Menu

Bambole di Carne

Bambole di CarneMolto prima che Walt Disney ci convincesse che le favole fossero solamente utili per far addormentare i bambini o per obbligare genitori e nonni a ricoprirli di gadget di vario genere, i fratelli Grimm avevano capito che per prepararli alla vita non serviva nascondergli i pericoli che avrebbero potuto incontrare, ma presentarglieli con un linguaggio semplice che potesse loro permettere di comprenderli e assimilarli senza troppe difficoltà.

Francesca Da Sacco lavora nel campo del fumetto come sceneggiatrice da diversi anni oramai. Dagli esordi con le Edizioni Orione, passando per Cronaca di Topolinia fino ad arrivare in edicola firmando alcuni episodi di Jonathan Steele e de L’insonne. Una carriera già abbastanza lunga attraverso il fantasy, la fantascienza e l’avventura più in generale.
Ma per il suo esordio come autrice completa abbandona il fumetto di genere e sceglie un editore giovane come le Edizioni Arcadia per presentare una storia ambiziosa e molto personale. Una storia che parla di bambini, di soprusi, di sfruttamento e soprattutto di violenza. Psicologica e fisica. E che lo fa senza nascondere niente, evitando la morbosità e i facili moralismi, ma che soprattutto utilizza un linguaggio semplice e diretto.
Come una favola, appunto.
Utilizzando uno stile grafico molto personale e difficilmente catalogabile, inscrivibile però nella moderna tendenza di inserire alcuni elementi tipici dei manga nel più sofisticato contesto europeo e francese in particolare, Francesca racconta la storia di un gruppo di bambini abbandonati alle prese con un ricco signore che si propone di proteggerli ma invece intende sfruttarli nel corpo e nello spirito. In una città vittoriana che sembra uscita da un film di Tim Burton si vive così il contrasto tra le atmosfere oniriche e la crudezza dei temi trattati. Una storia che colpisce proprio per il modo diretto con cui affronta il problema e che proprio per questo una volta chiuso l’albo, con un lieto fine solo apparente, rimane a lungo impressa.

Tutto perfetto, quindi? A dire la verità non tutto funziona nel modo migliore. Il formato scelto dall’editore probabilmente limiterà la diffusione del volume e non valorizza appieno le tavole in mezzatinta, e le 46 pagine risultano poche obbligando a un finale un po’ affrettato. I testi poi non sempre appaiono fluidi e naturali. Ma sono particolari che non scalfiscono il valore di una storia che sicuramente farà parlare di sé e della sua autrice, giunta forse alla svolta della sua carriera, e che impreziosisce il catalogo già ricco delle Edizioni Arcadia.


Federico Castagnola
Torna in alto