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Il Corvo - Edizione Definitiva

Il Corvo - Edizione DefinitivaÈ in circolazione da meno di trent’anni, ma Il Corvo di James O’Barr è già un classico. Certo, qualcosa ha contato anche il film reso immortale dalla morte di Brandon Lee, ma non può essere solo questo, né basta la potenza iconografica del protagonista. La storia del Corvo è vecchia, esisteva già prima di entrare nelle vignette. È atavica. È una storia di amore, vuoto e vendetta, una storia vecchia come la Storia. Ecco perché prende, ecco perché è così facile empatizzare con il protagonista. Il Corvo fa ciò che tutti tendiamo a fare ogni giorno: rincorrere un senso in una vita che in fondo pare non averne, colmare il vuoto che sentiamo con qualcosa capace di darci una forma, con una missione, un amore, un odio.

O’Barr non è sottile o sfumato nella rappresentazione di questi stati d’animo. Anzi, è netto e immediato, a tratti stereotipato. Ma va bene così, questa è un’opera che vuole mettere in chiaro le cose, con amori perfetti e vendette spietate. Non c’è spazio, se non in un caso, per riflessioni approfondite. Anche i rapporti interpersonali risultano surreali, tratteggiati in modo da amplificare l’effetto drammatico a scapito del realismo.
E questo riguarda anche la messa in scena. Nere come la notte e come il lutto, le pagine lasciano emergere figure bianche tirate e martoriate, muscoli tesi e pelli soffici. Corpi violenti e sensuali abitano una città dannata che ha fatto del male alla sua stessa maschera. E i grigi, quando compaiono, non sono mai simbolo di una zona di passaggio tra bene e male, ma solo morbidi ricordi di tenerezza propri di un passato perduto e forse idealizzato.

I disegni di O’Barr sono perfetti nella narrazione di questo mondo e dell’azione, anche se non risparmiano alcuni momenti di confusione. La loro impostazione permetterebbe da sola di seguire la storia, e Il Corvo potrebbe essere senza problemi un film muto. Tanto che si ha come la sensazione che le parole siano di troppo, soprattutto nei momenti in cui all’azione si sovrappongono citazioni metaforiche, magari d’effetto ma in fin dei conti superflue. L’autore stesso pare in qualche modo accorgersene, realizzando diversi passaggi privi di prosa e raccontati da immagini che bastano a se stesse.

Ottima l’edizione, con una introduzione e una postfazione stranamente significative, e chiusa da una gradevole galleria di immagini.


Valerio Coppola
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