Menu

Blatta

BlattaSi potrebbe dire che Blatta è un fumetto magistrale, un esempio brillante di quell’arte sequenziale che nel nostro Paese sembra languire, trovare poco interesse, se non per quanto riguarda mostre ed edizioni speciali da edicola.
Si potrebbe dire, d’altro canto, che Blatta è un fumetto in cui succede poco o niente, disegnato bene ma in cui non viene detto niente. Probabilmente qualcuno potrebbe dirlo, e fermarsi qui, ma non è questo il caso.

La blatta è un insetto dell’ordine dei blattoidei la cui particolarità è quella di riuscire a sopravvivere alle situazioni più impervie; può infatti restare senza cibo per circa due settimane ed è l’unico essere vivente in grado di sopravvivere privo di protezioni in caso di fallout.
Il protagonista di Blatta è, come l’insetto che dà il titolo al volume, un sopravvissuto. Un clone in tuta da palombaro la cui vita oscilla come un pendolo tra lo stanzino in cui lavora e quello in cui vive (o sopravvive) nel più completo silenzio. Il sistema si occupa della sua alimentazione e dei suoi spostamenti, rendendolo nient’altro che l’ingranaggio di una struttura in cui il controllo è totale. Poi un giorno qualcosa va storto, e dal nulla una blatta, come un animale totemico, offre al palombaro la possibilità di una vita differente.

Dietro a una trama esile solo in apparenza si nasconde un’opera aperta dalla grande profondità di sguardo su ciò che è la società contemporanea, potente proprio per l’elevato piano metaforico su cui si compie l’astrazione del reale.
Attraversando una vera e propria successione di non-luoghi o di presunti luoghi, a cavallo tra un onirismo che sembra reale e un reale che sembra distopico, il protagonista vive la propria fuga accidentale come un cammino di ricerca in cui il punto di arrivo è la propria identità.

Trovare una pecca all’interno di queste 160 pagine è cosa ardua, anche dopo la prima platonica infatuazione, anche dopo ripetute letture. La forza di Blatta, oltre alla narrazione, all’egregia qualità grafica, ai multipli riferimenti, sta nella capacità di porre il lettore attento nella condizione di formulare domande. A sé e al lavoro stesso. Domande che magari non troveranno risposta ma che comunque avranno contribuito a creare quel legame forte tra lettore, opera e autore. Domande che tengono il passo con la narrazione, con le scelte compiute dal protagonista (il cui volto rimane coperto e solo una volta appare al lettore, fortemente sfocato e indefinito, non a caso ma al fine di creare un livello di immedesimazione il più alto possibile), con i personaggi che egli incontra nel corso del suo percorso, esplodendo in un finale ricco di possibili interpretazioni, che segna la fine del volume ma non la fine della storia.

Il primo assolo di Alberto Ponticelli è qualcosa che arriva alla fine di un processo di crescita e maturazione. Che arriva al punto giusto, e segna per lui un importante inizio come autore completo, subito premiato con il Premio Micheluzzi nel 2008 e, di recente, con il Premio Carlo Boscarato nel 2009. Dopo la formazione negli ambienti underground dello Shok Studio e gli incarichi per Marvel e Image; dopo aver visualizzato per Alex Crippa le favelas brasiliane e il percorso del Monco di Come un Cane (Casterman), e poco prima che la collaborazione con Joshua Dysart lo portasse alle vette del comicdom per Unknown Soldier (DC-Vertigo), serie che Ponticelli ha affermato di voler approcciare, a partire dal numero 14, con lo stile definito proprio in Blatta.
Essere l’unico autore di questo fumetto permette a Ponticelli di esprimere al massimo tutto il suo potenziale grafico, che diventa così qualcosa di travolgente proprio perché libero dal volere altrui e generato in profonda sintonia con la narrazione.
Le sequenze ambientate internamente sembrano affiorare gradualmente dalle stesse stanze flebilmente illuminate, quasi come se il caos della materia nera venisse organizzato gradualmente in un’immagine; è molto forte, quindi, il contrasto con i momenti in cui compaiono in scena fonti luminose, come lo schermo del pc, la cui luce fa quasi male agli occhi. Nelle sequenze in esterni, invece, tutto si fa più nitido, definito, luminoso, a partire da una doppia splash page in cui la luce brucia ogni forma e fa da traino a due fantastiche triple splash page enormemente suggestive.

Blatta è un’opera di cui è caldamente consigliata la lettura. Più un’esperienza, forse, che una semplice lettura, per quello che è in grado di esprimere e per quello che, come nelle migliori pellicole di David Lynch, sceglie di lasciare alla discrezione (o indiscrezione) del lettore.


Alfredo Goffredi
Torna in alto