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Twilight

TwilightSe c’è un limite insormontabile per la natura umana, quello è la morte. Dove si potrebbe arrivare potendo vivere in eterno? Quanto si potrebbe apprendere, quali errori si potrebbe imparare a conoscere ed evitare? I luoghi della coscienza e della conoscenza potrebbero essere esplorati nella loro interezza: si potrebbe capire così bene il mondo da essere un tutt’uno con esso. Coniugare felicemente la scienza umana alla meravigliosa varietà biochimica della natura, fino a rendere una la continuazione dell’altra. In fondo la pulsione a vivere per sempre, a non conoscere mai la morte, è questo: esserci sempre, vedere tutto, non perdersi niente. Un desiderio di assoluta e totale affermazione del sé.

Nel futuro rappresentato in Twilight, la vita eterna diviene finalmente realtà per gli umani, e tutte quelle opportunità sono a portata di mano. Ma alla visione utopica e idilliaca di una vita senza fine in continuo auto perfezionamento, si sostituisce la brutale realtà di una specie che brama quel perfezionamento, ma lo brama proprio perché per sua stessa disposizione è incapace di raggiungerlo. Anche disponendo dell’eternità, il desiderio e la ricerca di una salvezza non solo biologica tornano per forza a orientare la storia dell’uomo. Ecco che allora sesso, politica e religione non mutano la loro sostanza solo perché indossano la forma dell’eternità. In esse la vera e perenne caratteristica dell’uomo, la sua contraddittorietà, continua a trovare la sua irrisolvibile espressione. Non è con la vita eterna che cessano guerre sante, xenofobie, manovre politiche, manipolazioni massmediatiche e tormenti della carne e della libido. La perdita della morte genera anzi un nuovo rischio, ossia lo smarrimento di quella parte di umanità che è in qualche modo la sua stessa dignità: insieme alla possibilità della morte se ne va la necessità di dare senso alla vita, mentre si impone il vuoto di un nichilismo assoluto.

Nella saga fantascientifica che rilanciava vecchi personaggi della DC, Howard Chaykin mescolava con efficacia psicodrammi individuali e di massa, fondendoli con temi a lui cari come la critica delle istituzioni politiche e religiose, in un impietoso sguardo ai meccanismi del potere. Con linguaggio graffiante ed ironico raccontava guerre e jihad, ridicolizzando la pomposa retorica che sempre le accompagna. Un ritratto della pochezza di uomini che non sanno chi sono e perché, spaventati e arrabbiati con l’altro, con il diverso che rispecchia tutti i loro dubbi e paure.
Composto ed elegante come pochi, José Luis Garcia-Lopéz traduceva questa storia in figure per le quali l’unico aggettivo possibile è “belle”: uomini e donne, robot e animali, dotati di una carnalità e un’espressività che regalano quella dimensione umana di cui questi personaggi sono alla continua ricerca.


Valerio Coppola
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