo lo sa che è così che deve andare, e che la malevolenza è lei a vedercela.

Proprio per l'efficace raffigurazione del contesto antartico e della durezza delle situazioni, la scelta stilistica adottata da Lieber per illustrare la storia si rivela la più azzeccata. Il bianco e nero è una scelta quasi obbligata, data l'atmosfera glaciale. Le chine tentano di essere il più sottili e leggere possibile, e i neri non di rado si lasciano invadere dal bianco, per tornare poi con prepotenza in alcune scene selezionate. La costruzione della tavola e la scelta delle inquadrature non vanno in cerca di effetti di particolare spettacolarità, anche se non mancano di evidenziare l’immensità antartica entro cui si muovono le piccole forme umane.

Una lettura che scorre in un soffio e sa intrattenere senza monotonia, racchiusa in un’edizione compatta e ben curata.


Valerio Coppola
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