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Napoli Comicon: Reportage

A Napoli con i giapponesi
Visioni e considerazioni dalla settima edizione del Comicon

made in Partenope.

Riflessioni Generali

Mostra bagnata, mostra fortunata si sarebbe potuto dire parafrasando un antico detto vertente sui matrimoni. E la mattina del 3 marzo 2005, primo giorno di apertura dell’annuale Comicon napoletano, sul Paese del Sole pioveva che Dio la mandava.
Purtroppo, però, il detto sopraccitato evidentemente non vale per le Esposizioni. Perché quest’anno la convention del Fumetto diretta dal sempre ottimo Claudio Curcio – ragazzo di grande intelligenza e talmente bello che se fossi una donna cercherei di portarmelo di corsa a letto – è apparsa a molti appassionati di tono minore rispetto alle precedenti edizioni.
Il Comicon si concentra ogni anno su una particolare scuola geo-fumettistica. E se una certa impressione avevano destato la quantità e la qualità di ospiti e mostre presenti nelle sale di Castel Sant’Elmo nel corso degli anni passati, stavolta invece si è dovuto registrare un netto passo indietro sia per quanta riguarda l’organizzazione degli eventi sia per l’esiguo numero e il livello rappresentativo degli artisti stranieri presenti. Non mi sembra, infatti, che il tema centrale di questa edizione – il fumetto giapponese e coreano – sia stato sviluppato in maniera adeguata.
Una mostra sulla storia dei manga didascalica ma di scarso valore artistico, una carrellata prevedibile e semi-nostalgica sui robot giganti destinata a ultratrentenni delusi dal loro presente, un angolo dedicato al personaggio di Lupin III interpretato da disegnatori italiani, qualche incontro di richiamo relativo e poco altro ancora.

Intendiamoci, non penso affatto che la colpa sia da attribuire agli organizzatori della manifestazione che, anzi, hanno cercato di ricavare il meglio da quel poco che potevano utilizzare. Ma è pur vero che di mangaka di rilievo a Napoli… non ce n’era nemmeno uno. Considerando che in questo momento alcuni dei migliori titoli a fumetti pubblicati in fumetteria e in edicola provengono dal Sol Levante mi è parso quanto meno strano che non fossero presenti artisti come Katsushiro Otomo, Masamune Shirow, Naoki Urasawa, Leji Matsumoto, Go Nagai, Hayao Miyazaki, Monkey Punch, ecc.
Attenzione, non sto recitando la parte dell’ingenuo: so perfettamente che probabilmente far giungere un autore dall’Estremo Oriente può comportare molti più problemi rispetto alla risposta positiva che può fornire qualsiasi altro cartoonist di qualsiasi altra parte del mondo. Ma è innegabile che tali assenze hanno influito in maniera pesante – se non di più – sul successo critico del Comicon. Pur non mettendone in dubbio il valore, quale contributo epocale potevano fornire gente come Haruhiko Mikimoto o Hiroyuki Kitazume (artefici di alcuni episodi di Gundam) o Shinichi Hiromoto (ideatore dei manga “Fortified School”, "Single Action Army" e "Benkei"” nonché copia perfetta del Michael Jackson post-operazione)? Enigmatici, spesso spaesati, questi artisti non hanno apportato nessun particolare contributo culturale nel corso dei loro appuntamenti col pubblico.

Anche il livello delle proiezioni – disordinate e di qualità altalenante – non mi è parso all’altezza delle aspettative. Sarebbe stato lecito come minimo aspettarsi la proposta di qualche retrospettiva organica. Che so? Una rassegna esaustiva sui personaggi di Osamu Tezuka – incredibilmente poco presente – o una riproposta dei lungometraggi di Miyazaki (qualcuno ha detto “Nausicaa” o “Porco Rosso”?…). E questo senza voler formulare pretese impossibili ed esoteriche. Invece niente.
Paradossalmente la presenza coreana – con nomi da noi sconosciuti come Young-man Hur, Dong-Hwa Kim, Song-hee Choeng, ecc. – si è rivelata più compatta e interessante. Le esposizioni delle loro tavole originali e dei loro pannelli (pur non facendo gridare al miracolo) evidenziavano un’attenzione per il dettaglio, per le atmosfere e per il gusto della trovata grafica che facevano spesso nascere un sorriso compiaciuto sulle bocche dei visitatori. Ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte a una scuola fumettistica vitale e affamata di successo, ansiosa di aprirsi definitivamente al mercato occidentale per conquistarsi una platea internazionale.

La vacca sacra di quest’anno

Sergio Toppi.

Lodatissimo e incensatissimo, la sua piccola ma splendida mostra di tavole a colori è finita purtroppo relegata in una galleria di transito del castello, illuminata da luci giallastre che ne falsavano i cromatismi. Senza contare che chi passava di lì correva il rischio di perdersela, distratto dalla calca o fuorviato dall’assenza di particolari indicazioni.
Al maestro, disponibilissimo e infaticabile, è stato attribuito un premio Micheluzzi per la sua attività quarantennale.
All’annuncio, inevitabile la standing ovation nella sala dell’auditorium.

Il resto della mandria

Dal comunicato ufficiale conclusivo dell’organizzazione:
Vanna VINCI, Massimiliano DE GIOVANNI, Andrea BARICORDI e tutta la scuderia Kappa. E ancora IGORT, Tito FARACI, Lorenzo BARTOLI, Bruno BRINDISI, Ade CAPONE, Andrea CASCIOLI, Fabio CELONI, ROBERTO DE ANGELIS, GIPI, Gabriella GIANDELLI, Giuseppe CAMUNCOLI e il gruppo Innocent Victim, molti ragazzi della nuova Futuro Anteriore quali Giacomo NANNI, Claudio CALIA, Sergio PONCHIONE, Luca GENOVESE, Daniel EGNEUS e Grazia LOBACCARO, ma ancora Corrado MASTANTUONO, Onofrio CATACCHIO, Maurizio RIBICHINI, Andrea BRUNO, Davide CATANIA, Marco CORONA, SQUAZ, Dario MORGANTE, MENOTTI, i fratelli MATTIOLI, Fabio MICHELINI, Blasco PISAPIA, Teresa RADICE, Stefano TAMIAZZO, Stefano TURCONI, Giovanni GUALDONI, Walter VENTURI. Inoltre moltissime figure professionali di rilievo, da Fabrizio MAZZOTTA a Silvano MEZZAVILLA a due esponenti del gruppo WU MING, ai critici Luca RAFFAELLI, Fabio GADDUCCI, Giulio Cesare CUCCOLINI; alla francese Elisabeth HAROCHE, al tedesco Johann ULRICH.

Tra gli artisti stranieri ci permettiamo di ricordare la presenza di BARU – presente con una sua personale all’Istituto di studi francese Le Grenoble – e il serbo Aleksandar Zograf.


Stand e autori

Molto effervescente l’attività degli artisti in erba nostrani. Nelle stanze del maniero si poteva respirare forte la voglia di disegnare e di comunicare attraverso il linguaggio delle immagini. La nascita di tante riviste collettive – “Nonzi”, “Inguine Magazine”, “Canicola” – non è dovuta al caso ma a un esigenza che anela a diventare ben visibile.
Anela.
Inutile dire che il sottoscritto si è totalmente disinteressato a questi autori – che, per quel poco che ne so, potrebbero anche essere dei geni nascosti (non sto facendo del sarcasmo) – e a questo nuovo universo che spinge per emergere nel mare delle proposte editoriali.
Spinge.
Mai come quest’anno ho acquistato poco o niente a una fiera fumettistica: le uniche novità alle quali mi sono accostato sono stati i due albi editi dalla Coconino Press inseriti nella nuova collana “economica” denominata Ignatz: “Gli Innocenti” di Gipi e “Interiorae” di Gabriella Giandelli (entrambi autografati e “schizzati” dagli autori).
Ora, non è che il sottoscritto si possa definire propriamente un fan della Coconino. E’ una casa editrice che pubblica, sì, bella roba ma che riesce a gettare anche parecchio fumo negli occhi con prodotti pretenziosi e insopportabilmente radical-chic. Ma le riconosco un merito gigantesco: è riuscita a proporsi con un marchio che è divenuto sinonimo di… qualcosa. E’ una mini-factory che ha avuto l’intelligenza di aprire un prezioso canale di comunicazione con un pubblico trasversale, più ampio e diverso dal solito. Garantisce una sicurezza di accostamento così come una volta potevano farlo L’Isola Trovata, la Comic Art, la Granata Press, la Milano Libri, ecc...

Tanto per fare un esempio: se non fosse per la Coconino, io Gipi non me lo sarei filato per niente (anche perché la sua vena narrativa non mi colpisce particolarmente). La Coconino, però, ha fatto sì che DOVESSI in qualche modo tenerne conto.
E’ questo che spiega il suo successo. Una grande politica volta anche a CREARE e a PLASMARE gli autori. A spiegarne la provenienza e il loro significato culturale. A internazionalizzarli. A delineare delle tendenze che indaghino lo spirito dei tempi.
Fino a quando in Italia non si tornerà a progettare sul serio – e quindi a curare la fase di editing, di controllo produttivo, di informazione e di commercializzazione – i giovani autori si ritroveranno sempre a percorrere i sentieri misconosciuti del prodotto di nicchia. Buono per l’ego e per distrarsi da una vita monotona, ma altrettanto inutile e, giustamente, ignoto al pubblico. Che non si sentirà mai in dovere di leggere certe cose di cui non comprende la collocazione e il senso ultimo.
Il mio è un discorso che sarà certamente recepito male (me ne assumo tutta la responsabilità) e che probabilmente darà adito a critiche serrate (le comprenderò tutte). Ho un rispetto infinito per la creatività individuale, amo – accanto alle opere più classiche e convenzionali – i lavori più estremi e bizzarri che il fumetto possa produrre. Ma mai come in questo momento ritengo necessaria la progettualità imprenditoriale. E rifuggo perciò da autoproduzioni, performance estemporanee, riviste artificiose e giovani di belle speranze.
Pur essendo un seguace della prima ora di Leo Ortolani – per esempio – penso che lui come grande autore abbia incominciato a ESISTERE davvero solo col suo ingresso nella Panini Comics e col suo successo di vendite. Un successo conquistato con dedizione e fatica.
E detesto – d’altro canto – quando leggo un comunicato (apparentemente innocuo) del Centro Fumetto Andrea Pazienza in cui alla fin fine si evidenzia che alcuni talenti scoperti proprio dall’associazione cremonese – e vincitori anche di importanti riconoscimenti – non incentivano la vendita dei loro albi, disertando puntualmente intere giornate alle convention nazionali dedicate al fumetto. Un Maurizio Ribichini, una Nicoz, una Mabel Morri – che l’anno scorso si presentò sul palco dei premi Micheluzzi con un atteggiamento da sfigata a ritirare la targa “Nuove Strade” – li ignoro senza pensarci due volte quando oltretutto vengo a sapere che riescono a stento a trattenersi solo per poche ore a un fetente di stand per realizzare qualche disegno. Danneggiando chi ha creduto in loro e le loro stesse aspirazioni artistiche.

Ecco ancora – a tale proposito – alcune interessanti considerazioni tratte da una newsletter di qualche mesetto fa inviata dal Centro Fumetto: “Gli autori di Schizzo Presenta si sono esposti molto poco [alla fiera di Lucca del 2004]. Lo dicono le cifre. La presenza di Mabel Morri allo stand il sabato ha voluto dire un numero di copie vendute superiore a quello di tutti gli altri giorni messi assieme. Nicoz e Ribichini hanno potuto essere presenti solo venerdì pomeriggio. A Romics, la presenza della mostra da noi organizzata sui lavori di Maurizio si è tradotta in quaranta copie vendute. A Lucca ci siamo attestati sulle quindici. Gli autori di Schizzo Presenta citati non hanno potuto assicurare una presenza maggiore, per vari e giustificati motivi. Ma è chiaro che questo ha inciso. E si apre una riflessione per il CFapaz: fino a che punto è giusto arrivare ad investire sugli autori, per chi come noi non è un editore vero e proprio? Se gli autori non hanno la possibilità di essere protagonisti sino in fondo nel progetto editoriale che li riguarda, fino a che punto ha senso investire? Negli altri stand gli autori sono stati presenti per tutti e quattro i giorni, con evidenti risultati.”
Già: spesso le “belle speranze” in Italia oscillano tra sforzi fiammeggianti e privi di un retroterra riconoscibile e oscure vite impiegatizie che a un certo punto esplodono in un effimero momento di verve creativa.
Tristissimo.
E’ per questo che al Comicon mi sono ritrovato ad apprezzare molto una Cristina Fabris (www.cristinafabris.com) che – incatenata allo stand della Coniglio Editore – si esibiva in elaborati schizzi a colori di donnine discinte e cariche di sensualità. La Fabris pubblica sulle riviste erotico-pornografiche di Francesco Coniglio, proponendo cazzi, fiche, inculate, fellatio, cunnilinguus e sborrate con un tratto molto limpido, preciso e accattivante.
Un tipo di fumetto riconoscibile, con una sua precisa utilità, che rappresenta una boccata d’ossigeno in mezzo a una marea di geniali e artistici wanna-be.
Uno su mille ce la fa…

Comicus

Relegati in un freddo angolino a ridosso dell’auditorium, la combriccola di Comicus combatteva per avviare il suo stand multimediale.
A ben quattro computer faceva da contrappunto un solo cavetto telefonico. O una sola presa. O un qualcosa di guasto.
A differenza di quanto accadeva in passato i prozinari di nuova generazione – in questo caso Carlo del Grande, Marco Rizzo e Francesco Farru – hanno un aspetto decisamente cool che cozza con la loro nerditudine di fondo.
Il loro spirito molto lesso e anti-imprenditoriale ha raggiunto il culmine quando un noto distributore li ha onorati amichevolmente dell’acquisto di ben DIECI copie dello “Yearbook” di Comicus da distribuire sull’INTERO territorio nazionale. Roba da Tapiro d’Oro.
Divertente, invece, la loro conferenza: una marea di cazzate in libertà e di false anticipazioni in cui però spiccava…

La bestemmia del secolo

A un certo punto il diretùr Rizzo tira in ballo (sarcastico) l’illeggibile opera "ammazzacristi" di un noto autore-editor italiano.
“Produrremo il seguito”, afferma, e il titolo del sequel è la più roboante bestemmia che le sale di Castel Sant'Elmo abbiano mai udito prima d'ora.
Il sottoscritto stramazza al suolo in preda alle risa e alle convulsioni, alla disperata ricerca di ossigeno.
Due giovani e ignare spettatrici si dileguano di corsa.
Farru abbozza. Karlito resta basito.
Un fulmine si abbatte sul castello, scuotendolo dalle fondamenta.
In pratica non si tratta di una battuta palesemente e incontrovertibilmente comica (o “comicus”), ma di un vero e proprio punto di non ritorno. Soprattutto per l'autore dell’opera originale, che probabilmente sentirà fischiare le sue orecchie a vita.


Tito Faraci e Brad Barron

Tra gli incontri più attesi della tre giorni napoletana, la presentazione del nuovo format della Sergio Bonelli Editore ideato e sceneggiato dall’iperattivo Tito Faraci: la maxiserie in diciotto numeri intitolata “Brad Barron”.
Sala gremita, grande curiosità, un Luca Boschi – presentatore e moderatore – come sempre pimpante e allegro, autori in forma smagliante.
Fabio Celoni – copertinista e disegnatore della serie – spiega il suo approccio grafico al personaggio e al suo universo distopico (sono gli anni Cinquanta del secolo scorso, la terra è stata invasa dagli alieni, ci sono stati milioni di morti e il protagonista si muove tra i gruppi di resistenti sopravvissuti). “Mi sono andato a rivedere moltissimi film d’epoca, cercando di catturarne lo spirito e studiando la forma degli oggetti presenti sui set,” rende noto Celoni.
Al che Francesco Farru e il sottoscritto palesiamo entrambi un’espressione contrariata, ci guardiamo in faccia e sussurriamo contemporaneamente: “Vuoi vedere che la DVD generation colpirà ancora?…”.
Sia io che Farru abbiamo deciso di classificare come “DVD generation” quel folto gruppo di cartoonist (sceneggiatori e disegnatori) italici che traggono linfa esclusiva, nel concepire le loro storie, dalla fagocitazione di dischetti cinematografici e di opere altrui, dimenticandosi della vita reale che scorre all’esterno, fuori dalle loro camere dotate di schermi al plasma e di sistemi Home Theater. In pratica, una delle rovine creative del nostro Paese.
Per fortuna l’intervento di Bruno Brindisi – chiamato a illustrare il primo numero della maxiserie – attenua di molto l’impatto “negativo” delle parole di Celoni (che non ha nessuna colpa, beninteso).
Il disegnatore salernitano afferma di essersi guardato e studiato gli splendidi volumi della Taschen dedicati al design e alla grafica pubblicitaria dei Fifties. Stiamo parlando di una fonte preziosa e INESAURIBILE di soluzioni tecniche e grafiche da applicare a un fumetto ambientato nella metà del Novecento. La cosa lascia il sottoscritto compiaciuto, sia perché amo molto la collana della Taschen (costituita da libri specifici per quasi ogni decennio del secolo scorso) nominata da Brindisi, sia perché riesco finalmente a scovare un artista italiano che STUDIA e RICERCA, mettendo finalmente in secondo piano l’ormai onnipresente “influsso cinematografico” (del quale non se ne può davvero più).
Vulcanica, infine, la presentazione di Faraci che dichiara di voler recuperare lo spirito originario delle serie Bonelli, operando una ricognizione sui generi (non solo la fantascienza classica ma anche l’avventura, l’horror, il western, ecc.) secondo un modello che potrebbe essere quello di Alan Moore. Faraci si sofferma sull’origine del nome del protagonista della maxiserie (dal Jack Barron di Norman Spinrad: merito della costola di un libro adocchiata mentre Mauro Marcheselli lo incalzava al telefono sulla necessità di un “titolo” definitivo), sulle sue fattezze (modellate sul volto, opportunamente “deformato”, dell’attore George Clooney), sul modo in cui il disegnatore Claudio Villa ha suggerito la forma delle astronavi aliene presenti nelle storie (alle quali è stata “applicata” una punta per specificare meglio la loro direzione), sulla necessità di una riscoperta – depurata dalle incrostazioni – dello spirito narrativo dei Gian Luigi Bonelli e dei Guido Nolitta.
Quest’ultima considerazione mi sembra particolarmente intelligente. Più tardi, a incontro concluso, incontro Faraci nei corridoi: “Ho letto su Comicus il tuo ‘Not One of Us’ dedicato a ‘Fa un Po’ Male’ e a ‘Milano Criminale’,” mi dice contento e soddisfatto, “e come puoi vedere ci troviamo sulla stessa lunghezza d’onda. Le cose che dici in quell’articolo sono esattamente quelle che penso anch’io. Hai potuto constatarlo anche durante la presentazione (a proposito, non potevo perderti d’occhio perché eri seduto giusto nella fila davanti a mia moglie…): ho anticipato tutte le domande che potevi rivolgermi.”
All’improvviso capisco perché mi sembrava una considerazione intelligente…

La premiazione

L’attribuzione dei premi Attilio Micheluzzi è per le ore 18 e 30 di sabato 5 marzo, nella sala dell’auditorium. E inizierà con un ritardo di almeno un’ora.
Di solito assisto alle premiazioni seduto in quarta o quinta fila. Mi vado perciò ad acchiappare il gruppo di Comicus (che con ruspante spirito nerd e liceale si è andato a collocare nelle ultime file) e me lo porto davanti con me. Finiranno col ringraziarmi.
Sul palco ci sono Boschi e Curcio – il perfetto connubio tra Brad Pitt, Antonio Banderas e Francesco Renga – che, come tradizione, chiamano di volta in volta i rappresentanti della delegazione ospite per consegnare le targhe ai vincitori. Questo fatto genera degli imbarazzanti momenti alla Ionesco fatti di incomprensioni, cincischiamenti, pause, silenzi, battute fuori tempo, nomi storpiati e così via.
In ogni caso si riesce in qualche modo ad arrivare alla conclusione. Ecco pertanto l’elenco dei premiati in merito all’anno 2004 e, come sempre, in base alle indicazioni di un folto gruppo di professionisti italiani del settore:

MIGLIOR OPERA A FUMETTI: “Blankets” di Craig Thompson (Coconino Press).
Vittoria meritatissima ma ritiro della targa degno del tiro incrociato di pomodori marci e mazzi di broccoli. Il gruppo della Coconino sale sul palco e – stranamente coadiuvato da Boschi – si esibisce, con Igort come portavoce, in uno lungo e inopportuno spottone sull’attività della casa editrice. Alla fine l’artista cagliaritano arriva anche a decretare i vincitori ideali di un premio Micheluzzi (secondo il gusto della casa editrice), nominando un paio di persone presenti in sala che la mia mente cancella immediatamente dall’orizzonte dei miei futuri, possibili interessi fumettistici. Di un cattivo gusto notevole, non c’è che dire.

MIGLIOR SERIE ITALIANA: “John Doe” di Lorenzo Bartoli & Roberto Recchioni e AA.VV (Eura Editoriale).
Applausi a scena aperta. La serie era già candidata l’anno scorso. Il sottoscritto dedica un intenso pensiero a Recchioni – purtroppo assente – che, nonostante l’atteggiamento indifferente e scafato che lo contraddistingue, avrebbe gradito. E assai pure.

MIGLIOR DISEGNATORE: Massimo Carnevale per il volume “I Colori di Carnevale (Eura Editoriale).
Applausoni. E non tanto per Carnevale – che di premi come questi nella sua carriera ne ha già vinti e ne vincerà a iosa – quanto per la doppietta dell’Eura Editoriale, una casa editrice che da più di trent’anni è un caposaldo della cultura fumettistica in Italia.
C’è ancora gente capace di accogliere iniziative editoriali come il “Borderline” della Free Books – opera di Trillo e Risso – alla stregua di un gioiello inedito finalmente dato in concessione alle masse. Magari senza sapere che di storie simili l’Eura ne pubblicava – e ne pubblica – A DOZZINE ogni anno.

MIGLIOR SCENEGGIATORE: Massimo Semerano per “Europa” (Black Velvet).
E’ stata un po’ la sorpresa della serata. Vista la presenza e l’attenzione che gli era stata prestata, molti in sala si aspettavano il nome di Faraci. Ma è meglio così: Semerano è uno che la sua gavetta l’ha fatta e che – talvolta sottosilenzio – è stato protagonista di stagioni importanti del Fumetto italiano. Applausi anche a lui.

MIGLIOR SERIE ESTERA: “Monster” di Naoki Urasawa (Panini Comics).
Non ha avuto il successo che meritava questa splendida serie edita dalla Panini Comics, forse addirittura superiore per qualità e intensità all’acclamata (e più che ottima) “20th Century Boy” dello stesso autore. Un cruccio mi assale: un titolo del genere – che resta comunque commerciale e seriale – perché non è attualmente concepibile da un autore italiano?

MIGLIOR EDITORE: Kappa Edizioni.
Tanto di cappello. Qualcuno in sala ha mormorato che forse si trattava del ringraziamento dato dall’organizzazione del Comicon a un gruppo che è stato sicuramente determinante per l’allestimento della mostra e la gestione degli ospiti giapponesi. Ma anche se fosse, il premio non farebbe una grinza. I Kappa Boys sono vivaci e coltivano un’idea profondamente artistica e, nel contempo, popolare del Fumetto.

MIGLIOR INIZIATIVA EDITORIALE: “Gli archivi di Spirit” di Will Eisner (Kappa Edizioni).
Forse giunge con un po’ di ritardo e un po’ di opportunismo questo riconoscimento. Che comunque, anche in questo caso, ci sta tutto.

EVENTO DELL’ANNO: “40 anni di riviste d’autore (1965-2005)” di Sergio Toppi.
Già commentato.

In Collaborazione con il Centro Fumetto Andrea Pazienza, il Premio “Nuove Strade 2005” è stato poi assegnato, a pari merito, a Luca Genovese e a Maicol & Mirco.
Che non conosco affatto. E quindi non mi pronuncio.

Conclusioni

L’anno venturo il Comicon dedicherà il suo tempo e i suoi spazi ai comics dell’Europa del Nord, con particolare riferimento a Gran Bretagna, Germania, Scandinavia, ecc.
Prevedo una riuscita migliore rispetto alla manifestazione di quest’anno che mi limito a considerare, a conti fatti, interlocutoria.






[si ringraziano Alberto Casiraghi de LoSpazioBianco.it e Valentina "Mana" Fois per le foto riprodotte in quest'articolo]

Alessandro di Nocera
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