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Tutti gli easter eggs e i riferimenti nascosti di Marvel's Daredevil 2

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Dopo avervi recensito la seconda stagione di Marvel's Daredevil, disponibile su Netflix, è giunto il momento di scoprire tutti gli easter eggs, i cameo e tutti gli altri riferimenti nascosti. Lo facciamo grazie al video di Mr Sunday Movies che potete vedere qui di seguito.

La seconda stagione di Marvel’s Daredevil vede Charlie Cox come Matt Murdock/Daredevil, Deborah Ann Woll come Karen Page, Elden Henson com Foggy Nelson,  Scott Glenn come Stick, Rosario Dawson come Claire Temple, Jon Bernthal come Frank Castle/Punisher e Elodie Yung come Elektra Natchios.
Doug Petrie (American Horror Story, Buffy The Vampire Slayer), Marco Ramirez (DaVinci’s Demons) e Drew Goddard (The Cabin in the Woods, Lost) sono i produttori esecutivi assieme a Jeph Loeb (Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D., Marvel’s Jessica Jones). La serie di 13 episodi è prodotta da Marvel Television e ABC Studios ed è disponibile su Netflix.

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Marvel's Daredevil 2: recensione

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Dopo i consensi di pubblico e critica ottenuti prima da Daredevil, che ha avuto il merito di cancellare dalla memoria collettiva la pessima trasposizione con protagonista Ben Affleck, e con Jessica Jones poi, Netflix e Marvel Studios propongono ora agli spettatori la seconda stagione dedicata al diavolo di Hell’s Kitchen. Un ritorno atteso non solo come conseguenza del successo della prima stagione, ma anche per l’introduzione nel cast di ben due personaggi Marvel molto amati dal pubblico: Elektra e, soprattutto, The Punisher.
Dunque, un hype iper-fomentato che ripaga il pubblico fin dalle prime battute visto che gli autori non lasciano lo spettatore sulle spine e gettano subito nella mischia l’ater ego di Frank Castle facendolo scontrare con Daredevil già dal primo episodio.

The Punisher, così come viene etichettato Castle, è un giustiziere che uccide solo malavitosi, come gli irlandesi, che vogliono approfittare del vuoto lasciato da Wilson Fisk per riprendersi il dominio della città. Le radici di questo odio profondo per la criminalità organizzata vanno ricercati in un dramma familiare che presenterà più di un punto oscuro. Se in fondo l’obiettivo di Castle non è diverso da quello di Murdock, le modalità sono differenti.

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Il dualismo Daredevil/Punisher, dunque, non si combatte tanto sul piano fisico, ma soprattutto su quello ideologico. Frank Castle, infatti, non ci pensa due volte a risolvere il problema alla radice uccidendo, brutalmente, tutti i “cattivi” che deturpano la città. Un confine, quello dell’omicidio, che Murdock non vuole oltrepassare, come ben evidenziato dal conflitto morale vissuto durante la prima stagione della serie e riproposto fino alla fine della seconda anche grazie al confronto con Elektra.
Punisher, dunque, è l’altra faccia delle medaglia, una deriva che finora nell’universo Marvel cinematografico non era ancora affiorata in quanto gli eroi, seppur violenti, hanno sempre agito rispettando le vite altrui e, non ultimo, un’alta etica morale. Daredevil, ora, dopo aver spostato il nostro sguardo dall’alto dei cieli, dai nemici che vogliono conquistare il mondo, alla strada fra i comuni mortali, ci mostra la deriva più oscura e folle che la lotta al bene può avere. E non senza che alcuni, anche fra i poliziotti, si interroghino se in fondo non sia un metodo migliore di altri. Il confronto fra i due è analizzato molto bene negli episodi 3-4 dove vengono scandagliate psicologie e ideologie dei due personaggi, con momenti di forte empatia. Nonostante il loro netto contrasto, c’è un filo molto intenso che lega i due eroi e un rispetto profondo che verrà a crearsi. Nonostante tutto.

C’è da dire che l’interpretazione di Jon Bernthal è davvero calzante e il personaggio perfettamente riuscito. Dopo i fallimenti cinematografici, Frank Castle ha ora un’ottima controparte live, con le proprie origini che ben si inseriscono fra le trame di Daredevil. Furba, dunque, è stata la mossa di inserirlo in uno show già avviato e di successo, seppur immaginiamo che un serial suo avrebbe ottenuto lo stesso impatto sul pubblico.

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Tornando a Matt Murdock, bisogna dire che i problemi maggiori più che con il Punitore li avrà dalla sua ex-fiamma, la bella e letale Elektra Natchios. Il suo improvviso arrivo stravolgerà totalmente il mondo di Matt, facendolo allontanare dal suo lavoro e dai suoi amici. Non vogliamo svelarvi molto circa le motivazioni del suo ingresso in scena, ma vi basti sapere che in gioco entrerà la Mano, un’organizzazione ben nota ai fan dei fumetti di Devil. Ad ogni modo, da questo momento in poi, Matt sentirà sempre più suo il ruolo di giustiziere, un legame con la maschera che lo porterà a chiudersi sempre più in sé stesso, ad allontanare i suoi amici, in constante pericolo, e la sua attività. Il legame con la sua ex è ben scandagliato durante i vari episodi, le affinità fra i due personaggi sono non solo fisiche, i due riescono a trarre il meglio dall’altro, in particolare Elektra la cui posizione morale è decisamente combattuta.
Una Elektra decisamente più ciarliera e ammiccante rispetto a quella fumettistica, sebbene molto simile, almeno in prima battuta, a quella descritta da Frank Miller in The Man Without Fear. Ciononostante il personaggio è ben caratterizzato grazie alla convincente interpretazione di una sensuale e combattiva Elodie Yung.

Oltre al conflitto morale, l'ingresso in scena della ragazza greca provoca in Matt Murdock un risveglio di alcuni istinti repressi che ne modificano non solo i comportamenti, ma intaccano anche i suoi sentimenti. Seppur l'amore per Karen Page resti sempre vivo, la figura di Matt viene esplorata dal punto di vista sentimentale in maniera diversa dalla prima serie: se da un lato abbiamo Karen, che rappresenta maggiormente l’amore da love comedy, quello sentimentale che vorrebbe portare Matt in una relazione di coppia più tradizionale, più “sicura” per certi versi, dall’altra parte troviamo Elektra, con il suo fascino conturbante, magnetico, che crea dipendenza a Matt, che lo spinge ad assecondare i comportamenti pericolosi e dannati della donna, ma al contempo lo fa sentire vivo come non mai. Entrambe però nascondono una duplice natura che le rende complete e umane: così come Karen ha un lato oscuro, un passato complesso e turbolento, così Elektra mostra un lato tenero e dolce, molto femminile, quando non è pervasa dall’istinto omicida o dalla rabbia irrefrenabile che la guida.

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Elektra non divide solo il cuore e l’animo di Matt ma anche la serie intera: dal suo arrivo, infatti, inizieranno due cordoni narrativi, quello con appunto Elektra che combatte con Daredevil al suo fianco e quello con il Punitore nella lotta alla ricerca della verità riguardante il suo dramma. Le due trame si separano e quella di Frank Castle non si intreccerà quasi più con quella vissuta da Daredevil, e i momenti in cui questo avviene non hanno poi un gran peso nell’economia totale. Di fatto, Karen diventa la spalla del Punitore, ereditando anche al Bullettin il ruolo di Ben Urich, che le ha fatto da mentore nella prima stagione, dando la sensazione di due serie parallele, quella che porta il titolo e quella di Castle, un po’ come se i primi 4 episodi fossero serviti da trampolino di lancio per il personaggio per poi ritagliargli uno spazio tutto suo. Una frammentazione che, se da un lato valorizza i comprimari della serie, Foggy e Karen su tutti, che si ritagliano uno spazio notevole, dall’altro crea una frattura che è evidenziata anche dall’allontanamento emotivo e fisico di Matt dai suoi amici, segno di una gran confusione mentale e di un enorme conflitto interiore. Da questo punto di vista, la prima stagione, per quanto corale, vantava una maggiore unità di fondo. E, a conti fatti, è forse questo il maggior difetto di questa seconda stagione che, bisogna dirlo, resta comunque valida e di alta fattura. Tuttavia, l’impressione che la caratura di due personaggi come il Punitore ed Elektra serva a catalizzare l’attenzione è forte. In parole povere, l’ingresso dei due big è un’arma a doppio taglio e risulta forse un tantino invadente, in particolare quello di Castle che distoglie troppo l’attenzione dal protagonista con una trama praticamente parallela a quella di Murdock.

Sottolineano, invece, con piacere l'intensità creata dal ritorno in scena di Vincent D'Onofrio (Kingpin) e da Scott Glenn (Stick). Forse, l'assenza di una nemesi carismatica come Kinping per l'intero ciclo di episodi si è fatta sentire. Se infatti il Punitore si è dimostrato un ottimo antagonista per Daredevil, con la comparsa di Elektra, la cui sottotrama era già meno incisiva, la nemesi rappresentata dalla Mano è sembrata abbastanza fiacca. Non è un caso se gli episodi migliori, in tal senso, sono stati proprio quelli in cui Kingpin era presente.

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Per quanto riguarda il livello tecnico e qualitativo del serial, bisogna dire che gli attori confermano l’ottima performance della prima stagione. Tanta carne al fuoco, tante sottotrame e tanti personaggi creano uno show vivo e interessante fino alla fine, ma se la fattura generale è alta, come già sottolineato, qualche sbavatura è evidente e l’assenza di Steven S. DeKnight nel processo creativo si sente. Ci pare, dunque, un leggero passo indietro rispetto alla scorsa stagione.

Un’ultima nota riguarda il tasso di violenza presente in questa stagione, volutamente più alto di quella passata. In generale, non sono le botte e il sangue a fare una serie matura, ma è un ottimo segnale la diversificazione di pubblico che la Marvel sta effettuando sui suoi personaggi.

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Daredevil Collection 5 – Battlin’ Jack Murdock

Carmine Di Giandomenico è uno degli artisti italiani più apprezzati all’estero e in patria e di certo non ha bisogno di presentazioni tanto quanto non ne ha bisogno Daredevil, una delle figure più iconiche delle proprietà Marvel, recentemente sotto i riflettori anche al di fuori del panorama fumettistico per via dell’adattamento live-action realizzato dai Marvel Studios in collaborazione con Netflix, di cui è appena uscita la seconda stagione. Sull’onda di celebrazione di questo personaggio, Panini Comics ha dato vita a una delle collane da collezione più belle della recente storia editoriale di Marvel Italia, la Daredevil Collection per l’appunto, una serie di cartonati morbidi, formato eccellente che Panini tende fortunatamente a proporre sempre più spesso, che raccolgono le migliori storie del Diavolo di Hell’s Kitchen, ospitando nomi del fumetto di altissimo livello, da Frank Miller a Joe Quesada, da Kevin Smith a David Lapham, passando proprio per Di Giandomenico, presente nel volume che andiamo ad analizzare, Daredevil Collection 5 – Battlin’ Jack Murdock.

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Si tratta di una delle storie più intense e chiarificatrici della figura del Diavolo Custode, che colma gli spazi del background del personaggio lasciati da Frank Miller con The Man Without Fear e di Quesada con Father, prevalentemente. Ma Matt Murdock qui compare solo sporadicamente perché non è il vero protagonista dell’opera: è suo padre, “Battling” Jack Murdock, ad essere al centro della storia.
Zeb Wells, su soggetto di Di Giandomenico, infatti decide di dedicare a questo personaggio, figura chiave fondamentale nello sviluppo psicologico di Matt, una storia intensa e di carattere che ci presenta per la prima volta un Jack Murdock non filtrato dalla visione del figlio (a differenza di Father per esempio), protagonista della sua sfortunata vita, indagandone lo spirito, la natura, la forza d’animo e mostrandoci un “umano troppo umano” che tra mille debolezze e sofferenze, tra errori e sconfitte, riesce a crescere da solo un ragazzo in uno dei quartieri meno nobili di New York, trasmettendogli quanto in suo possesso, facendo di tutto pur di proteggere l’unica cosa preziosa che il mondo non gli aveva ancora sottratto, arrivando a compiere il sacrificio finale pur di impartirgli un’ultima, fatale quanto significativa lezione.

Perché il protagonista, che viene esplorato mediante dei flashback che alternano i round dell’ultimo incontro della sua carriera di pugile al Madison Square Garden, quello che gli costerà la vita, non è di certo una figura esemplare, non è per nulla un padre perfetto, è quanto di più lontano ci sia da esso. È un ubriacone che minaccia i negozianti del quartiere per riscuotere il pizzo per conto di Fixer, un boss malavitoso locale, e che ha perso l’amore della sua vita, una persona violenta per necessità e che ha sempre risolto tutto con la forza. Ma è profondamente umano, è una persona buona che ha smarrito la retta via, soverchiato dalle difficoltà della vita e dagli ostacoli che si sono succeduti nel corso della sua esistenza e a cui non ha potuto far fronte in quanto incapace di gestirle se non facendo parlare i suoi pugni. Una figura tragica e sola che si trova di punto in bianco a dover badare ad un figlio non previsto, frutto del rapporto con Maggie, la madre di Matt, che tuttavia non può più occuparsi del bambino essendosi ritirata in convento.
Eppure quello che può inizialmente sembrare un’ulteriore fardello, l’ennesima sfortuna, si rivela essere l’embrione di una catarsi espiatoria che con una pseudo epifania joyciana fa comprendere al protagonista che un modo per redimersi c’è, e consiste nel far crescere nel migliore dei modi suo figlio, concedergli ciò che lui non ha potuto avere, farlo studiare per ergersi dalla mediocre condizione in cui versava il nucleo familiare agli inizi, farlo allontanare da quel posto doloroso che lo ha forgiato nel peggiore dei modi. E dovrà imparare come relazionarsi col figlio, come nascondere le azioni riprovevoli che è costretto a compiere per poter sfamarlo e permettergli di studiare, come impedirgli di diventare come lui, di cedere alla facile strada della violenza fisica, del rancore, per spingerlo ad essere sempre migliore del suo vecchio.

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Ma questa ardua impresa, come sappiamo tutti, sarà aggravata dalla perdita della vista di Matt a seguito di un incidente coinvolgente delle sostanze radioattive che gli doneranno dei sensi ipersviluppati, privandolo della possibilità di rivedere il mondo con i suoi occhi. Ma come far fronte a questa nuova privazione? Questo è uno dei punti cruciali attorno a cui si sviluppa la trama di questo Battlin’ Jack Murdock, tra un round e l’altro sul ring che segnerà la fine del personaggio. Molto intensa la parte finale del volume, in cui il protagonista realizza che il figlio cieco non è per nulla debole come pensava fosse, ma che è ben più preparato ad affrontare la vita di quanto potesse sperare di insegnargli, e quindi decide di lasciargli come testamento un’ultima lezione, una dimostrazione di affetto sublime quanto amara, che ricorderà per sempre al giovane Matt di non arrendersi mai, di combattere fino all’ultimo e di ergersi con tutte le forze contro qualunque ostacolo, per quanto insormontabile esso appaia. Tra l’altro, la bellissima tavola di mash up di vignette già presentate durante la storia che mostra il collegamento dei diversi pezzi che portano Jack a comprendere la natura del figlio, ricorda una analoga epifania visiva di Oudeis, che presto potrete leggere nella nuova edizione Saldapress.

La narrazione di Wells è efficace e concisa, non si perde in fronzoli e spesso si affida alla narrazione interna didascalica del personaggio, scelta che ci fa apprezzare ancora di più la sfera emotiva e personale di Jack, permettendoci di comprenderlo al meglio, al di là dell’armatura che indossa nella vita di tutti i giorni per proteggersi e per proteggere chi ama. Molto ben gestita è anche l’interazione interpersonale con gli altri personaggi della storia, soprattutto con Josie, la barista che crede in lui,  che lo supporta, che lo ama, che ne comprende l’umanità e la complessità.

La struttura narrativa fa spesso uso della ripetizione di alcune frasi che servono più da autoconvincimento per lo stesso Murdock, da mantra disperato ripetuto ininterrottamente sul ring per spronarsi ad essere forte nel suo mostrarsi debole pur di proteggere il figlio.
Passando al comparto grafico, c’è ben poco da dire, in quanto i disegni di Di Giandomenico parlano da soli. Il suo stile univocamente identificativo, con un tratto unico che si alterna tra spigoloso e morbido a seconda della scena rappresentata, sempre molto dettagliato, con un layout di pagina vario e mai banale e con diversi elogi agli altri grandi autori che hanno portato a vette altissime Daredevil, come Miller, David Mazzucchelli e John Romita Jr. Ma una delle più grandi doti dell’artista teramano è quella di rendere evocativi e splendidamente espressivi i suoi personaggi, trasmettendo la sua passione direttamente in ogni vignetta e facendo emergere la loro emotività e la loro stessa natura con una delicatezza eccezionale, donandoci scene di impagabile intimità in questo fumetto.

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Se a questo si aggiunge l’ottima scelta da parte dell'artista di una paletta cromatica totalmente autunnale, con marroni, rossi e arancioni e tutte le possibili gradazioni degli stessi, che incrementano la sensazione di tragicità, di titanismo e di tramonto di una leggenda, perfettamente in sintonia anche con la figura di Devil, non si può far altro che constatare l’aumento della forza espressiva e comunicativa dei disegni stessi, trasmettendo tutto l’amore dell’artista per il personaggio, che ha avuto come padre un “Grand’uomo” baglioniano, quell’”uno che sa vendersi la pelle”, che “la morte porta a spasso”, che “fa impallidire il fato”, cercando di “essere qualcuno”, cercando di insegnare al figlio che la vita “è più una lotta che una danza in cui girare”, e che al termine della canzone, così come della storia qui narrata, dice al figlio “almeno cerca tu di essere un grand'uomo”, riconoscendo di non essere riuscito a vivere una vita esemplare, affidando al proprio figlio la sua ultima speranza.

L’unica significativa pecca che possiamo riscontrare in questa storia è il non aver affidato tutto il progetto a Di Giandomenico, che come forse non tutti sanno, ha dato prova di essere un abile autore completo, anche a livello di sceneggiatura. Questa riflessione scaturisce soprattutto dall’apparato redazionale presente a fine volume, che comprende una postfazione di Di Giandomenico e una breve intervista all’autore. Queste numerose pagine conclusive, oltre a rappresentare un bel extra per l’edizione, mostrano anche quelli che erano i bozzetti delle pagine inizialmente ideate dal fumettista per la mini, molte delle quali sono state bocciate dagli editor alla Marvel. In esse vediamo un diverso approccio alla storia, molto più intimo di quanto visto nella versione finale, come confermatoci dallo stesso disegnatore a Cartoomics, che avrebbe intrecciato ancora di più quanto fatto dai precedenti artisti, da Miller a Quesada, solo per citarne alcuni, completando e infittendo il mosaico narrativo del background dell’eroe. La curiosità di vedere quel che avrebbe potuto essere questo fumetto, se alla Casa delle Idee avessero dato maggiore libertà espressiva all’artista, è davvero grande.
Edizione Panini che rasenta la perfezione come tutta la linea Daredevil Collection.

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Portfolio: gli artisti che hanno reso grande Daredevil

  • Pubblicato in Focus

Daredevil è da sempre uno dei personaggi più originali del fumetto americano. Un supereroe sì, ma con l'handicap della sua cecità. Non solo, Matt Murdock è anche avvocato e dunque rende giustizia sia legalmente in tribunale che, in maniera meno legale, nelle strade di notte. Negli anni la sua testata ha ospitato grandissimi artisti, da Bill Everett a John Romita Sr. e Jr., a Frank Miller, che qui si rivelò come uno degli autori top del fumetto, fino a Joe Quesada e a molti altri ancora. Artisti che hanno reso la sua testata quella dal maggior tasso qualitativo per la Marvel nel corso dei decenni. Ora, Daredevil sta vivendo un ottimo momento di popolarità grazie alla serie Netflix che riscatta il brutto ricordo del pessimo film con Ben Affleck.

Celebriamo, dunque, il personaggio, con alcuni dei disegnatori che hanno reso grande la sua figura.

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