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Bloody Mary

Bloody MaryCi separa solo una manciata di anni dal futuro apocalittico immaginato da Garth Ennis nella seconda metà degli anni ’90. Quello di Bloody Mary è un tempo prossimo venturo in cui ex-ultrà di calcio diventeranno spietati capi di stato, oppure trafficanti di “armi finali”. Un’epoca in cui i diritti umani non conteranno nulla e le logiche militari prenderanno il posto di qualsiasi lampo di diplomazia.

Ma non c’è bisogno di allarmarsi, perché il 2012 sarà pure vicino, ma la nostra storia sembra andare in tutt’altra direzione rispetto a quella descritta in questo esercizio di fantapolitica spicciola. Ennis si è sbizzarrito a ipotizzare le conseguenze più disastrose di un’eventuale deriva dispotica dell’Europa unita, stato unitario di matrice tedesca (al punto che la moneta unica si chiama “euromarco”) in conflitto con Gran Bretagna e USA. A dimostrazione di come i vecchi fantasmi siano difficili da scacciare.

Sono due le miniserie che Ennis ha dedicato alla killer Bloody Mary, entrambe illustrate da Carlos Ezquerra, bravissimo a mostrare l’indole aggressiva dei personaggi. Nella prima, una missione nel bel mezzo della guerra diventa l’occasione per conseguire una vendetta personale. Nella seconda, il ritorno a casa della protagonista rivela una New York soggiogata da un improbabile santone sessuomane che usa la fede per plagiare e aizzare le masse, “cattolici bianchi e destristi”, facendo scacco matto alla città e garantendosi la disponibilità carnale di quante più donne possibile.

Nientedimeno di quello che ci si aspetterebbe dall’autore di Preacher e di tanti altri lavori segnati dalla voglia di stupire e di dissacrare. L’irlandese dal linguaggio colorito non perde mai l’occasione per dire la sua sui ministri, siano essi politici o religiosi. Il tutto attraverso uno humour tarantiniano secondo cui la violenza dev’essere iperbolica, e non si può fare a meno di dare voce a pazzoidi che dicono e fanno cose oltre l’assurdo. Finisce che ci scappa pure un mezzo sorriso, nonostante le teste che saltano, le persone che esplodono e la palese autoreferenzialità di una dinamica narrativa che lascia ben poco spazio alla suspense.


Simone Celli
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