The Magic Order, recensione: la prima opera di Mark Millar per Netflix
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Da tempo, ormai, l’uscita di una nuova opera di Mark Millar è accompagnata dal pregiudizio che il cartoonist scozzese ne decida i contenuti in vista di un possibile sfruttamento cinematografico o televisivo. Questo comprensibile atteggiamento mentale è stato ulteriormente legittimato da quando, nel 2017, Netflix ha annunciato di aver acquisito il Millarworld, l’etichetta sotto la quale l’autore di Kick-Ass da parecchi anni pubblica ogni sua nuova creazione. Quindi, è con un po’ di scetticismo sulla qualità della serie che ci siamo avvicinati a The Magic Order, primo frutto della collaborazione tra il colosso dello streaming e Millar, pubblicato di recente in Italia dalla Panini Comics in un elegante volumetto cartonato. Alla fine della lettura, però, ci siamo dovuti ricredere. Sia chiaro, è evidente l’utilizzo da parte del fumettista scozzese di personaggi accattivanti e di tematiche capaci di attrarre l’attenzione del pubblico mainstream, ma rispetto a opere come The Secret Service (poi, effettivamente, diventata una trilogia cinematografica), Chrononauts o Huck, dove era piuttosto forte l’impressione di essere di fronte più a uno storyboard che a un fumetto vero e proprio, in questo caso la qualità della narrazione è di ben altro livello.
The Magic Order racconta di una millenaria congregazione di maghi, che si nasconde dal resto dell’umanità, al fine di proteggerla da mostruose minacce sempre pronte a colpire il nostro mondo. Questa nobile missione comincia a essere messa a rischio quando un potente stregone inizia a uccidere i membri più in vista dell’ordine, tra cui quelli della famiglia Moonstone, che ha l’onere di evitare che l’Orichalcum finisca in mani sbagliate. Esso, infatti, è un libro antichissimo e impossibile da distruggere e che contiene oscuri incantesimi di cui nessuno deve venire a conoscenza. Tanto che il suo custode, prima di prenderne possesso, deve giurare di non aprirlo mai. Pur non conoscendo l’identità dell’assassino, viene subito rivelato il suo mandante, Madame Albany, uscita dall’ordine parecchi anni prima, perché contrariata di non essere diventata lei la custode dell’Orichalcum.
L’autore scozzese ha dichiarato di considerare The Magic Order un incrocio tra I Soprano e Harry Potter, ma in realtà le similitudini tra il fumetto e le due opere appena citate sono ben poche. Non si possono negare alcune strizzatine d’occhio ai personaggi creati da J.K. Rowling (i maghi che conducono una vita normale, pur lavorando nell’ombra per la loro vera missione, oppure l’utilizzo da parte di essi di strambi incantesimi come esiliare le persone nelle pagine di un romanzo o nascondere la propria dimora all’interno di un quadro). Tuttavia, non è sufficiente avere delle famiglie in lotta per vedere delle somiglianze con I Soprano. Senza considerare che dell’ironia della nota serie televisiva della HBO non c’è praticamente traccia. Fin dalle prime tavole, infatti, l’atmosfera è cupissima (accentuata anche dai colori oscuri e volutamente spenti di Dave Stewart) e i rari momenti leggeri sono quasi tutti confinati alla pessima condotta di Cordelia Moonstone, uno dei personaggi meglio caratterizzati della serie. Più corretto considerare The Magic Order un fantasy-thriller, per usare un’altra descrizione usata da Millar per la sua opera. Proprio la presenza della magia è l’insolito ingrediente che permette alla vicenda di discostarsi dalla consueta trama capace di vivere solo di momenti di tensione (anche se non ci vengono risparmiati passaggi particolarmente efferati), e che conferma la grande inventiva che Millar ha mostrato parecchie altre volte in passato. L’autore scozzese, inoltre, non perde il gusto di voler sorprendere il lettore fino alla fine, regalandoci nelle ultime pagine due colpi di scena, di cui, almeno il primo, difficilmente pronosticabile, anche se logico, visto a posteriori.
Millar, dopo la trasposizione cinematografica di Wanted ha intuito prima di tutti le potenzialità di possedere un folto numero di personaggi e di storie da poter essere utilizzate per un adattamento cinematografico di successo, diventando, così, l’imprenditore di sé stesso (un processo arrivato a compimento con l’arrivo di Netflix). Non crediamo, quindi, che sia possibile rivedere, almeno nell’immediato futuro, il Millar di The Ultimates, una delle sue opere più celebrate. All’epoca, non ancora attratto dalle sirene di Hollywood, l’autore scozzese era esclusivamente interessato a realizzare fumetti di qualità, cercando non solo di intrattenere il lettore, ma anche di portarlo a riflettere. La differenza più evidente tra i suoi fumetti dei primi anni e quelli più recenti, infatti, è la pressoché totale assenza, in questi ultimi, di temi legati all’attualità politica e sociale, attraverso i quali Millar non mancava di far conoscere la propria visione del mondo. Persino un evento editoriale di grosse proporzioni come Civil War gli era servito per commentare, in maniera neanche tanto nascosta, gli avvenimenti più importanti del periodo. Già con Jupiter’s Legacy, però, ma anche nella più recente incarnazione di Kick-Ass, il modo di raccontare di Millar è sembrato riavvicinarsi a quello degli esordi, quasi a dimostrare, ai suoi sempre più numerosi detrattori, di essere ancora un narratore di razza. Non sorprende, quindi, che The Magic Order confermi quanto di buono si sia visto negli ultimi anni.
Chi è risultato un po’ al di sotto delle aspettative, invece, è Oliver Coipel, da cui, obiettivamente, era lecito aspettarsi qualcosa di più. Il bravissimo disegnatore francese ci aveva abituati a tavole eleganti, spesso impreziosite da sfondi molto elaborati e ricchi di dettagli. Ma nonostante l’aperto utilizzo della magia da parte di tutti i protagonisti, che avrebbe dovuto permettergli di dare libero sfogo alla sua fantasia, e ad arrivare a soluzioni visive più ardite, sono molto pochi i passaggi davvero memorabili. Anche i volti dei personaggi, pur tratteggiati con la solita maestria, non sempre risultano particolarmente espressivi. Coipel dà l’idea di aver lavorato un po’ troppo “di maniera”, limitandosi, di frequente, al minimo indispensabile. Un vero peccato, considerando anche la grande stima che Millar non ha mai nascosto di avere nei suoi confronti.