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Terminal City

Terminal CityUna valigetta dal contenuto misterioso che tutti sembrano desiderare. La malavita con le mani sulla città, intenta a mettere in piedi una gigantesca speculazione edilizia. Vecchi avventurieri nostalgici che riscoprono il gusto dell'azione. Un enigmatico killer a caccia del sindaco. Sonnambuli che camminano sui muri. E tante vite che si intrecciano. Tutto questo è possibile trovare in Terminal City, la celebrata opera che Dean Motter e Michael Lark crearono per la Vertigo nel 1996.

A dirla tutta, in Terminal City l’importante non è tanto la trama, quanto piuttosto la sensazione che l’incedere della storia regala al lettore. Una sensazione che trova la sua descrizione perfetta negli scorci della città stessa: una realtà sospesa nel tempo, con architetture che sono la sintesi di un’America urbana anni ’50, della Metropolis di Fritz Lang e della Gotham City di Bruce Timm (entrambe citate in abbondanza). Passato, presente e futuro coesistono nella concretezza quotidiana e nella massa monumentale degli edifici, ma anche nelle vicende biografiche degli innumerevoli personaggi. La resistenza del passato nel presente è suggerita dalla decadenza urbana, da un progresso velleitario proteso in avanti senza però essere riuscito a strappare le radici che lo tengono ben ancorato a terra. La città è, in maniera del tutto esplicita, un luogo levigato dove però si riproducono azioni e reazioni molto antiche, appartenenti a un tempo arcaico e primordiale: la proverbiale “giungla d'asfalto”.

Anche nel dispiegarsi della vicenda, poi, il passato torna a incrociare le vite dei protagonisti, che a loro volta si intrecciano reciprocamente. Terminal City è insomma un punto di incontro: tra persone, tra mondi, e tra epoche. Un coagulo in cui si concentrano storie, in cui i fili si riannodano e in cui vecchie vicissitudini si ricongiungono con il loro stesso principio. Tutto è destinato a tornare nel medesimo tempo e in certa misura nel medesimo spazio, con il risultato che tempo e spazio, pur così importanti, risultano una presenza astratta, sfumata. Tanto più che anche la fine della storia (o delle storie) non offre una conclusione certa, e anzi lascia più di un elemento in sospeso, così da favorire quella sensazione di un flusso ininterrotto nello scorrere del tempo. Ci si trova, per l'appunto, in una stazione, in un terminal: tutto scorre in un continuo susseguirsi di arrivi e partenze, non ci sono inizi precisi, né tanto meno sono chiari gli esiti.

Dean Motter costruisce una storia capace di scivolare via con facilità, eppure zeppa di elementi e sottotrame, da quelle portanti a quelle più marginali. La ricchezza di citazioni e simbolismi favorisce inoltre la vaga sensazione di trovarsi di fronte a un mondo più ricco e profondo di quanto lasci apparire in superficie. In questo, anche il lavoro di Michael Lark è fondamentale: il disegnatore è capace di definire da subito con grande efficacia il carattere della città, attraverso la raffigurazione di architetture imponenti e consumate, piene di rimandi e di significati neanche troppo ostici da comprendere. Il tutto attraverso linearità nello storytelling e pulizia nel tratto, felicemente completati dai colori semplici e senza fronzoli di Rick Taylor.

Una lettura molto piacevole, presentata in un'edizione nel complesso adeguata.


Valerio Coppola
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