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Martian Manhunter: Segreti Americani

Martian Manhunter: Segreti AmericaniIl 1959 è un’epoca senza supereroi. Finita la guerra, i componenti della Società della Giustizia d’America hanno interrotto la propria attività. A colmare questo vuoto, sono poi giunti nuovi eroi americani, modelli alla portata di tutti e che tutti dovrebbero emulare: poliziotti, professionisti, padri di famiglia. La vita è tornata tranquilla e serena, e queste sono le figure positive di cui la gente ha bisogno. Con gli eroi e le loro lotte, è stata espulsa la paura.
Salvo il fatto che la paura non è stata espulsa. È stata trasformata nel subdolo sottofondo della vita quotidiana.

È in questo mondo che il marziano J’onn J’onzz, con l’identità umana del detective John Jones, cerca di comprendere l’umanità, di capire l’uomo che la abita e le relazioni che uniscono la società americana. Così, nel suo solitario muoversi da una domanda all’altra, nel suo vagare di intuizione in intuizione quasi senza seguire un filo razionale, l’indagine lo porterà a comprendere che l’idilliaca società perfetta degli USA targati anni ’50 non è altro che la maschera di un abbruttimento umano strisciante. Un mondo in cui ogni uomo diventa un’isola, perde i contatti con i propri simili, si allontana da loro proprio per quella paura che è il leitmotiv della vita quotidiana e si relaziona all’altro solo attraverso rapporti formali, quelli imposti dal ruolo. Anche il sapere è frammentato, ridotto a pillole da ingurgitare dal televisore durante i quiz, a ideologie patinate e confezionate nell’ultimo successo discografico dall’industria musicale.

Com’è ovvio, c’è chi è immune da questa “manipolazione delle menti e dei cuori”, e che invece sa vedere l’invisibile sotto gli occhi di tutti: sono gli artisti, ma anche gli eroi, capaci di ispirare e di far sognare, di reintrodurre quel piccolo shock in grado di svincolare le menti dalle routine rassicuranti e oppressive di una vita preimpostata. E com’è altrettanto ovvio, c’è un colpevole dietro tutto ciò, un cattivo che andrà sconfitto.
Ma il cattivo manovratore è solo una metafora, come del resto tutta la trama. In effetti, se si volesse trovare un punto debole dell’opera, questo andrebbe individuato proprio nella trama, leggermente sconclusionata e a tratti ripetitiva. Ma in realtà essa va presa così com’è: in fondo non è altro che una scusa per affrescare questa metafora di una società che, nonostante la cappa del maccartismo e del conformismo, continua a cambiare e a germogliare speranze. E cerca di ritrovare una dimensione più umana, incerta e meravigliosa in cui ogni uomo debba ancora scoprire il suo domani e possa tornare a vivere con i suoi simili.

Gerard Jones confeziona una storia di grande valore simbolico, raccontata con sobrietà e impreziosita da dialoghi non immediati, ma ricchi di capacità evocativa e di finezze formali: dialoghi che continuano a lavorare anche dopo essere stati letti. Eduardo Barreto rivela la solida scuola che ha alle spalle. Produce tavole senza iperboli, ma di grande effetto nel raccontare un mondo doppio che oscilla tra l’apparente perfezione armonica e la mostruosità disumanizzante di un progetto sociale deciso da chi non lo vive.


Valerio Coppola
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