Wildstorm 28
- Scritto da Redazione Comicus
- Pubblicato in Recensioni
- dimensione font riduci dimensione font aumenta la dimensione del font
- Stampa
Wildstorm #28 (spillato, 96 pagine, colore, € 4.00, Magic Press) Voto medio: 7/10
Parlare di un numero di Wilstorm costituisce sempre una piccola impresa.
Questa rivista ha rappresentato, per molti lettori, un punto di rinascita per il genere super-eroistico quasi coincidente col nuovo millennio. L’impatto coi primissimi numeri fu per certi versi epocale: a parte i discutibili (e discussi) sbarbi di Gen13, residuo modaiolo di un trend assai anni ’90 nel panorama del comicdom, l’attenzione verteva sulle altre tre proposte principali della testata-contenitore. Ovviamente parlo di Wildcats, The Authority e Planetary.
I Gattoni erano nella fase (appena abbozzata) della rinascita Lobdell/Charest: a mio avviso, un’accozzaglia di trame intricatamente non-sense, condite con dialoghi altalenanti e immortalate da variopinte tavole costituite da singole, splendide pin-up, che tutto sapevano, tranne che di story-telling…
L’Authority di Ellis, Hitch e Neary è storia nota, e non serve nemmeno ricordarne l’importanza.
Poi, dulcis in fundo, c’era lo splendido Planetary: serie che da sola avrebbe giustificato l’acquisto della pubblicazione (e uno dei motivi principali per cui sostengo che il fumetto è l’arte più sottovalutata del mondo).
A questo punto, vi starete chiedendo il motivo di un preambolo del genere. La risposta è molto semplice: perché un confronto con allora sembra quasi inevitabile. Ma andiamo (più o meno) con ordine.
The Authority: prosegue lo story-arc “Brave New World”, a suo tempo interrotto dagli episodi realizzati dalla coppia Peyer/Nguyen, a causa degli arci-noti problemi legati alla serie (fra tutti, l’abbandono di Quitely). Si riparte alla grande, almeno in teoria: ad affiancare il prode Millar, come matitista, troviamo “Sua Lentezza” Art Adams. Su questo, niente da dire. Nonostante il suo stile cartoonistico, Adams regge bene le tematiche e la violenza della serie, contribuendo anzi con un tocco di sottile umorismo nero. Certo, bisognerebbe ricordare la netta censura esercitata da Mamma DC su alcune tavole: il tutto ha perso in cattiveria e scorrettezza politica. Tuttavia, la storia scivola via piacevole, con un numero in un certo qual modo di passaggio, dove Millar si diverte a pervertire ulteriormente il suo mondo distopico e a massacrare impietosamente tutto ciò che gli capita a mano. Una piccola nota è la comparsa di una versione alternativa della celeberrima Legion of Super-Heroes, la quale, simbolicamente, viene trascinata in un’ondata di violenza enfatizzante, quasi a simboleggiare il ruolo delle tematiche super-eroistiche classiche nel panorama moralmente mutato del fumetto mainstream contemporaneo: rigurgito di coscienza del feroce Millar?
Il giudizio complessivo è tendenzialmente buono: come sempre mi capita con il writer scozzese, ho paura che il finale lasci un po’ l’amaro in bocca; tuttavia, per il momento, nonostante le ovvie divergenze, non mi sento di rimpiangere il buon Ellis. L’innovazione comunque è passata, ma tant’è. (voto 7,5).
Deathblow: By blows. Si conclude questa (francamente inutile) miniserie del grande Alan Moore. Non c’è molto da commentare: sul finale rialza un poco la testa, ma è difficile scovare in questi testi la creatività e il genio del maestro di Northampton. Un divertissement? Forse, ma allora preferisco di gran lunga i Gentiluomini Straordinari, grazie mille. Ah, dimenticavo Jim Baikie (il cosiddetto disegnatore): lo facevo solo per evitare cattiverie… (voto 5, perché oggi mi sento buono).
Wildcats version 3.0. Partiamo con una confessione: non amo sua signoria Joe Casey. Ha buone idee, ma è troppo lento, frammentario, dispersivo. E i dialoghi sono quello che sono.
Nello specifico, debbo dire che sta tentando un curioso esperimento, abbastanza originale. Certo, di grandi corporazioni se ne parla almeno (almeno…) dai tempi di William Gibson, ma l’ottica è interessante. Il problema sono, al solito, i testi farraginosi e spesso incoerenti uniti all’esasperante lentezza. Inoltre, gli inserimenti d’azione sanno troppo di forzatura e gli stacchi narrativi pesano. Difficile dire se i difetti dipendano da un tentativo di spezzare tutti i legami col passato: quest’ultima storia è di certo fortemente omaggiante il sopra citato ciclo di Lobdell, e il confronto è inevitabile. Onestamente, preferisco gli ultimi ’Cats, che perlomeno mostrano di mirare ad un preciso obiettivo. Il che vale pure per i disegni: Nguyen non è Charest, ma almeno progetta tavole e non singoli quadri isolati. Forse ci si diverte di meno. (voto 6).
Non me ne vogliate, ma ho tenuto Planetary per ultimo. Mancava da troppo tempo ed è tornato col botto. Le fila della trama si vanno ricomponendo, i tasselli si sono bene incastrati e Ellis comincia a galoppare. Recupera i personaggi, li fonde assieme e si proietta a testa bassa in quello che dovrebbe essere l’ultimo blocco di storie. Snow sta diventando un personaggio stupendo, i soliti omaggi sono gestiti con la consueta eleganza e la trama generale si becca uno scossone. Riappaiono vecchie conoscenze, si fanno promesse, si ripagano debiti e si avanzano minacce. Attendo trepidante.
Inutile fare confronti coi primi numeri: tutta la serie è un capolavoro. (voto 9).
P.S. Cassaday è magnifico.
Miles Nerini
Parlare di un numero di Wilstorm costituisce sempre una piccola impresa.
Questa rivista ha rappresentato, per molti lettori, un punto di rinascita per il genere super-eroistico quasi coincidente col nuovo millennio. L’impatto coi primissimi numeri fu per certi versi epocale: a parte i discutibili (e discussi) sbarbi di Gen13, residuo modaiolo di un trend assai anni ’90 nel panorama del comicdom, l’attenzione verteva sulle altre tre proposte principali della testata-contenitore. Ovviamente parlo di Wildcats, The Authority e Planetary.
I Gattoni erano nella fase (appena abbozzata) della rinascita Lobdell/Charest: a mio avviso, un’accozzaglia di trame intricatamente non-sense, condite con dialoghi altalenanti e immortalate da variopinte tavole costituite da singole, splendide pin-up, che tutto sapevano, tranne che di story-telling…
L’Authority di Ellis, Hitch e Neary è storia nota, e non serve nemmeno ricordarne l’importanza.
Poi, dulcis in fundo, c’era lo splendido Planetary: serie che da sola avrebbe giustificato l’acquisto della pubblicazione (e uno dei motivi principali per cui sostengo che il fumetto è l’arte più sottovalutata del mondo).
A questo punto, vi starete chiedendo il motivo di un preambolo del genere. La risposta è molto semplice: perché un confronto con allora sembra quasi inevitabile. Ma andiamo (più o meno) con ordine.
The Authority: prosegue lo story-arc “Brave New World”, a suo tempo interrotto dagli episodi realizzati dalla coppia Peyer/Nguyen, a causa degli arci-noti problemi legati alla serie (fra tutti, l’abbandono di Quitely). Si riparte alla grande, almeno in teoria: ad affiancare il prode Millar, come matitista, troviamo “Sua Lentezza” Art Adams. Su questo, niente da dire. Nonostante il suo stile cartoonistico, Adams regge bene le tematiche e la violenza della serie, contribuendo anzi con un tocco di sottile umorismo nero. Certo, bisognerebbe ricordare la netta censura esercitata da Mamma DC su alcune tavole: il tutto ha perso in cattiveria e scorrettezza politica. Tuttavia, la storia scivola via piacevole, con un numero in un certo qual modo di passaggio, dove Millar si diverte a pervertire ulteriormente il suo mondo distopico e a massacrare impietosamente tutto ciò che gli capita a mano. Una piccola nota è la comparsa di una versione alternativa della celeberrima Legion of Super-Heroes, la quale, simbolicamente, viene trascinata in un’ondata di violenza enfatizzante, quasi a simboleggiare il ruolo delle tematiche super-eroistiche classiche nel panorama moralmente mutato del fumetto mainstream contemporaneo: rigurgito di coscienza del feroce Millar?
Il giudizio complessivo è tendenzialmente buono: come sempre mi capita con il writer scozzese, ho paura che il finale lasci un po’ l’amaro in bocca; tuttavia, per il momento, nonostante le ovvie divergenze, non mi sento di rimpiangere il buon Ellis. L’innovazione comunque è passata, ma tant’è. (voto 7,5).
Deathblow: By blows. Si conclude questa (francamente inutile) miniserie del grande Alan Moore. Non c’è molto da commentare: sul finale rialza un poco la testa, ma è difficile scovare in questi testi la creatività e il genio del maestro di Northampton. Un divertissement? Forse, ma allora preferisco di gran lunga i Gentiluomini Straordinari, grazie mille. Ah, dimenticavo Jim Baikie (il cosiddetto disegnatore): lo facevo solo per evitare cattiverie… (voto 5, perché oggi mi sento buono).
Wildcats version 3.0. Partiamo con una confessione: non amo sua signoria Joe Casey. Ha buone idee, ma è troppo lento, frammentario, dispersivo. E i dialoghi sono quello che sono.
Nello specifico, debbo dire che sta tentando un curioso esperimento, abbastanza originale. Certo, di grandi corporazioni se ne parla almeno (almeno…) dai tempi di William Gibson, ma l’ottica è interessante. Il problema sono, al solito, i testi farraginosi e spesso incoerenti uniti all’esasperante lentezza. Inoltre, gli inserimenti d’azione sanno troppo di forzatura e gli stacchi narrativi pesano. Difficile dire se i difetti dipendano da un tentativo di spezzare tutti i legami col passato: quest’ultima storia è di certo fortemente omaggiante il sopra citato ciclo di Lobdell, e il confronto è inevitabile. Onestamente, preferisco gli ultimi ’Cats, che perlomeno mostrano di mirare ad un preciso obiettivo. Il che vale pure per i disegni: Nguyen non è Charest, ma almeno progetta tavole e non singoli quadri isolati. Forse ci si diverte di meno. (voto 6).
Non me ne vogliate, ma ho tenuto Planetary per ultimo. Mancava da troppo tempo ed è tornato col botto. Le fila della trama si vanno ricomponendo, i tasselli si sono bene incastrati e Ellis comincia a galoppare. Recupera i personaggi, li fonde assieme e si proietta a testa bassa in quello che dovrebbe essere l’ultimo blocco di storie. Snow sta diventando un personaggio stupendo, i soliti omaggi sono gestiti con la consueta eleganza e la trama generale si becca uno scossone. Riappaiono vecchie conoscenze, si fanno promesse, si ripagano debiti e si avanzano minacce. Attendo trepidante.
Inutile fare confronti coi primi numeri: tutta la serie è un capolavoro. (voto 9).
P.S. Cassaday è magnifico.
Miles Nerini