Esistono luoghi che fanno parte della nostra storia personale, coi quali condividiamo un profondo legame e in cui risiedono mille ricordi, posti che diventano col tempo una parte di nio stessi. La nostra casa d'infanzia, quella dei nostri nonni, magari la nostra città o il nostro luogo di lavoro. Magari una residenza estiva costruita, mattone dopo mattone, da nostro padre per passare lì le vacanze, un’abitazione eretta con amore e con fatica a cui, però, basta un anno di disuso per farla decadere.
Paco Roca parte da un lutto familiare, la morte di suo padre, per dare vita a La Casa, un lavoro al limite della perfezione per sensibilità e narrazione.
Si inizia dalla prima tavola in cui, in una sequenza da manuale, vediamo gli ultimi istanti di vita di un uomo. Poi, le stagioni che passano e la casa che si “consuma”. Un anno è passato dalla morte del suo proprietario, padre di tre figli, e proprio questi ultimi si ritroveranno lì per cercare di risistemarla e renderla più presentabile per eventuali acquirenti. Nel farlo, però, si rendono conto che quella casa ha un valore ben più alto per loro di quanto credevano.
Singolarmente, i tre figli inizieranno i lavori di ristrutturazione, per poi incontrarsi e confrontarsi, lavorando fianco a fianco. In questo modo, Roca costruisce la sua storia procedendo per confronti e contrasti, mettendo in risalto le caratteristiche differenti dei tre personaggi e il loro rapporto col padre. Emerge, così, una scoperta continua, di un uomo e di una casa, forse entrambi da rivalutare. Ma anche di affetti, di emozioni, sepolti sotto gli strati della memoria, messi da parte dal passare del tempo.
Nonostante l’argomento delicato, Roca non cade mai in facili sentimentalismi e affronta i ricordi e le emozioni con il piglio di un grande narratore. Di contro, dà sostanza al racconto ed evita di perdersi in giri vuoti e fini a se stessi. Si percepisce che La Casa è un racconto sincero e sentito ed è impossibile non fermarsi di tanto in tanto e perdersi in ricordi personali, che sia per qualcosa fatto insieme ai nostri genitori o ai nostri nonni/zii, poco importa. Quello che Roca narra è un racconto universale, tanto realistico da essere reale.
La casa diventa un luogo di ricongiungimento, una testimonianza della nostra storia, le sue fondamenta si fondono così con le nostre radici.
Roca si sposta avanti e indietro nel tempo, lasciandoci scoprire dettagli sparsi come un puzzle da ricomporre. Semina il tutto con pazienza, senza mai premere sull'acceleratore, raccontando con leggerezza e naturalezza una storia semplice, ma profonda e sincera.
L’attenzione e la cura non riguardano solo l’aspetto narrativo e il suo intreccio, ma anche il tratto dell’autore, la sua linea chiara che è perfetta per quanto delicata. D’altronde, Roca ha dimostrato tutta la sua abilità in tal senso già ai tempi del pluripremiato Rughe, anche in quel caso un’opera non semplice da realizzare.
Questa volta, però, ad essere insolito è il formato orizzontale, che possiamo definire “widescreen”, eventualmente per cadenzare meglio il ritmo della narrazione con uno scorrere più incalzante. Quantomai importante è non solo l'attenzione rivolta alla rappresentazione degli stati d'animo dei personaggi, ma anche la cura dei dettagli, in particolare per la l'arredamento e per la fisionomia dell'abitazione, che le conferiscono un'identità precisa e la rendono protagonista.
La Tunué prosegue nella proposizione italiana delle opere di Paco Roca, un’artista ormai imprescindibile, con un volume elegante e curato in ogni aspetto che conferisce piena dignità a un lavoro da avere nella propria libreria.