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Fabio Volino

Fabio Volino

100% Marvel: Iron Fist 4-5

Con questi due volumi si conclude l'ultima serie regolare di Iron Fist, la più lunga che sia mai stata dedicata a questo personaggio. Al termine della gestione di Ed Brubaker e Matt Fraction, durata 16 numeri, tre erano le questioni rimaste in sospeso: l'arrivo delle cosiddette Armi Immortali nel mondo civilizzato; la rivelazione che da qualche parte esisteva una Ottava Città; ed infine la scoperta da parte di Danny Rand che nessun Iron Fist aveva mai superato i 33 anni di vita.

Il nuovo scrittore, Duane Swierczynski, riparte esattamente da qui e dà una conclusione senza infamia e senza lode a queste vicende. Scopriamo dunque che ogni Iron Fist del passato, con l'eccezione di Orson Randall, è stato ucciso dall'enigmatico Cheng per poter assorbire il potere (il chi) dei guerrieri di K'Un-Lun ed impedire la rinascita del drago Shou-Lao. Dalla battaglia che ne conseguirà, Iron Fist e le Armi Immortali scopriranno un'incredibile verità sull'Ottava Città, e in più c'è un'altra sorpresa che attende il nostro eroe. Un evento che rivoluzionerà decisamente la sua vita.

Nel complesso questa serie è stata gradevole ed ha arricchito la "mitologia" del personaggio di Iron Fist, la quale era rimasta sostanzialmente invariata sin dai tempi della sua creazione negli anni '70 ad opera di Roy Thomas. Un lavoro di restyling che tuttavia va addebitato al solo Ed Brubaker: Duane Swierczynski infatti non ha fatto altro che seguire la sua traccia narrativa (compresa la natura "messianica" degli Iron Fist, la cui età comune di morte non è certo un caso), non aggiungendovi nulla di fondamentale. Nel primo volume lo sceneggiatore di CABLE ha preso le misure del personaggio, nel secondo invece ha provato a dare una sua impostazione alla serie, stroncata però sul nascere a causa della prematura chiusura. Anche se la storia delle Armi Immortali continua ancora in una testata a loro dedicata e che presto vedrà la luce anche in Italia.

Il disegnatore Travel Foreman cerca di non far rimpiangere troppo David Aja. Gli riconosciamo un lavoro onesto, anche se il suo predecessore era decisamente meglio. Più degna di nota la prova del nostrano Giuseppe Camuncoli, alle prese con un nuovo racconto del passato di Orson Randall.
È dunque negli elementi succitati che vanno cercate le ragioni di questa chiusura.

AIR 1-2

Attentati terroristici. Sette segrete. Amori impossibili. Viaggi nel tempo. Morti che tornano in vita. Complotti. Steampunk. Nazioni fantasma. Dei aztechi. Lacrime, segreti e sangue. Un'accozzaglia di cose senza senso? No, molto più semplicemente alcuni degli elementi nei quali ci si può imbattere leggendo AIR, uno dei prodotti Vertigo più originali degli ultimi anni. La serie è incentrata sulla hostess Blythe, la quale, visto il lavoro che svolge, possiede una caratteristica decisamente insolita: la paura di volare.

L'incontro con un misterioso e affascinante ragazzo mediorientale di nome Zayn le aprirà gli occhi su una realtà che mai avrebbe immaginato potesse esistere. Una realtà dove due organizzazioni rivali si contendono il dominio del tempo e dello spazio grazie alla cosiddetta Iperprassi, una particolare forma di teletrasporto e di alterazione della materia. Una lotta in cui finiscono coinvolti anche il dio-serpente Quetzacoatl e la famosa aviatrice Amelia Earhart.
AIR ha esordito nel 2008 e, secondo le intenzioni originali dell'autrice G. Willow Wilson, avrebbe dovuto dipanarsi per un arco di circa quattro anni. Sfortunatamente le vendite non hanno premiato la serie che si è così conclusa col numero 24. Nonostante ciò Planeta DeAgostini ha deciso comunque di proporne un'edizione italiana che si comporrà di quattro volumi (al momento ne sono usciti due).

Ciò che colpisce favorevolmente in AIR è la caratterizzazione dei due protagonisti (Blythe e Zayn), che la sceneggiatrice riesce a rendere davvero "tridimensionali" infondendo in loro anche alcune esperienze personali (G. Willow Wilson è una convertita all'Islam), senza però che l'elemento religioso o politico prenda mai il sopravvento. Al contempo i disegni essenziali e puliti di M.G. Perker contribuiscono a rendere scorrevole la narrazione. Da apprezzare il fatto che Perker non faccia di Blythe la classica "bellona da fumetto", ma le fornisca anche dei difetti fisici che la rendono ai nostri occhi di lettore più autentica.

La pecca principale invece è che l'autrice sembra affetta - per quanto riguarda i personaggi secondari - da una sorta di sindrome da "usa e getta": non appare infatti ben definito il ruolo di alcuni di loro e, una volta usciti di scena, si rimane perplessi circa le motivazioni delle loro azioni.

The Unwritten 1

Gli ultimi anni della scena letteraria sono stati dominati (nel bene e nel male) dalla saga del giovane mago Harry Potter, realizzata della scrittrice J.K. Rowling ed oggetto anche di una fortunata serie cinematografica che sta per concludersi. Una saga che ha generato una vera e propria mania, con orde di fan pronti a vestirsi come i personaggi amati e sicuri che da qualche parte su un binario invisibile di una stazione ferroviaria di Londra ci sia un treno che porta all'accademia di Hogwarts.

Per The Unwritten Mike Carey ha preso sicuramente spunto da questo fanatismo e da questa saga, anche se tra le sue fonti lo sceneggiatore inglese cita anche l'autobiografia di Christopher Mine, figlio dell'autore dei libri di Winnie Pooh in cui compare un personaggio palesemente ispirato a lui. Tuttavia, come tutti i grandi sceneggiatori, Carey ha saputo trasformare il tutto in qualcosa di unico e particolare. La storia si incentra su Tom Taylor, figlio di uno scrittore scomparso misteriosamente nel nulla ed autore di una lunga e celebrata saga letteraria che vede protagonista il giovane mago Tommy Taylor. Come facilmente intuibile, i fan vedono in Tom l'ispiratore di tutto e costui non si fa troppi scrupoli nello sfruttare questa cosa per vivere di rendita. Ma Tom non può immaginare quali orrori lo attendono...

Non è certo la prima volta che una storia parla di quanto possa essere sottile il confine tra realtà e finzione, però The Unwritten non si limita solo a questo: è anche una felice analisi ed un attacco all'isterismo mediatico della società moderna e di come essa costruisca e distrugga presunti miti con la stessa facilità con cui si estingue la fiamma di un fiammifero. Degni di nota anche i disegni di Peter Gross, che prosegue qui la collaborazione con Carey iniziata in Lucifer, specializzato in atmosfere magiche. Costui dà il meglio di sè nell'ultimo episodio, apparentemente slegato dal contesto principale, in cui si analizza la vita dello scrittore Rudyard Kipling ed il panorama letterario di fine Ottocento/inizio Novecento.

Non c'è da spaventarsi di fronte a tutti questi riferimenti culturali e storici, essi sono facilmente fruibili da chiunque.

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