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Dylan Dog 228

Dylan Dog 228 - Oltre quella porta (Sergio Bonelli Editore, brossurato, 96 pagine, b/n, € 2,50) testi di Paola Barbato, disegni di Luigi Piccatto

umber whunnnn
yerrrnnn umber whunnnn
fayunnnn

Questi suoni: nonostante la nebbia.
Dove avete letto questa frase? Gli appassionati di Stephen King potrebbero rispondere che si tratta dell’incipit di Misery. I lettori di Dylan Dog affermeranno invece che la frase è l’inizio del numero 228 della serie, quell’albo strano disegnato superbamente da Luigi Piccatto e che avrebbe potuto avere una copertina migliore. Ma sbaglierebbero entrambi.
Oltre quella porta potrebbe sembrare un esercizio di stile (più o meno come questa recensione) ma si rivela invece un filo di Arianna che guida il lettore attraverso un labirinto degli orrori, lungo una storia che con ogni probabilità non potrebbe essere raccontata altro che a fumetti. E Paola Barbato, sceneggiatrice dell’episodio, si diverte a cercare di farci indovinare quale sarà la prossima svolta, salvo poi dirci che – ovviamente – la nostra intuizione è assolutamente falsa. René Magritte sosteneva che l’importante è il mistero, non la sua soluzione, e sembra proprio che gli autori di questa storia abbiano appreso bene la lezione. Questo non significa che non venga fornita una chiave di lettura (c’è eccome!), ma rimane implicita, una chiave di lettura “extra storia” che cerca di affondare le radici nelle conoscenze del lettore relative non tanto al mondo di Dylan quanto a ciò che vi gira attorno. La soluzione del mistero rimane quindi esclusivamente negli occhi di chi legge, ed è forte la tentazione di fingere che essa non esista affatto. Molto più divertente continuare a chiedersi: chi c’è nel letto da ospedale attorno al quale ruota tutta la vicenda? È un semplice amico/a di Dylan? La stessa Paola Barbato immolatasi davanti al personaggio di cui da anni narra le vicende? Il recensore che sta scrivendo un articolo senza capo né coda e sul quale la sceneggiatrice si vendica in anticipo? Io propongo un gioco: (ri)leggete l’albo dando per scontato che in quella sala operatoria ci siate voi stessi. Sì, davvero. Non solo vi godrete appieno la claustrofobia di cui è impegnato l’episodio, ma per qualche decina di minuti avrete la possibilità di sentirvi veramente importanti. Forse non conta nulla, ma visto che è impossibile dare un parere su una storia che non si è convinti di aver capito (e non mi venite a dire che è arrogante farne una recensione, perché lo so benissimo da me) tanto vale divertirsi a guardarla un po’ da tutti i lati, anche da quello della vittima.
E se King conclude il suo romanzo dicendo “ora la mia storia è raccontata”, la Barbato scrive invece “forse troverò ancora storie da raccontare”. Sappiamo già che lo farà, ma non per questo smettiamo di sperarlo.
(A proposito, vi è venuto in mente dove avete letto quella frase? Io lo so, ma non ve lo dico!)

Francesco Matteuzzi




Andrea Antonazzo
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