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Jeff Lemire e Dustin Nguyen raccontano i primi giorni di Jason Todd come Robin

  • Pubblicato in News
Jeff Lemire, creatore di Sweet Tooth, e l'artista Dustin Nguyen si riuniscono per creare un seguito della loro miniserie del 2022, Robin & Batman. Se la serie originale raccontava i primi giorni di collaborazione tra Batman e Dick Grayson, questa nuova miniserie di tre numeri si concentra su Jason Todd, il secondo Robin, un ragazzo problematico che ha combattuto al fianco di Bruce Wayne negli anni '80 prima di essere ucciso dal Joker.

La sinossi della serie afferma: "Batman ha un nuovo Robin, Jason Todd. Jason è un ragazzo impulsivo e spericolato con un passato difficile, ma Batman credeva che potesse diventare il prossimo protettore di Gotham. Tuttavia, può il Cavaliere Oscuro salvare Jason dalla sua oscurità interiore? E quando un misterioso nuovo villain, avvolto in un panno bianco e misterioso, mette gli occhi su Jason, Batman si rende conto che anche lui potrebbe non avere le capacità per addestrare il suo giovane protetto e fargli superare la sua rabbia e il tormento."

Jason Todd, creato da Gerry Conway e Don Newton, fu introdotto nel 1983 in Batman #357, ma dovette aspettare diversi numeri prima di assumere il ruolo di Robin (dopo che Dick Grayson diventò Nightwing nei New Teen Titans). Dopo Crisi sulle Terre Infinite del 1985, la DC rilanciò molti titoli, e la nuova origine di Jason come Robin non fu ben accolta dai fan.

Nel 1988, l'editore di Batman, Dennis O'Neil, propose un'iniziativa tramite un sondaggio telefonico che avrebbe determinato il destino di Jason Todd. I lettori scelsero di farlo morire per mano del Joker, nella storica Una morte in famiglia. Recentemente, la DC ha pubblicato la versione "perduta" che mostrava Jason sopravvivere.

Jason è rimasto morto a lungo nei fumetti, prima di ritornare ufficialmente nel 2005 come Cappuccio Rosso, diventando un alleato e avversario di Batman. Robin & Batman: Jason Todd #1 sarà pubblicato dalla DC il 11 giugno.

Di seguito potete vedere la copertina principale del primo numero realizzata dall'artista della serie Dustin Nguyen, seguita dalle variant di Nguyen, Lemire, Rafael Albuquerque e John McCrea.

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Sweet Tooth - Il Ritorno, recensione: nel futuro della distopia di Jeff Lemire

Sweet Tooth Il Ritorno

Invitato sul set della trasposizione televisiva tratta dalla sua apprezzata serie a fumetti Sweet Tooth, Jeff Lemire ha potuto toccare con mano come la sua idea originale potesse essere ripresa e declinata per un nuovo pubblico, in un mondo che improvvisamente si trova a fare i conti con una pandemia diversa a quella descritta nella sua opera perché tristemente reale. Difficile pensare che l’autore canadese non avrebbe rimesso mano ad uno dei suoi lavori più celebrati, in un momento in cui la comunità internazionale si trova ad affrontare uno scenario di cui la serie sembra essere stata, col senno del poi, un’allegoria premonitrice.

Sweet Toothdi cui abbiamo parlato recentemente in occasione della ristampa targata Panini Comics – ci portava in un futuro prossimo, in cui l’umanità è stata decimata da una pandemia scoppiata improvvisamente, causando il collasso della civiltà. Sette anni dopo, il mondo è testimone della comparsa di una nuova razza di ibridi, metà uomini e metà animali. Questi esseri sembrano essere immuni al contagio, e diventano subito preda di cacciatori senza scrupoli che vogliono catturarli per venderli come cavie a scienziati intenzionati a vivisezionarli per motivi di studio. Tra gli ibridi troviamo Gus, il protagonista della storia, orfano metà bambino e metà cervo che vive nei boschi del Nebraska. Insieme al misterioso Jepperd, uomo della provvidenza che lo salva da un gruppo di bracconieri che stavano per catturarlo, Gus vive un’epopea on the road che sarà un vero e proprio viaggio di formazione, dall’epilogo malinconico.

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Lemire aveva dato alla sua opera una chiusura perfetta, quindi l’idea stessa di un possibile sequel era piuttosto complicata da seguire. L’autore è ricorso ad un escamotage narrativo, quello di spostare il racconto trecento anni dopo gli eventi narrati nella serie originale. In questo futuro distopico di un futuro distopico, una razza umana quasi estinta sopravvive in una sparuta comunità che vive sotto un bunker. Il gruppo di sopravvissuti conduce un’esistenza stanca e rassegnata, tanto per la propria situazione quanto per la teocrazia esercitata dal Padre, l’autoproclamatosi leader della comunità che vive circondato da milizie e servitori in una residenza avvolta dal mistero. Misteriose, infatti, sono le sparizioni di molti dei bambini del villaggio che sembrano collegate alle losche attività che si svolgono nel palazzo. Incapace di ribellarsi al regime del Padre, la comunità confida nella profezia di un salvatore ibrido che li libererà e riporterà la specie umana in superficie. E in effetti, a loro insaputa, quell’ibrido è già nato. Si chiama Gus, come il bambino cervo della serie originale con cui non sembra però avere alcun legame, e vive in gran segreto nel palazzo del Padre. Cresciuto in un ambiente rigido e chiuso da cui è impossibile evadere, Gus non ha ricordi del suo passato anche se ha spesso visioni che sembrano ricordi di una vita precedente. La sua naturale passione per la verità lo porterà a scoprire il terribile segreto custodito nel palazzo del Padre e a ribellarsi, regalando una nuova chance di vita e di libertà al gruppo di sopravvissuti.

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Leggendo Sweet Tooth – Il Ritorno si intuisce facilmente il motivo per cui Jeff Lemire ha ripreso in mano una delle sue opere più celebri, peraltro già perfettamente compiuta: la necessità di dare un messaggio di speranza ad un mondo che sta affrontando una pandemia tremendamente reale. Se la collana originale voleva essere da monito ad un’umanità che si stava perdendo, questa nuova uscita vuole essere un auspicio di superamento del momento più buio affrontato dall’umanità stessa negli ultimi decenni. L’autore si spinge oltre, suggerendo un’uscita dalla crisi che non riguardi solo un gruppo sociale ma l'intera popolazione nel suo complesso. L’allegoria del mondo nuovo che aspetta in superficie tanto gli umani quanto gli ibridi è emblematica in tal senso.

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La storia perde il dinamismo della serie originale, il viaggio on the road con la dinamica padre-figlio ricca di echi de La Strada di Cormac McCarthy, optando per una unità di luogo rappresentata essenzialmente dal bunker sotterraneo. Ciò non toglie la possibilità ad un narratore sopraffino come Lemire di sorprendere il lettore con twist di sceneggiatura che lo faranno sobbalzare sulla sedia. Come nella collana originale, Lemire si assume anche l’onere delle matite oltre a quello dei testi. Conosciamo ormai molto bene il suo stile semplice ma non grossolano, memore delle origini indie dell’artista, il suo tratto grezzo ma non dozzinale, fortemente empatico, antitesi della spettacolarità ma proprio per questo capace come pochi di trasmettere emozioni che vanno dritte al cuore del lettore.

Panini Comics propone Sweet Tooth – Il Ritorno nella sua ormai consolidata linea di cartonati "Black Label" dedicata alle proposte DC Comics d’autore, un formato di prestigio per un’opera che farà felici i fan della serie originale, ma che potrebbe spiazzare i nuovi lettori ignari degli avvenimenti precedentemente narrati.

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Black Hammer/Justice League - Il Martello della Giustizia, recensione: giocare con gli archetipi

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Quando Black Hammer fece la sua comparsa sugli scaffali dei comic shop nel 2016, fu evidente come il suo creatore Jeff Lemire stesse portando la fiaccola del decostruzionismo e della metatestualità nel fumetto di supereroi contemporaneo. Collocatosi sul solco di classici moderni come il Supreme di Alan Moore e Astro City di Kurt Busiek e Alex Ross, Black Hammer è un fumetto in cui il genere supereroistico riflette su se stesso e sui suoi meccanismi ben conosciuti dal suo autore che è un fan sfegatato del genere stesso. Ne abbiamo parlato più volte in passato, sottolineando come Black Hammer sia prima di tutto un omaggio commosso di Lemire alle sue letture d’infanzia, di cui si avvertono potenti gli echi in ogni vignetta.

Già la vicenda in sé, che racconta di un quintetto di eroi che, impegnati a sventare una crisi dimensionale causata dal malvagio Anti – Dio, scompaiono improvvisamente dalla metropoli Spiral City finendo per essere ritenuti morti, ricorda un evento chiave della storia del fumetto americano come Crisi sulle Terre Infinite. Se nella saga spartiacque della storia della DC Comics gli eroi della Golden Age sacrificatisi durante la battaglia finale contro l’Anti – Monitor sopravvivevano in una sorta di “dimensione tasca”, in Black Hammer gli eroi scomparsi riappaiono nella contea di Rockwood, in una provincia rurale dimenticata da Dio dove i supereroi non sono mai esistiti. L’ambiente campagnolo diventa così il limbo in cui gli eroi si ritrovano esiliati loro malgrado, costringendoli a svestire le calzamaglie per accettare una nuova esistenza agreste, lontana dalla gloria che fu, riservata solo a fulminanti flashback. Memorie di imprese epiche lontane nel tempo in cui il lettore può rintracciare echi delle proprie letture d’infanzia. In questo gioco di riferimenti sparsi, una caccia al tesoro metatestuale che costituisce la cifra stilistica che caratterizza l’opera, i lettori potranno facilmente riconoscere nei protagonisti l’omaggio di Lemire ad alcuni dei personaggi classici della DC Comics: se Abraham Slam si rifà tanto ad Atom e a Wildcat della Justice Society of America, Golden Gail richiama Shazam, Barbalien fa pensare al Martian Manhunter della Justice League, Il Colonnello Weird è un omaggio alle avventure sci-fi di Adam Strange mentre dietro Madame Dragonfly si cela la Madame Xanadu delle testate horror DC degli anni ’70.

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Dopo aver deliziato il lettore con quattro volumi (e numerosi spin-off) pieni di omaggi e strizzate d’occhio al genere supereroistico, il passo successivo compiuto dall’autore è stato quello di ospitare tra le pagine della sua serie, che è un’analisi del genere stesso, i simboli per antonomasia del comicdom, ovvero Superman, Batman e i colleghi della Justice League. Una scommessa azzardata, quella di rendere scoperto il gioco di rimandi per iniziati che ha caratterizzato Black Hammer finora, contaminandolo con le icone reali del fumetto di supereroi, che si rivela però vincente grazie alla verve narrativa di Lemire. Dando per scontato che il lettore conosca i personaggi della sua fortunata opera, l’autore mette in scena un team-up insolito fra i suoi esuli e la Lega più celebre della storia del fumetto, partendo non da un classico incontro ma da uno scambio di ruolo: grazie all’intervento di un misterioso personaggio magico, che sembra poter passare da un universo all’altro senza problemi, i due supergruppi si ritrovano improvvisamente uno nell’habitat dell’altro. Così Abe e i suoi si ritrovano catapultati a Metropolis sostituendo la League durante una dura battaglia contro Starro; intanto, Batman, Superman, Wonder Woman, Cyborg e Flash prendono il loro posto nella quieta contea di Rockwood. Mentre gli esuli di Black Hammer vengono affrontati da Aquaman, Hawkgirl, Martian Manhunter e il resto della Justice League, che li crede responsabili della scomparsa dei loro amici, a Rockwood Bruce, Clark, Diana e gli altri vivono un’esistenza rurale nella loro fattoria dove trascorrono dieci anni, a causa di una bizzarra anomalia temporale. Ma forse le cose non stanno proprio così, e la rivelazione dell’identità del misterioso (ma non troppo) villain porterà la vicenda verso una risoluzione da classico team-up.

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Black Hammer/Justice League: Il Martello della Giustizia è una deviazione godibile e fracassona dalla narrazione principale dell’epopea citazionista di Lemire, nata dall’ evidente desiderio dell’autore di far incontrare le sue creazioni con molti degli archetipi che li hanno ispirati, vedi i siparietti tra Barbalien e Martian Manhunter, l’incontro tra Madame Xanadu e Zatanna, o quello tra il Colonnello Weird e gli eroi spaziali per eccellenza dell’universo DC, il Corpo delle Lanterne Verdi. Il risultato è quello di un’opera meno centrata della serie principale dal punto di vista del rigore formale e del citazionismo, ma che rimane comunque all’insegna dell’intrattenimento di qualità e della forte cifra autoriale tipica dell’autore.

In assenza del disegnatore titolare di Black Hammer Dean Ormston, l’onere delle matite è affidato a Michael Walsh, autore di provenienza indie che, seppur dotato di un tratto più realistico di quello del collega, riesce a mantenere una continuità stilistica con l’opera principale all’insegna di uno storytelling semplice ma non privo di efficacia, all’insegna dell’anti – spettacolarità. Una scelta insolita per un crossover tra supereroi, che ne denuncia ulteriormente la vocazione autoriale.

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Black Hammer/Justice League: Il Martello della Giustizia viene presentato da Panini Comics in un pregevole cartonato da libreria, corredato da preziosi extra tra cui le numerose copertine variant dell’edizione statunitense e i bozzetti di Walsh, che si segnala soprattutto per gli ottimi redazionali di Andrea Gagliardi, indispensabili per inquadrare l’opera nel contesto decostruzionista a cui appartiene e per il prezioso approfondimento critico.

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Sweet Tooth 1 - Fuori dalla foresta, recensione: il futuro apocalittico di Jeff Lemire

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Autore tra i più interessanti emersi nello scorso decennio, Jeff Lemire è stato quello che ha compiuto in maniera più disinvolta la transizione da artista “indie” a star del comicdom al servizio delle due major principali, Marvel e DC, di cui ha scritto alcune delle principali icone. Anche nei suoi lavori mainstream è spesso possibile rintracciare la sua voce più autentica, quella vena malinconica che animava lavori come Essex County, il suo esordio folgorante, o capolavori come Il Saldatore Subacqueo. Una nostalgia avvolgente per un’età dell’oro perduta, poco importa se sia mai stata effettivamente vissuta dai protagonisti e se si sia svolta solamente nelle loro speranze e nei loro desideri. Una sensibilità che accomuna tanto i supereroi “esiliati” di Black Hammer quanto i “losers” provinciali di Niente da perdere, personaggi che hanno il meglio del loro vissuto alle spalle. Non stupisce quindi che Lemire si sia cimentato anche con la fantascienza distopica con Sweet Tooth, il suo primo successo targato DC/Vertigo, oggi ristampato nella linea Black Label in occasione del debutto della omonima serie Netflix da esso tratta.

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Quando il primo numero esce nel 2009, gli Stati Uniti ed il mondo sono attraversati dalla crisi finanziaria dovuta al fallimento della Lehmann Brothers, mentre l’OMS dichiara pandemico il contagio dell’influenza suina H1N1. La certezza di un futuro sereno, patrimonio delle generazioni successive al periodo bellico, comincia seriamente a vacillare. Improvvisamente la distopia post-apocalittica appare nuovamente il genere capace di raccontare un domani carico di incertezze, invadendo i media. The Walking Dead, hit a sorpresa della Image Comics, ispirerà di li a breve una serie tv di grandissimo successo, che sarà il vessillo di questa rinnovata tendenza. La premessa di Sweet Tooth è simile a quella dell’opera di Robert Kirkman, ma con esiti diversi. Anche qui c’è un morbo che ha devastato l’umanità, che i sopravvissuti hanno ribattezzato “l’afflizione”. Una pandemia che ha ucciso milioni di persone, causando il collasso della civiltà. Sette anni dopo, il mondo è testimone della comparsa di una nuova razza ibrida, parte uomo e parte animale. Uno di questi bambini è Gus, dalle fattezze di cervo e dall’animo gentile, che vive recluso in un rifugio nei boschi del Nebraska con il padre. L’uomo ha costretto il figlio all’isolamento fin dalla nascita, vuoi perché gli ibridi sono cacciati per essere studiati in quanto immuni al contagio, vuoi per il timore di un mondo dove le leggi sono saltate e vige solamente quella del più forte.

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Un giorno Gus si sveglia e trova il padre morto nel suo letto. Il ragazzo cervo, orfano di madre già da tempo, ora è solo. Desideroso di scoprire cosa si nasconde al di là del bosco, viene sorpreso da un gruppo di cacciatori decisi a catturarlo: Gus sta per soccombere, quando viene salvato da un uomo misterioso, Jepperd, che gli promette di portarlo in un luogo in cui vivono altri ibridi, “la Riserva”, e dove potranno prendersi cura di lui. Comincia così un viaggio on the road attraverso una frontiera americana post – apocalittica piena di pericoli e di strani incontri, verso un colpo di scena finale non del tutto inaspettato ma comunque efficace.

A distanza di 12 anni dalla sua uscita, Sweet Tooth non ha perso nulla della sua forza, anzi risulta più attuale che mai a causa della tremenda prova a cui la reale emergenza pandemica ha sottoposto l’umanità intera. Troviamo mescolati in una sintesi efficace alcune delle tematiche più care all’autore e dei suoi stilemi più tipici: fantascienza distopica, racconto post – apocalittico (in molti hanno notato richiami tanto a L’Ombra dello Scorpione di Stephen King quanto a La Strada di Cormac McCarthy) ma anche romanzo di formazione in un contesto ostile, quell’America rurale già protagonista delle opere più riuscite dell’autore. Un ambiente apparentemente rassicurante che è invece lo scenario in cui si sfogano gli istinti più violenti dell’uomo, come tanta fiction dell’ultimo decennio ci ha insegnato, a partire da True Detective. Ma Sweet Tooth si legge su più livelli: è possibile riconoscervi uno degli stereotipi più caratteristici delle favole nella sequenza in cui Gus viene invitato da Jepperd ad uscire dal suo rifugio e a seguirlo grazie ad una barretta di cioccolato, che, come i dolciumi delle fiabe, lo ingolosisce e sembra promettergli un’avventura a lieto fine. Ma l’opera di Lemire può essere interpretata anche come una parabola ecologista, che ammonisce il lettore sullo sfruttamento della natura da parte dell’uomo, o come semplice metafora della difficoltà di un’anima sensibile a vivere nella società di oggi.

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Sensibilità dimostrata da Lemire nella sua doppia veste di scrittore/disegnatore: i suoi testi, improntati ad un forte lirismo, sono accompagnati dalla sua usuale matita grezza, poco accattivante a prima vista, che caratterizza le sue opere indipendenti. Un tratto ruvido, graffiante, a volte appena abbozzato, che riesce tuttavia a trasmettere magistralmente tanto la tenerezza dei passaggi più intimisti quanto la crudezza di quelli più violenti. Le tavole sono spesso giocate su primi piani che danno risalto alle espressioni dei personaggi, trasmettendone con efficacia i sentimenti, soprattutto lo smarrimento di Gus di fronte ad un mondo che non comprende. La dimensione volutamente naif dello stile di Lemire non deve però tranne in inganno il lettore, perché l’autore canadese sciorina nel corso del volume tutte le sue notevoli doti di storyteller, grazie ad una composizione dinamica che alterna primi piani a splash-page e che esalta la sua abilità nel montaggio (si veda, a tal proposito, la concitata scena nella camera d’albergo nel penultimo episodio giocata sul montaggio alternato di zoom e primissimi piani, ottenuta dividendo la tavola in strisce orizzontali). Se i lavori concepiti da Lemire per il mercato indie sono quasi sempre in bianco e nero, Sweet Tooth può fregiarsi invece dei colori densi del veterano José Villarrubia, capaci di conferire spessore emotivo alle tavole dell’artista grazie ad una palette che spazia da colori caldi a freddi a seconda delle necessità dello script.

Panini Comics propone il primo arco narrativo di Sweet Tooth in un brossurato dall’ottimo rapporto qualità/prezzo, ideale per accompagnare la visione dell’omonima serie tv già disponibile su Netflix e per immergerci in un mondo che, seppur attraversato da suggestioni distopiche e post – apocalittiche, ci parla invero della dura realtà che ci circonda.

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