Nell’autunno del 2012 l’intero parco testate Marvel viene interessato da un rilancio denominato Marvel NOW!. Come conseguenza diretta dell’evento Avengers VS X-Men, che ha impazzato negli albi della Casa delle Idee durante l’estate precedente, tutti i principali personaggi subiscono un restyling e un cambio di team creativo. In quel momento, chi segue abitualmente le testate Marvel non ha ancora la percezione che, in quella sarabanda di cambiamenti da cui sono interessate, stanno nascendo almeno due grandi classici moderni: se gli Avengers di Jonathan Hickman sono già attesi da notevoli aspettative, la vera sorpresa è costituita dal Thor di Jason Aaron. Perché se è vero che nel 2012 Aaron è uno dei giovani sceneggiatori più interessanti su piazza, che ha all’attivo l’ultima serie cult della storia della Vertigo, Scalped, e ha già lavorato per la Marvel realizzando ottimi cicli di Ghost Rider e Wolverine, nessuno può comunque immaginare che sta per rilasciare un ciclo di Thor che segnerà la storia del personaggio. Una run che i lettori metteranno sul podio delle migliori di sempre a lui dedicate, dietro solo a quelle mitiche firmate Stan Lee/Jack Kirby e Walter Simonson.
Il Thor di Jason Aaron debutta quindi nell’ottobre 2012, con i disegni di un altro autore che da giovane promessa si è ormai trasformato in splendida certezza, Esad Ribic. Aaron introduce subito un villain che diventerà uno dei più temibili mai affrontati dal Tonante, Gorr l’uccisore di Dei, un personaggio segnato dal dolore e dal lutto, condizione che lo porta a rifiutare il concetto stesso della possibile esistenza di un Dio. L’arrivo di Gorr coinciderà per Thor con l’inizio di un percorso personale che lo porterà per la prima volta ad esplorare il proprio senso di inadeguatezza mettendo persino in discussione il suo ruolo di divinità.
Il ciclo di Aaron è una lunga epopea in tre capitoli, che raccontano la crisi e la caduta di Thor, l’ascesa di Jane Foster nel ruolo di Dea del Tuono e la lotta contro la malattia che l’ha colpita, la Guerra dei Reami e il ritorno di Thor Odinson al ruolo che gli spetta. Nel 2019, per concludere una lunga saga che gronda epica da ogni pagina, Jason Aaron e Esad Ribic sono tornati a collaborare per King Thor, miniserie di 4 numeri che chiude tutte le trame lanciate dallo scrittore nel corso del suo ciclo.
King Thor riprende una delle idee più interessanti proposte dallo sceneggiatore dell’Alabama durante la sua run settennale, quella di un Thor anziano che, millenni nel futuro, ha ereditato dal defunto Odino il ruolo di Re di Asgard e di Padre di Tutti. Peccato che la cittadella degli Dei sia ormai in rovina come la Terra, ricreata con un atto d’amore dallo stesso Thor. E l’universo stesso, sull’orlo della distruzione, non se la passa affatto bene. In questo scenario apocalittico alla fine dei tempi si svolge lo scontro finale tra Thor e il fratellastro Loki, ora detentore della All-Black, la Necrospada un tempo impugnata da Gorr. Che potrebbe tornare per un’ultima sfida…
Jason Aaron chiude il cerchio del suo epico ciclo di Thor tornando dove aveva iniziato 7 anni prima. Una chiusura perfetta per un ciclo di 100 storie per il quale lo scrittore si riunisce al disegnatore col quale aveva debuttato sulla serie del Tonante, Esad Ribic, e col quale aveva ideato Gorr, il Macellatore di Dei, nonché la versione futura di Thor protagonista di questa miniserie che rappresenta davvero la summa del lavoro svolto dallo sceneggiatore sul personaggio. In queste pagine ci sono tutti le tematiche importanti che Aaron ha saputo infondere nel suo ciclo, elevandolo sopra la media del fumetto mainstream: la conoscenza di se stessi e la consapevolezza del proprio ruolo nell’ordine delle cose, i dubbi sulle proprie reali capacità, il timore della propria inadeguatezza (che in queste pagine si traduce nei dubbi che lo stesso Thor ha nei confronti del suo ruolo di dio e sugli dei in generale, posizione che tradisce l’ateismo di Aaron di cui lo stesso autore non ha mai fatto mistero), i difficili rapporti con la propria famiglia (il fratello Loki), con le proprie origini di cui si cerca di essere degni (il padre Odino) e l’eredità che ci lasciamo alle spalle, che nel caso di Thor è rappresentato dalle nipoti guerriere Atli, Ellisiv e Frigg. Ma non solo: in un afflato meta narrativo che ha contraddistinto tutta la sua gestione, Aaron ci parla del valore salvifico del racconto, della funzione delle storie che ci eternano nella leggenda. Ci saranno sempre storie di Thor, anche dopo l’addio dello sceneggiatore, che nella commovente postfazione saluta i lettori dopo sette anni di perfetta gestione di un personaggio che, ci racconta, non avrebbe mai pensato di scrivere e che ora gli mancherà terribilmente.
Il commiato di Aaron è splendidamente illustrato dalle matite di Esad Ribic e dai colori di Ive Svorcina, da qualche anno collaboratore prediletto dell'artista croato. La palette di colori digitali di Svorcina conferisce profondità ed epica alle matite di Ribic, dando vita a tavole mozzafiato il cui valore travalica i confini di un comic book echeggiando i grandi pittori del passato. Affreschi che trasudano epos, di grande impatto evocativo, che conferiscono grandezza e possanza all’ultimo canto (per ora) di un ciclo che è già entrato nella leggenda. E per celebrare la fine di questa indimenticabile run ecco sfilare, nell'ultimo capitolo, gli altri artisti che hanno accompagnato Aaron in questi sette anni, Russell Dauterman, Mike del Mundo e Das Pastoras, ospiti come Chris Burnham, Andrea Sorrentino e Oliver Coipel, che ha legato il proprio nome al ciclo di Thor scritto da J.M. Straczynski.
Un vero e proprio "parterre des rois" per chiudere quello che sarà ricordata come una delle gestioni chiave della storia fumettistica del Dio del Tuono.