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Hard Boiled

Hard BoiledTra gli anni ’80 e i primi ’90 si assisteva a un proliferare di storie di cyborg, robot, droni e quant’altro in cerca della propria anima. Uno dei primi casi e forse il più famoso è “Blade Runner” ma, passando per “Robocop”, non mancano altri esempi eccellenti. In quelle storie poteva essere letto di tutto: dalla metafora di un uomo disumanizzato dal suo stesso progresso alla paura affascinante dell’integrazione uomo/macchina, da una società fatta di disuguaglianza sociale al desiderio di ordine e programmazione.

Hard Boiled, sul piano formale, si inserisce in pieno nel corso di questa tradizione, coniugandola con un’impostazione narrativa di tipo, appunto, hard boiled: un personaggio duro, violento e solitario, alle prese proprio con un percorso di affermazione della propria anima. L’opera scritta da Frank Miller si distingue però dalle sue simili in quanto il messaggio finale non consiste nella conquista di quell’anima a prescindere da tutto il resto. È invece proprio l’apparenza più o meno umana a conferire la possibilità di considerarsi normali, dunque integrabili in una società, dunque titolari di un’anima.

Ma in fin dei conti è tutto qui. Anzi, anche meno. La lettura di Hard Boiled dà la sensazione che tutto ciò sia solo un pretesto per raccotare un gioco al massacro, con un esasperato gusto per il sangue fine a se stesso. La già scarna trama appare più come una scusa per raccontare la continua carneficina che scorre lungo le 128 pagine del libro, tanto estrema quanto inutile. Fino al punto che anche il titolo diventa poco più che una giustificazione, il richiamo a un genere che nella violenza ha uno dei suoi aspetti caratterizzanti. Peccato che qui sia di fatto l’unico aspetto. In generale, pare che Miller non voglia fare altro che ribadire il suo gusto per personaggi tosti e cazzuti, diventando quasi una caricatura di se stesso e impantanandosi nei suoi cliché.

Se in quest’opera qualcosa è da salvare, sono di certo i disegni di Geof Darrow. Essi da soli, molto più che i testi o la trama, sono capaci di narrare qualcosa di un mondo che, volendo, potrebbe anche essere considerato la metafora di una società consumistica e capitalistica ormai marcita. L’arte di Darrow potrebbe essere definita “immersiva”: non solo perché la spaventosa quantità di dettagli anche minuscoli che affollano le spaziose tavole sommergono il lettore; ma soprattutto perché questa ricchezza quasi barocca ha la capacità di proiettare in un mondo che proprio gli elementi più minimi e insignificanti sono in grado di raccontare e tratteggiare.
Di grande impatto anche la scansione grafica dei tempi e degli spazi, costruiti quasi sempre su ampie campate visive, con sfondi che si muovono dietro l’azione, ingannevoli come le lancette di un cronometro.

Come sempre ottima la cura editoriale targata Magic Press.



Valerio Coppola
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