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Valzer con Bashir

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Valzer con BashirDella questione israelo-palestinese (o viceversa) tutti abbiamo un’idea, quanto meno di chi siano i buoni e chi i cattivi. Tutti abbiamo sentito qualcosa e abbiamo scelto la nostra parte. Solo che pochi sono stati là in mezzo, e quei pochi forse una parte non riescono più a sceglierla. A meno che non se la inventino.

È questa la storia che racconta Valzer con Bashir, che porta un vecchio soldato israeliano a confrontarsi con i suoi ricordi della guerra tra Israele e l’OLP in Libano nel 1982. A distanza di vent’anni, innescati dal racconto di un sogno di un amico, i ricordi iniziano a riaffiorare alla mente del protagonista, all’inizio confusi, onirici, incompleti e in parte fantasiosi. Ari (l’autore-protagonista) scopre così di non avere in mente un quadro realistico della sua esperienza in Libano, e soprattutto non ricorda se e in che modo ha partecipato all’epilogo del conflitto, il massacro dei rifugiati palestinesi di Sabra e Shatila. Inizia allora un cammino a ritroso, che lo porterà a ripercorrere gli eventi in un confronto prima di tutto con se stesso.

Valzer con Bashir è un racconto sulla costruzione della memoria e sulla definizione di sé. Un racconto su come, a livello inconscio, si tenda ad escludere dalla ricostruzione del proprio passato eventi disturbanti, che pongano dilemmi non risolvibili, in modo da potersi riconoscere in un’idea di sé che non sempre corrisponde al vero. Soprattutto se si è preso parte all’assurdo per eccellenza: la guerra e lo sterminio dell’altro imposto da una volontà non propria, un contesto di difficile comprensione in cui l’uomo diventa mero e meccanico esecutore di ordini. Fino a perdere l’autocoscienza delle proprie azioni.

Da un punto di vista narrativo, Valzer con Bashir funziona come un documentario, ma in maniera atipica. Per certi versi simile ai reportage a fumetti di Joe Sacco, si distingue però per una carica molto più intima, mescolando alla cronaca riflessioni e analisi e accostandosi a un’opera come Persepolis.
Ari Folman (ri)costruisce una vicenda tutto sommato semplice, ma la arricchisce di una complessità interna che arriva a mettere in discussione molte certezze acquisite.
La storia nasce come film: è proprio a partire dai fotogrammi di quest’ultimo che in qualche modo si è generato il fumetto, tramite una sorta di traduzione ragionata dal linguaggio di un medium all’altro che è dovuta intervenire sui tagli e sui tempi. Autore di questa operazione è David Polonsky, che attraverso la sue “regia” regala una storia scorrevole nella lettura e vivace nel ritmo. Il disegnatore accosta personaggi quasi cartooneschi a fondali fotografici, in una soluzione di grande impatto realistico. Unito alla pulizia del tratto, molto piacevole l’uso dei colori, semplici e poco pretenziosi.
Chiude il volume un’intervista a Polonsky incentrata sul passaggio dal medium cinematografico a quello fumettistico.


Valerio Coppola
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