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Affrontare la proprie paure con l'ironia: intervista a Daniel Cuello

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Daniel Cuello, dopo il successo di Residenzia Arcadia, pubblicato da Bao Publishing, torna con un nuovo libro, dove raccoglie le sue strip più famose ma inserisce un racconto breve molto intenso e personale. Lo abbiamo intervistato al Napoli Comicon 2018, dove abbiamo affrontato temi importanti e caldi. Soprattutto in questo momento storico.

Come mai la scelta di creare una storia insieme alle tue famose strip?
Ci tenevo tanto a raccontare qualcosa di personale, un momento ben preciso della mia vita, quello che stavo vivendo mentre pensavo alla storia. Nel racconto faccio fare un salto al mio personaggio. Un salto nei miei “passati”, ma non solo: l’ho trasportato dalle strip a qualcosa di più strutturato ed elaborato. Una cosa di cui sentivo il bisogno, ho molte cose da raccontare e volevo partire da questa.

Tra prologo e capitoli c’è un intermezzo delle tue strip più famose, come mai questa scelta di spezzare la continuità?
Tutte le strip e il racconto sono ambientate nello stesso universo: nella realtà. Per quanto esasperata e alcune volte no sense, parlo sempre della realtà che mi circonda. Certe strip possono non sembrare verosimili, ma sono tutte “sincere”, basate su eventi che mi accadono realmente. Fanno parte del racconto complessivo, anche se sembrano lontane dal tema del racconto.

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Ricordi e malinconia, senso di esclusione, integrazione e appartenenza. Cosa ti ha spinto a scrivere ora di questi temi? C’è stata una necessità particolare o qualche stimolo che ha innescato la storia?
Erano cose che vivevo mentre scrivevo il racconto. Avevo la necessità di esternarle e un racconto mi sembrava il modo migliore anche per liberarmene, in un certo senso. Sarà retorico, però per me è stato terapeutico. Liberarsi da certi pesi emotivi che mi stavano schiacciando è stato come prenderne coscienza e sono riuscito a esorcizzarli alleggerendomi un pochino.

Visti i temi affrontanti, il personaggio potrebbe essere ampliato...
Infatti uno dei miei obiettivi è quello di farlo crescere. Questo è solo l’inizio, In futuro ci saranno altri sviluppi. Ho molte cose in serbo per “il personaggio”. Anche se al momento mi sto occupando di cose diverse.

Anche il tono è molto particolare.
Sì, ci tenevo a essere ironico. Ci sono temi molto importanti che non volevo raccontare in modo pesante. Si parla di appartenenza, esclusione e malinconia, persino depressione, tematiche che non vorrei trattare in modo patetico. Mi piace arrivarci in modo ironico, appunto, e un po’ per volta. Con la prima lettura magari viene da sorridere, mentre con la seconda si notano sfumature più celate ma presenti. Questo perché chi lo legge non deve sentirsi appesantito, deve poterlo leggere senza stufarsi, così da cogliere poi il messaggio sottostante. È un espediente, è il mio modo di raccontare. Anche perché è proprio il mio modo di vedere la vita: c’è sempre comicità e drammaticità, è il metodo narrativo che più mi rappresenta.

Il bambino menzionato nel racconto, sei tu realmente oppure è solo uno spunto narrativo? C’è un motivo particolare? E perché come rappresentazione della paura c’è proprio il Beluga?
Il bambino è effettivamente il me bambino. Cioè, io realmente avevo quella maglietta a righe. Divido la mia vita, un po’ come fanno tutti, in grandi capitoli. C’è il capitolo uno, Argentina, fino a quando avevo 8 anni. Sono stato catapultato in Italia ed è iniziato un altro capitolo. È iniziata l’adolescenza, in Italia, e quello è stato un altro capitolo ancora, e così via fino ad oggi.

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Andiamo un attimo off-topic, anche se nemmeno tanto. Quando sei arrivato in Italia com’è stato?
Io sono stato fortunato, ti dirò. Per due semplici motivi: sono bianco e sono argentino. Questa cosa, vista dagli altri, non mi fa percepire come straniero, “sono uno di loro”. Questo ti fa capire quanto il razzismo sia una questione di pura percezione di chi il razzismo lo fa. Se fossi stato anche solo un po’ più scuro avrebbero avuto qualcosa di cui lamentarsi, pur mantenendo tutto il resto identico. Questo, non posso negarlo, mi ha aiutato. Però ho vissuto sempre con questa strana sensazione di non sentirmi mai completamente a casa in Italia e non sentirmi più a casa neanche quando tornavo in Argentina. Perché vieni visto dagli argentini come uno che se n'è andato. Addirittura mi chiamavano “tano”, un appellativo che viene dato agli Italiani. Anche loro mi vedevano come straniero e in Italia ovviamente mi dicevano che ero straniero perché venivo dall’Argentina. Non mi sono mai sentito a casa da nessuna parte. Penso che chi è andato a vivere da un’altra parte, soprattutto da piccolo, capisce perfettamente di cosa sto parlando. Hai tutto l’imprinting del tuo paese ma anche l’accumulo culturale del luogo in cui ti trovi. Non riesci a trovare il punto preciso di equilibrio. Capita a tutti gli immigrati di prima generazione e, ripeto, io sono stato “fortunato”. Per quelli che hanno vissuto questo distacco è normalissimo sentirsi in questo modo. L'aspetto positivo è che ti apre la mente, vedi le cose da più prospettive. Avere un occhio dentro e un occhio fuori mi fa vedere i pregi e i difetti dell’Argentina come dell’Italia. Questo meccanismo è visibile in Residenza Arcadia. I personaggi sono sì stronzi, ma ne mostro sia i pregi che i difetti.
Per rispondere alla questione della rappresentazione della paura ti posso dire “perché è innocuo”. Il Beluga è il panda dei mari, totalmente inoffensivo. La paura, per certi versi, è un qualcosa che provi solo tu. È la tua immaginazione, un tuo modo di vedere le cose e la realtà. Quando ho fatto la strip da cui è nato tutto il libro, quella riportata anche nella quarta di copertina, mi serviva un colpo di scena, dovevo sfruttare qualcosa di non spaventoso, per far comprendere il concetto. Intorno al Beluga, infatti, ci sono persino un arcobaleno e delle stelline, non fanno paura, anzi, sembra tutto bello.

Tecnicamente la struttura del libro è divisa in atti. Ogni intermezzo rispetta precisamente delle categorie delle strip. C’è la fiction, l’amico disturbatore, Piero Angela, le riflessioni al pc. Alcune sembrano il preludio del tema della storia inedita ed arrivano quasi subito prima dell’inizio del capitolo. Sono state pensate per la storia oppure è una coincidenza? Dato che sono già online da tempo, le hai pensato in precedenza al libro e con finalità su esso?
Sì, ho cercato di fare una divisione per tema. Non so se ci sono riuscito alla perfezione, ma era questo il mio intento. Per risponderti alla coincidenza o meno, ti dico subito che alcune son state create ad hoc per la storia breve. Sono totalmente inedite e non si trovano sul web. Quella che ha dato il via al tutto, come ti dicevo prima, è quella del Beluga Magico, che ho ampliato ed elaborato, fino ad arrivare al racconto breve.

Alcune strip presenti sul web sono quasi premonitrici. Come se aleggiasse già nell’aria questo racconto.
Sì, anche se in un primo momento possono sembrare totalmente scollegate tra di loro, nel libro ho dato alle strip la continuità che c’è hanno nel mio cervello, come se fosse una serie televisiva divisa in tanti capitoletti. Ci sono personaggi ricorrenti, guest star e gag ricorrenti. Prendiamo Piero Angela: lui torna spesso, perché è un personaggio che mi piace. Appare anche nel racconto breve, per dare questo senso di continuità. Volevo che il racconto avesse la stessa atmosfera delle strip. Non doveva essere una cosa a sé stante o totalmente nuova, altrimenti avrebbe stonato con l'insieme.
 
Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? Stai già lavorando a qualcosa?
Non posso dire granché in realtà, ho già in programma e in lavorazione il prossimo libro, che uscirà nel 2019. Sarà un graphic novel autoconclusivo, con personaggi nuovi e totalmente inediti. Non c’entra né con Residenza Arcadia, né con il Beluga. Vedrete!

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Senzaombra, recensione: Il fantasy young adult di Monteleone e Matrone

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Per leggere l'intervista agli autori, clicca qui.

È facile capire quando un lavoro è frutto del piacere di chi lo realizza: la sceneggiatura frizzante, immediata, i disegni potenti, la costruzione scenica perfetta. Tutto si può replicare con una buona dose di “mestiere” ma sarà irriproducibile il divertimento degli autori nel creare una storia. Senzombra di Michele Monteleone e Michele Matrone, edito da Bao Publishing per la collana BaBao è figlio dell’amore degli artisti per la loro creatura.

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Tristan, il giovane protagonista, è un senzaombra, un orfano che a seguito di un patto con un Collezionista è costretto a sconfiggere dei mostri per riscattare la propria ombra e la propria libertà, con la possibilità di poter esprimere un desiderio.
Tale sinossi richiamerà, ai più avvezzi all’universo nipponico fumettistico, il plot di diversi anime o manga – come, ad esempio, Puella Magi Madoka Magica – ma già con le prime tavole, tutto il mondo di riferimento e le passioni dei due autori si palesano in un caleidoscopico catalogo di elementi, situazioni, battute che collimano in unicum narrativo di grande divertimento.
Peter Pan, Berserk, Zelda, Cavalieri dello Zodiaco, Adventure Time, sono le prime “immagini” che vengono in mente al lettore. Ma il lavoro di Monteleone e Matrone non è certo solo una rassegna di strizzate d’occhio al mondo pop. I riferimenti sono solo il mare magnum che fa da impalcatura atmosferica a Senzaombra.

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La sceneggiatura è divertente, metanarrattiva e inquadra saldamente personaggi e situazioni, senza perdersi in “spiegoni” retorici. La marca distintiva del genere è palese, e questo permette a Monteleone di poterci giocare in maniera ironica svelando, attraverso le battute dei personaggi, il meccanismo che sottende la costruzione narrativa del genere nelle sue diverse declinazioni.
Il disegno di Matrone, nervoso e spigoloso, tratteggia i personaggi con una chiarezza del tratto che richiama la scuola francese, senza ostentare orpelli grafici che avrebbero appesantito inutilmente la lettura. La costruzione della tavola esplode della sua ricchezza compositiva, costruendo sequenze dal grande impatto visivo, spesso anch’esse dal gusto citazionista (la scena poco prima del finale) o dall’impianto ironico (la scena subacquea nel tempio).

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Senzombra è una ricca avventura leggibile a più livelli, specchio dei loro autori e della generazione che rappresentano attraverso l’immissione del proprio universo multimediale di riferimento. Tanto un adolescente amante del fantasy e dei manga, quanto un trentenne svezzato dall’immaginario pop di due decadi (’80 e ’90) potranno divertirsi nella lettura tanto quanto hanno fatto i due autori nel creare il fumetto.

 

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Senzombra, il piacere di fare fumetti: intervista a Michele Monteleone e a Marco Matrone

Edito da Bao Publishing per la sua collana BaBao, Senzombra (qui la recensione) è il fumetto young adult di Michele Monteleone e Marco Martone, appassionati cultori del mondo nerd e pop in tutte le sue declinazioni che, nel loro lavoro, hanno voluto mettere tutte le loro passioni.

Durante l’Arf festival 2018, abbiamo avuto modo di parlare con loro di Senzombra.

Come nasce il progetto di Senzombra?

Monteleone: Nasce dalla summa delle nostre passioni: fumetti, manga, anime, videogiochi. C’è stato un periodo in cui ero parecchio preso da Scott Pilgrim di Bryan Lee O'Malley, stava per uscire The Legend of Zelda - Breath of the Wild, quindi sono stato ispirato da tutto quello che vedevo in quel momento. Infatti, il mondo di Tristan funziona come quello di un videogioco, in cui hai una sorta di quest e delle ricompense.

Durante il processo creativo, chi ha creato cosa?

Matrone: Tutto il concept è frutto del lavoro iniziale di Michele. Poi mi ha contattato e, cominciando a collaborare, abbiamo scoperto il terreno in comune e abbiamo cominciato a contaminarci a vicenda.

Avete lavorato partendo dalla sceneggiatura o anche in quella fase avete collaborato?

Monteleone: La trama l’ho costruita io ma, quando Marco parla di contaminazione è proprio vero: quando inizialmente gli affidavo un character design, lui metteva tutta una serie di elementi – dai vestiti che indossava o oggetti che portava – che mi hanno stimolato e mi hanno dato la possibilità di introdurre nuovi elementi legati a quel personaggio e alla storia. Ad esempio, alla fine dell’albo c’è una spada – che ha un ruolo importante nella trama – che inizialmente non esisteva. Marco l'aveva disegnata per un character design e l'abbiamo inserita.

Matrone: Quando dovevo disegnare un personaggio, non potevo fare a meno di chiedermi: “Chi è questo personaggio?” e, chiaramente, nel momento in cui cominciavo ad immaginarlo, mi confrontavo con Michele. Riguardo alla spada, volevo assolutamente disegnare una katana! Fai un fumetto e non disegni una katana? A Michele è piaciuta l'idea e l’ha utilizzata in un ruolo narrativo.

Monteleone: A volte, anche un oggetto semplice può far scattare l’idea per una svolta di trama, anche sostanzialmente forte. La contaminazione è sempre stata reciproca.

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Avete parlato di riferimenti, di passioni. C’è, però, un immaginario preciso a cui avete, anche non direttamente, fatto riferimento?

Matrone: L’immaginario non è mai preciso, è l’opposto della precisione. È qualcosa che ha i bordi così poco definiti che può abbracciare tantissime cose. Quando tenti di descriverlo, si rischia di rinchiuderlo in un recinto e non è più un “immaginario”. Gli unici paletti che abbiamo dovuto imporci sono stati quelli che servivano a trovare una coerenza tra le parti. Quel processo è stato fatto nel momento in cui abbiamo messo tutto assieme.

Monteleone: Sono assolutamente d’accordo. Basti pensare che l’immaginario degli anni ’90 era contaminato da quello degli anni ’70. Possiamo parlare di influenze partendo da Zelda, fino a Peter Pan, passando per l’animazione francese… Non saprei definirlo nemmeno io perché ci piacciono cose molto diverse tra loro.

Qual è stata, dunque, la gestazione di un prodotto del genere? Era nato come crowfunding, ed ora è approdato a BAO Publishing, nella collana BaBao, quindi destinato ad un target preciso.

Monteleone: Il progetto è cambiato drasticamente, quasi totalmente, ma non per adattarci al target o a esigenze dell'editore. BAO infatti ha preso il progetto esattamente per com’era. Non credo che ci sia bisogno di adattare le storie ai ragazzi. Da ragazzino guardavo Alien, lo Squalo, e non ho avuto grossi problemi [ride]. Basti pensare ai film di Johh Hughes come Sixteen Candles o The Breakfast Club: adesso sarebbero tutti censurati perché parlano di sesso e sono rivolti ad un pubblico di quattordicenni che, comunque, al sesso pensa [ride]. La stessa cosa vale per tematiche violente o horrorifiche. A volte si tende a proteggere il ragazzino per non spaventarlo. Ma un sentimento come la paura credo vada benissimo, è formativo.

Matrone: Ovviamente ci siamo mantenuti entro un certo limite.

Monteleone: L’unico adattamento che abbiamo fatto è stato il formato: ne abbiamo scelto uno che fosse più vicino possibile allo shonen giapponese e che richiamasse anche l’equivalente francese.

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All’uscita di Senzombra avete abbinato quella del videogioco. Com’è nata l’idea? Perché avete voluto realizzarlo?

Monteleone: Il principio è sempre lo stesso: i riferimenti non sono stati ricercati, ma sono frutto delle influenze di ciò che ci piace. Partiamo dal fatto che siamo entrambi videogiocatori [ride]. Mentre stavamo creando il fumetto, ci dicevamo: “Ma quanto sarebbe bello un gioco di Senzombra?”. Quindi alla fine è stato naturale dirsi: “Perché non farlo?”. Sono due linguaggi – fumetto e videogioco – che raramente si parlano e, quando lo fanno, producono dei risultati altalenanti.

Matrone: Sono due media in cui l’uno diventa surrogato dell’altro. Non c’è mai una vera e propria forma di comunicazione.

Monteleone: L’idea è che il videogioco fosse un’altra parte del mondo del libro. Senzombra come videogioco è una app che ha un immaginario di riferimento molto chiaro: i videogames anni ’80. Basti pensare che c’è un piccolo delay tra quando premi il pulsante e quando il personaggio salta, e questo era un classico di giochi come Castlevania in cui dovevi pensare un secondo prima rispetto all’azione. Sono particolari che abbiamo inserito perché ci appassionano.

Matrone: Quando faccio un fumetto, lo faccio come se volessi leggerlo io, da lettore e appassionato. Abbiamo fatto il videogioco allo stesso modo.

Monteleone: Assolutamente. BAO è stata così pazza che ci ha detto di sì a tutto [ride]. Avevamo carta bianca e abbiamo voluto fare quello ci piaceva fino in fondo.

State già pensando ad un eventuale seguito di Senzombra?

Monteleone: Diciamo che noi ci pensiamo.

Che sembra più un “noi ci abbiamo già pensato”.

Matrone: Noi ci abbiamo ragionato su [ride]. Al di là delle cose abbiamo raccontato, c’era un mondo che volevamo creare.

Monteleone: Bhe sì, ci abbiamo ragionato. C’è ancora tanto al di fuori di quella piccola parte che abbiamo raccontato. Quello che abbiamo ideato è mondo coerente che si nasconde anche all’esterno della pagina. C'è qualcosa di ancora non visto, qualcosa di solo nominato e che i fa venir voglia di esplorare ancora quel mondo.

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La ricerca di se stessi nella profondità dello spazio: intervista a Francesco Guarnaccia

Francesco Guarnaccia è una promessa del fumetto italiano. Membro di spicco del collettivo Mammaiuto, ha già all’attivo un bel po' di pubblicazioni iniziate nel 2013, grazie all’autoproduzione, fino a From Here To Eternity per Shockdom. Esordisce con Bao Publishing con la sua spaziale, quanto profonda opera, Iperurania. Lo abbiamo intervistato durante il Napoli Comicon 2018, per ampliare un po’ la visione di questo meraviglioso fumetto.

Potete leggere la recensione di Iperurania qui.

Il tuo Iperurania è una storia fantascientifica, che però è un pretesto, per raccontare il superamento di paure. Quanto c’è di autobiografico dietro?
Di biografico c’è il 40%. Direi che non è una storia propriamente autobiografica ma prende spunto, neanche dai fatti reali, ma delle sensazioni che ho provato, che per me sono state passeggere. Non hanno minimamente influenzato la mia vita e il mio quotidiano, però, nel momento in cui mi è capitato di provarle le ho trovate interessanti per svilupparci una storia. Del buon materiale da approfondire, insomma. Quindi ho incominciato partendo dalla mia esperienza ad ingigantirla. Provare a capire se una situazione del genere, ovvero la sindrome dell’impostore, come poteva cambiare la vita nel momento in cui diventava pesante e opprimente. Comprendere quali potessero essere le conseguenze anche nei rapporti con le altre persone. Infatti poi nel libro si parla di amicizia, di rapporti con i colleghi e tutti i rapporti interpersonali, più o meno intimi. I rapporti più intimi, in questo caso, non hanno un riscontro effettivo 1 a 1, nel senso che nessuno dei personaggi del libro è il corrispettivo di un personaggio reale, però loro sono il sunto, il condensarsi di tutte le mie esperienze di amicizie che ho vissuto nella mia vita.

COVER IPERURANIA

Hai dato voce alla situazione di tanti artisti, coinvolgendo vai ambiti dell’arte. Come credi che sia il panorama attuale del fumetto? E come lo stai vivendo?
Io, personalmente, la sto vivendo molto bene. Cerco di essere, allo stesso tempo, molto professionale e molto amichevole, diciamo. Se questo è il termine giusto. Quello a cui tengo, però, è non mescolare le due cose. Nel momento in cui si è ai festival e si hanno rapporti personali, per me è importante anche entrare in confidenza, in intimità, nel senso del conoscere chi si ha davanti come persona. Avere dei buoni rapporti. Quando è il momento di essere professionali, tutte le questioni personali devono restar fuori. Non devono influenzare ciò che è il lavoro. Ad esempio, io preferisco tenermi più alla larga possibile da polemiche, frecciatine etc. Ritengo che facciano veramente male all’ambiente lavorativo in primis e all’ambiente in generale, poi. Bisogna scindere le cose, per quanto sia possibile. E non condivido nemmeno l’idea che spesso capita di vedere, dell’avere una sorta di squadra di appartenenza. Come se gli autori dovessero essere divisi in scuderie o team, insomma. Questo introduce un elemento di competizione. Io ho lavorato con tante realtà e sono contento e fiero di aver messo le mani un po’ ovunque. È chiaro però, che a volte si trovano delle situazioni più stabili, un po’ per alchimia quasi. In questo momento sono molto soddisfatto del lavoro svolto con Bao e sicuramente collaborerò in futuro con loro, anche se non voglio precludermi niente. Soprattutto mi piace pensare che sia possibile lavorare insieme pur collaborando con realtà distanti, senza che l’una escluda l’altra. Tornando alla domanda principale, se l’ambiente lo si vive in modo sano, è veramente ricco e prospero. Non bisogna cadere prede di isterismi e critiche distruttive.
La sindrome dell’impostore, nel libro, assume due forme diverse, in contesti diversi. Mi spiego meglio. Uno all’interno proprio dell’ambiente di appartenenza, che sia settore della fotografia, fumetto o altri campi artistici, c’è dell’invidia da parte dei colleghi. C’è la competizione. Non quella sana ma quella malsana. Infatti quello che tento di dire nel libro è che la competitività in realtà può essere una cosa molto positiva se presa in un certo modo. Che ti spinge a migliorare.
Poi c’è un altro sentimento che è rivolto all’esterno dell’ambiente artistico. Riguarda quello che una persona, che fa un lavoro più tradizionale, prova per chi invece fa un qualcosa che ama. Questo anche in maniera contraria. Nel senso chi fa un lavoro che ama fare, si autoinnesca poi dei sensi di colpa. Per cui chi vive di un lavoro che reputa divertente, si può sentire in difetto verso persone che magari si spaccano la schiena. In realtà la soluzione dovrebbe essere quella di avere una serenità verso sé stessi. Inoltre, se fai un lavoro che ti piace e ti diverte, all’esterno non viene più percepito come un lavoro. Si ha un non riconoscimento di esso, perché non stai lì a soffrirne. Questo avviene più per autodifesa che per cattiveria, vorrei sottolinearlo.

Hai un metodo particolare di strutturazione della tavola. Ti ispiri a qualche artista in particolare? Quali sono le tue influenze artistiche?
Ovviamente la tavola e la messa in pagina sono asservite alla storia. È impossibile per me dire che le cose sono scisse. È chiaro che tutto ciò che voglio sperimentare e far entrare in pagina è funzionale alla storia. In generale resto sempre abbastanza sorpreso quando mi dicono che sono particolarmente sperimentale .A me non sembra, o quantomeno, le mie vignette sono regolari.  Tutto il libro ha una continua dilatazione e decompressione delle vignette. È un gioco di avvicinamento e allontanamento. Quindi ci sono pagine super piene e tante splash-page e doppie splash. Mi piace questo metodo perché mi permette di dare tanto ritmo alla storia. Comprimere, decomprimere e, per me. la grandezza della vignetta è un segnale del soffermarsi, un’indicazione precisa, temporale direi, o comunque di importanza. In realtà sto dicendo delle cose abbastanza fondamentali, basiche oserei.
Per le ispirazioni, faccio molta fatica ad identificare quali sono le mie influenze per la scrittura e quelle per la messa in pagina. Per la regia delle storie, ecco. Per il riferimento stilistico invece devo citare Bryan Lee O’Malley, che non riesco a separarmene come assimilazione e, negli anni, la scena degli artisti indie inglese, quelli sotto l’ala della Nobrow Press. Tra i miei preferiti direi senz’altro Luke Pearson e Sam Brosnan. Uscendo invece dall’ambiente del fumetto, faccio molto riferimento al mondo dell’animazione. La recente scena dell’animazione 2D: Gravity Falls, Adventure time, sono tra quelle che più mi prendono.

Cosa dobbiamo aspettarci per il prossimo futuro?
Allora, con Bao per ora stiamo a vedere Iperurania e ancora dobbiamo parlare del futuro. Nell’immediato, invece, la mia preoccupazione è terminare Il Cavaliere e il Serpente. È una storia a cui tengo tantissimo e voglio assolutamente portare al termine. Dopodiché ho un paio di storie in serbo. Forse troppe, quindi sto cominciando a pensare all’idea di scrivere anche per altre persone e vedere come va. Lavorare con dei disegnatori per mettermi alla prova, perché nonostante io sia molto geloso delle mie storie, sono arrivato nel momento in cui forse alcune storie dovrei deciderle di non farle se dovessi disegnarle tutte io, quindi non mi va di accantonarle. Allora meglio affidarmi a qualcuno di cui mi possa fidare e farle venire alla luce.

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Ultimissima. Il prodotto finito di Iperurania, come ti sembra? Te lo aspettavi in questo modo oppure c’è qualche appunto che avresti visto diversamente?
Allora io ho lavorato in digitale. Ho fatto una progettazione vera del libro. Prima di cominciare a lavorare alle tavole, avevo già perfettamente in mente le misure e il formato. Ciò nonostante, lavorare in digitale, ti provoca uno sfasamento totale dalla realtà. Tremendo. Per avere un minimo di corrispondenza mi son stampato le tavole in casa per comprendere come stesse venendo visivamente e come poteva apparire. Per avere un responso immediato, per controllare se ci fosse un particolare da modificare, tipo. Ma non è comunque sufficiente. Quando vedi il libro è altro. Quindi anche se sapevo in anticipo tutto, quale sarebbe stato l’aspetto del libro finito, non riuscivo a visualizzarlo fin quando non l’ho avuto tra le mani. Solo in quel momento ho avuto una visione chiara. Quando è capitato è stato veramente sorprendente. Il lavoro di stampa e tipografico è stato veramente eccezionale. Sono riusciti ad avere una corrispondenza tra i colori del mio schermo e quelli della carta, impressionante. Sono veramente soddisfatto della forma fisica di questo libro. Io all’università ho studiato design del prodotto, quindi anche questo mi ha regalato particolare attenzione sull’oggetto-libro e devo dire che Bao ha fatto un qualcosa di fantastico. Poi sono particolarmente feticista su questo aspetto, lo cerco e lo apprezzo in quello che compro. Non è neanche un valore aggiunto, ma un valore fondamentale che ogni libro dovrebbe avere. La progettualità del libro ha il potere di offuscare o massimizzare la bellezza di quello che è stato fatto.

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