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Pollo alle prugne


Pollo alle prugne (Sperling & Kupfer, cartonato, 82 pagine in b/n, € 14) Testi e disegni di Marjane Satrapi

Perché un famoso musicista iraniano decide di morire? Perché, il 15 novembre 1958, dopo aver re-incontrato un vecchio amore giovanile di nome Irâne e aver constatato l’inefficienza del suo ennesimo nuovo strumento a corda, sceglie infine di rendere la sua anima, attendendo inerme l’arrivo della morte? È un uomo tranquillo, Nasser Alì Khan. Conduce una vita mediamente appagata a Teheran, con quattro figli e una moglie che lo adorano. Il suo carattere ombroso a volte lo rende poco simpatico alla gente, ma questo è un modico prezzo per il suo indubbio talento. Il tar, prezioso strumento a corda a cui è legato tutta la sua carriera, produce tra le sue dita un’armonia perfetta. Glielo donò il suo maestro, il giorno in cui capì che non aveva più nulla da insegnargli. Quando la moglie glielo distrugge durante un furibondo litigio, Nasser Alì quasi impazzisce alla ricerca di un valido sostituto. Nel giro di un mese ne cambia ben cinque, viaggiando da Teheran fino a Mashad, la città santa nel nord est dell’Iran, e spendendo oltre duemila touman. Ma nessun altro strumento può offrirgli quella perfezione che il suo vecchio tar sapeva dargli. Così, Nasser Alì si infila nel letto e si lascia morire. I suoi funerali si svolgono otto giorni dopo, il 22 novembre, alla presenza di tutti coloro che lo avevano conosciuto.

Premiato nel 2004 come miglior album a fumetti al festival di Angoulème, Pollo alle prugne è un racconto triste ma non rassegnato, narrato con ironia e levità. In una composizione della tavola che rimanda agli schemi classici dell’arte persiana e che racchiude un bianco e nero marcato ed espressivo, la narrazione della Satrapi si snoda di continuo tra flashback e balzi in avanti, digressioni ed ellissi.
Nasser Alì Khan, prozio di Marjane, ripercorre le tappe salienti della sua vita consumandone gli ultimi giorni. I suoi ricordi si mischiano così a visioni del futuro e a conversazioni con i morti. Riviviamo con lui l’affetto per la figlia prediletta, la piccola Farzaneh, la cui rassomiglianza fisica con il padre rievoca una affinità caratteriale che la segnerà tutta la vita. Veniamo a conoscenza del rapporto problematico con la madre, che Nasser Alì egoisticamente non voleva lasciare morire quando si ammalò di un male incurabile. Pregò per lei ogni notte, finché lei stessa non gli chiese di suonare una musica che le facesse raggiungere serenamente l’altro mondo. Ora Nasser Alì sta per ritrovarla, invocando per sé una morte che non arriva mai. Amici e famigliari provano a sollevarlo come possono, ricordandogli antiche glorie o richiamandolo alle sue responsabilità. La moglie gli prepara il suo piatto preferito, quel pollo alle prugne che tuttavia ora si rifiuta persino di assaggiare. Nessuno può spiegarsi perché lo faccia: la distruzione del suo tar non sembra una ragione sufficiente. L’animo di Nasser Alì somiglia alla storia di quell’elefante che al buio nessuno riesce a riconoscere. C’è chi lo scambia per un tubo, un ventaglio o una sedia, ma nessuno riesce a cogliere la verità finché non la vede alla luce, per intera.
La verità di Nasser Alì è una sola, cupa e rassegnata come quella del suo Paese. Il fallimento della politica indipendentista di Mossadegh, soffocata nell’agosto 1953 con un colpo di stato, ha tolto agli iraniani progressisti ogni fiducia nel futuro. Con quale spirito si può continuare a vivere, a provare piacere nelle cose di ogni giorno? Sposato da anni con una donna che non ama, e senza nemmeno il gusto di suonare come faceva un tempo, Nasser Alì passa gli ultimi istanti di vita a rievocare il suo unico episodio di vera gioia, la relazione fallita con Irâne, simbolo della propria sconfitta esistenziale e della propria fortuna come musicista. Forse è per lei che decide di morire, per quell’incontro fortuito con una donna che un tempo l'aveva molto amato, e che oggi inspiegabilmente finge di non conoscerlo. O forse è qualcosa d’altro, una motivazione più profonda e misteriosa che si propone al lettore a pezzetti, come un elefante nel buio.


Dal mio venire nel mondo non venne ai cieli vantaggio
e la lor gloria e potenza l’andarmen via non accresce
e l’orecchio mio da nessuno, mai, poté udire
a quale scopo fosse questo venire e andare.


Khayyâm, poeta persiano (1048-1131)

In collaborazione con www.peacereporter.net


Davide Scagni
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