Nei suoi sessant’anni di storia (più di ottanta, in realtà, se consideriamo anche la Timely e l’Atlas) la Marvel ha dato vita a tantissimi personaggi, pochi dei quali, tuttavia, hanno goduto di una popolarità immediata. Ci sono voluti la Disney e l’abilità di un produttore lungimirante come Kevin Feige per portare all’attenzione del grande pubblico un patrimonio che pareva essere destinato a rimanere confinato nella piccola schiera degli appassionati di fumetti. Oltretutto, il successo del Marvel Cinematic Universe ha portato con sé la possibilità di valorizzare alcuni character che la stessa Casa delle Idee ha sempre considerato marginali o poco appetibili per i propri lettori. Di questo gruppo estremamente eterogeneo fanno parte pure i semidei noti come Eterni, ideati da Jack Kirby a metà degli anni Settanta, al suo rientro alla Marvel, dopo un breve periodo trascorso alla DC, a seguito dei suoi continui dissidi con Stan Lee.
Gli abitanti della città segreta di Olympia rappresentavano per il Re la possibilità di continuare sotto altre vesti i concetti elaborati per il Quarto Mondo, una saga rivoluzionaria in cui, grazie all’autonomia quasi illimitata concessagli dalla casa editrice di Superman e Batman, l’autore di origine ebraica era riuscito a dare libero sfogo alla sua grande passione per mitologia e fantascienza, che solo a tratti aveva trovato spazio sulle collane della Marvel. Malgrado ciò, benché simili nei loro contenuti di base, il Quarto Mondo e gli Eterni hanno avuto una “carriera” fumettistica molto diversa, tanto che, pur non riscuotendo nell’immediato il successo sperato, Darkseid e i Nuovi Dei si sono successivamente imposti come autentici protagonisti dell’Universo DC, mentre Ikaris e compagni, al contrario, non sono mai entrati nel cuore dei fan. Non è un caso, pertanto, che i brevi momenti di popolarità vissuti da questi ultimi siano rimasti essenzialmente legati alla fama degli autori chiamati a raccontarne le gesta dopo il periodo kirbyano (su tutti, la coppia Neil Gaiman e John Romita Jr., che in una miniserie del 2006 hanno adeguato i personaggi al gusto contemporaneo, attraverso un’efficace operazione di restyling), senza dimenticare che nella loro apparizione più recente, sulle pagine degli Avengers di Jason Aaron, gli Eterni sembravano addirittura essersi uccisi tra loro e destinati a un lungo oblio editoriale.
Nei comics americani, tuttavia, sappiamo che è bene non dare mai nulla per scontato, soprattutto quando arriva il cinema a metterci lo zampino. E così, per non essere da meno della casa madre californiana, che ha garantito ai Marvel Studios tutti i mezzi necessari per rendere il film dedicato ai semidei di Kirby uno dei più importanti della Fase 4 del MCU, anche negli uffici newyorkesi della casa editrice si è pensato di rilanciare i personaggi in maniera importante, affidandoli a un team di autori di alto profilo come Kieron Gillen ed Esad Ribić.
La nuova serie inizia esattamente da dove avevamo lasciato il gruppo nella saga di Aaron e già nelle prime pagine vediamo Ikaris tornare in vita nelle vasche di rigenerazione dell’Esclusione, apprendendo dalla Macchina che lo stesso è accaduto al resto del suo popolo. Su ordine di Zuras, anche Sprite viene ripristinato, ma con fattezze diverse - tra cui un inaspettato cambio di sesso da maschio a femmina) e ricordi di molto precedenti agli eventi che ne avevano determinato la condizione di escluso (proprio quelli raccontati nella miniserie di Gaiman e Romita Jr. -. Dopo un breve intermezzo nelle strade di New York e la lotta contro un deviante, i due fanno ritorno a Olympia dove vengono informati che, nel frattempo, il loro leader è stato ucciso. L’assassino non tarda a mostrare il suo volto: si tratta del redivivo Thanos (apparentemente morto nei primi numeri dei Guardiani della Galassia di Donny Cates), la cui inattesa capacità di spostarsi attraverso la rete di trasferimento della Macchina, genera immediatamente una ridda di sospetti e accuse. Solo un complice tra gli Eterni, infatti, avrebbe potuto garantire al titano un’abilità a lui sempre preclusa.
Già da questo accenno di trama si intuisce come Gillen scelga di accantonare la solennità tecno-mitologica kirbyana - per quanto ancora parzialmente visibile nelle tavole di Ribić -, per immergere la progenie immortale dei Celestiali in una sorta di mistery fantascientifico, utile per chiamare a raccolta un po’ tutti i protagonisti delle saghe precedenti - con un’evidente predilezione per quelli coinvolti nella pellicola di Chloé Zhao - e per cercare, al contempo, di mettere in risalto la personalità e le motivazioni di ognuno di essi, in modo da facilitare la lettura a chi – magari incuriosito dalla visione del film - si sia appena avvicinato al popolo di Olympia. Nel fare questo, tuttavia, forse nel timore di apportare qualche modifica di troppo ai personaggi, l’autore inglese decide stranamente di rinunciare alla sua tipica scrittura spigliata e vivace, preferendo esprimersi attraverso testi eccessivamente sobri e rigidi, che pur se formalmente impeccabili, non riescono a suscitare vere emozioni nel lettore, neppure nei passaggi in cui viene dato spazio a una sotto-trama più “terrena”, nella quale Ikaris si erge a paladino di un giovane essere umano, destinato, in un possibile futuro, a morire per causa sua. Per di più, il mistero che si cela dietro l’identità del traditore è poco accattivante ed è portato avanti in modo lento e macchinoso, privilegiando oltremisura gli aspetti secondari della vicenda, compresi alcuni flash-back, che, benché necessari alla caratterizzazione dei vari personaggi, finiscono per appesantire ulteriormente una narrazione troppo "austera" per risultare davvero appassionante (persino negli scontri con Thanos). Un po’ lo stesso problema che, a tratti, ha afflitto la sua opera creator owned The Wicked + The Divine - pubblicata in Italia da Bao Publishing -, in cui, pur con un approccio più originale e moderno, Gillen si era già confrontato con il tema della divinità.
A fare le spese di questa discutibile svolta stilistica sono anche alcuni dei protagonisti che, spesso, tendono ad apparire monolitici e freddi, oltreché bloccati in un’immagine stereotipata, che, sebbene lontana dalla staticità kirbyana, riporta i personaggi a una caratterizzazione meno sofisticata rispetto a quella che ne aveva dato Gaiman. Ciò nonostante, la miniserie del 2006 rimane palesemente una delle fonti di ispirazione dello scrittore britannico, soprattutto quando nel finale il buon Kieron decide di incrinare definitivamente l’aura eroica degli Eterni, concludendo in maniera radicale l’opera di revisione iniziata quindici anni prima dal suo illustre connazionale. La stessa soluzione narrativa viene contemporaneamente utilizzata per far risuonare nel fumetto l’eco del recente lungometraggio cinematografico, grazie al parallelismo che si crea tra quello che succede nella seconda parte del film e la “ribellione” dei protagonisti nell’ultimo capitolo del fumetto, una volta appreso il terribile prezzo che l’umanità è costretta a pagare per garantire loro l’immortalità. È questo, certamente, il merito principale di Gillen che, tuttavia, si scontra non solo con il tono algido della sua sceneggiatura, ma soprattutto con la rappresentazione francamente ridicola che viene data dei Devianti e con l’ironia un po’ sbracata che di frequente contraddistingue le esternazioni della Macchina, la quale, utilizzata come voce fuori campo, avrebbe dovuto essere (assieme a varie infografiche, che richiamano apertamente quelle realizzate da Jonathan Hickman per la maggior parte delle sue opere) semplicemente un mezzo per chiarire alcuni passaggi della trama, altrimenti poco comprensibili anche a molti appassionati. Due scelte opinabili e in forte dissonanza con la narrazione principale, forse spiegabili con la difficoltà dell’autore a rinunciare del tutto ai dialoghi briosi e un po’ beffardi dei suoi lavori precedenti.
A ogni modo, è molto probabile che Gillen, di fronte alla necessità di raggiungere un equilibrio tra le versioni storiche dei personaggi e le loro controparti cinematografiche, non abbia ancora deciso quale strada percorrere, pur mostrando di sapersela cavare con astuzia quando si è presentato il problema di giustificare il cambio di sesso di alcuni di essi, per allinearli alla raffigurazione inclusiva imposta da Hollywood (oltre a Sprite, prossimamente compariranno anche le versioni femminili di Ajak e Makkari, assenti in questa prima minisaga). Gli story-arc successivi ci diranno se lo scrittore inglese sarà in grado di trovare un compromesso accettabile, ma sta di fatto che, per il momento, il vero motivo di richiamo della serie è rappresentato dal comparto grafico, dove Ribić si conferma quasi una scelta inevitabile, ogni volta che il soggetto ha a che fare con temi a carattere fantasy o fantascientifico. È lo stesso Gillen ad affermarlo nella breve intervista riportata nei corposi extra della versione absolute del volume e l'artista di Zagabria effettivamente non tradisce le aspettative, soprattutto quando il potere immaginifico dei suoi disegni viene esaltato da mirabolanti scenari abitati da figure femminili bellissime e seducenti, campioni possenti, opachi manipolatori, ma anche da un Thanos colossale, opprimente e inesorabile. Passaggi frequenti all'interno della storia, che garantiscono quel pathos pressoché irrintracciabile nella sceneggiatura.
Gli sfondi tracciati da Ribić abbracciano poco la maestosità e il gigantismo kirbyano, a favore di forme più morbide, geometrie più lineari e atmosfere più eteree - che guardano maggiormente alle opere di François Schuiten o al Moebius de L’Incal -, anche se le architetture imponenti e gli enormi macchinari presenti nelle pagine del libro mantengono quasi intatta la potenza evocativa del Re. L’unico appunto da fare all’autore croato riguarda il suo continuo andare alla ricerca di un miglioramento estetico puramente formale, che negli anni ha fatto perdere alle sue tavole un po’ di dinamicità e lo ha forzato a raffigurare qualche personaggio con espressioni innaturali o in pose eccessivamente statuarie. Un’evoluzione dello stile più che comprensibile in un pittore - lo stesso Ribić, d’altra parte, cita spesso tra i suoi punti di riferimento i maestri del Rinascimento italiano -, ma molto meno in un "narratore per immagini", che trova, tuttavia, una conferma nelle splendide copertine dei vari numeri della serie, decisamente più vicine a un’illustrazione tout court che a un’anteprima della storia all’interno dell’albo.
È nei colori, infine, che si notano le maggiori differenze rispetto al ciclo kirbyano, dato che Matthew Wilson – probabilmente d’accordo con il disegnatore croato – abbandona gli effetti psichedelici e le gradazioni intense del Re, per virare su tonalità pastello che, tuttavia, non sempre si dimostrano azzeccate. A volte, sono più fredde del dovuto e poco luminose, anche quando a dominare dovrebbe essere il blu elettrico. Inoltre, l’esteso utilizzo di sfumature violacee ci è sembrato troppo invadente e poco coerente con quanto richiesto dalla trama.
Come già annunciato nell’ultima vignetta del capitolo finale e a vedere le preview americane, Gillen, nelle storie a venire, pare voler insistere su un personaggio di peso come Thanos, esplorandone nuovamente le origini e approfondendone il legame con i suoi “cugini” terrestri. L’intenzione sembra essere quella di incastonare definitivamente gli Eterni all’interno della continuity marvelliana, coinvolgendo alcuni di essi anche in mirate operazioni di ret-con. Se l’autore inglese saprà bilanciare meglio l’ironia con i toni dark - praticamente scontati quando c’è di mezzo il nichilista abitante di Titano -, allora la nuova collana dedicata ai semidei di Kirby potrà davvero ambire a essere un’opera da ricordare.
Chiudiamo con i dati relativi al volume Panini Comics, che raccoglie per intero la saga Solo la morte è eterna. Di esso - come accennato in precedenza - ne sono state realizzate due versioni, entrambe cartonate: una più semplice e con le dimensioni standard di un comic book, l’altra più elegante e in formato gigante. Quest’ultima oltre ai numeri da 1 a 6 delle serie Eternals, include anche lo speciale Never Die, Never Win, una sorta di dietro le quinte dove, tra le altre cose, ci viene offerto un sostanzioso assaggio (di fatto, quasi tutto il numero uno) delle matite originali di Ribić, prima dell’intervento del colorista.