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Dragon Ball: recensione script

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C’è una cosa che è chiara a tutti, sul film di Dragon Ball, senza bisogno di leggersi lo script ma solo basandosi sulle foto e i filmati finora diffusi: questo film non sarà una riduzione diretta degli eventi del manga, quanto più un libero adattamento.
Il che non deve essere per forza un male. Se Stanley Kubrick ha fatto uno "Shining" che con il libro non aveva quasi nulla a che vedere (o per restare in un ambito fumettistico, pensiamo all'"Hellboy" di Guillermo Del Toro), perché ci si dovrebbero fare degli scrupoli nell’adattare Dragon Ball, un’opera che di certo non ha il suo punto forte nei messaggi insiti nella trama.
In questi casi è forse più importante, per rispettare lo “spirito” dell’opera, riuscire a mantenere riconoscibili le caratteristiche dei personaggi, cosa che, alla lettura della sceneggiatura, a questo film riesce in parte.
Ma andiamo con ordine e cominciamo dalla storia.

La trama, che in realtà è molto più “devota” al manga di quanto si possa pensare, riassume buona parte degli elementi chiave dei primi sedici volumi (la saga con il giovane Goku) inserendo quasi tutti i personaggi principali che vi compaiono e collegando tra loro le principali mitologie della serie: quella delle Sfere del Drago, quella del Mago Piccolo e dei Namecciani e quella dei Sayan.
Nel film, la leggenda di come il mondo sia cambiato inseguito ad un grande scontro tra un invasore alieno e sette maestri di arti marziali a guardia delle sette dragonball, che ha scatenato la furia di Oozaru il distruttore, viene persino raccontata nelle scuole ed è fonte di ispirazione per videogiochi e giochi di carte collezionabili. Il giovane Goku è un appassionato di questo mito, sia nella forma della leggenda che in quella del merchandising che vi ruota intorno.
E gia qui possiamo vedere la grossa differenza nella caratterizzazione del personaggio principale. Il Goku di Akira Toriyama era composto da totale innocenza e ingenuità; la traduzione nel film è stata trasformarlo in un nerd sfigato, una sorta di Peter Parker che deve nascondere la sua grande forza e che non reagisce alle prese in giro.

Ed è proprio il tentativo di sfuggire a questo nomea da nerd ad essere uno dei motori scatenati della vicenda. La sera del suo compleanno Goku, per andare ad una festa dei ragazzi “cool” della scuola, lascia il nonno e i suoi due migliori (nonché unici) amici soli, preda di un attacco in cui perdono la vita. Prima di spirare, il nonno indirizza Goku alla ricerca del suo maestro Roshi (il maestro Muten dell’edizione a fumetti, o il Genio delle Tartarughe per chi ha guardato la versione Mediaset) e delle sette sfere del drago.

In questo film dunque, Goku inizia la sua avventura mosso da sentimenti di vendetta. Un clima quasi opposto a quello iniziale del fumetto dove la ricerca parte quasi per gioco e per avventura, ma che però ricorda la parte più avanzata della serie, quella in cui la ricerca delle sfere di unisce alla “guerriglia” con il Red Ribbon.
I principali villain del film sono i classici avversari della serie, Pilaf e i suoi scagnozzi Mai e Shou, ricreati in maniera più realistica e dark: Pilaf è un ometto albino, Shou un gigantesco ninja mascherato, e Mai una femme fatale che darà parecchio filo da torcere ai protagonisti, principale nemesi del film prima dell’introduzione del grande mago Piccolo.
I tre sono accompagnati da truppe di ninja robot che saccheggiano il paese alla ricerca delle dragonball, e la stessa Mai ruba quella di Bulma, ricordo del padre, scienziato che cercava di ottenere una nuova forma di energia dall’artefatto.
Bulma è un altro personaggio che risulta molto snaturato rispetto all’anime. Pur continuando a mantenere alcuni aspetti “frivoli” della sua personalità, quella che ne viene fuori è una ragazza pragmatica, concreta, che crede alla scienza e alla tecnologia e che ritiene tutte le leggende sulle sfere del drago assoluta fandonia.

Al contrario, gli altri due personaggi che si affiancano a Goku nella sua avventura, Yamcha e il maestro Roshi, rispecchiano molto il loro alter ergo su carta.
Yamcha recupera ed amplia la concezione originale del personaggio: un ladro sbruffoncello, arrogante, che vive alla giornata. Anzi, il film gli dà forse la possibilità di approfondirsi più di quanto succeda nel fumetto.
Roshi risulta invece molto mitigato sul lato maniacale (del quale comunque mantiene alcune uscite), ma ha il pregio di recuperare tutti gli aspetti di geniale follia del Maestro delle Tartarughe, permettendo molti siparietti divertenti senza trascurarne la saggezza.

Altri personaggi familiari della serie appaiono in piccoli ruoli: Crilin e Puar fanno delle apparizioni così insignificanti che non ci stupiremmo se nella messa in scena finale venissero tagliate (Crilin è uno studente che guarda la tv a casa di Roshi, e Puar è il gatto a casa di Yamcha); Snow, la ragazzina soccorsa da Goku nella prima saga del Red Ribbon (qui chiamata Suno, secondo l’adattamento americano) è un piccola zingara che si unisce al gruppo dopo che la sua carovana è stata distrutta dagli uomini di Pilaf e che gioca un ruolo cruciale nello sviluppo della trama; Oolong appare nelle vesti di avversario del gruppo, privo degli aspetti umoristici del manga, e anzi mette a dura prova Goku e compagni quando infesta il villaggio di Chichi e dello Stregone del Toro.

L’arrivo al suddetto villaggio per Goku e la sua truppa è inoltre l’occasione per approfondire un aspetto lasciato completamente in disparte nell’opera originale.
Il film inserisce una forte tensione sentimentale tra i personaggi: fin da subito tra (e questo farà storcere il naso ai fan) tra Goku e Bulma, che poi viene turbata dall’arrivo di Yamcha, che sviluppa un rapporto amore odio con Bulma che destabilizza Goku. Ma quando Goku incontra Chichi, è Bulma ad entrare in crisi.
La cosa positiva è che tutto ciò non è assolutamente fine a se stesso, ma è anzi integrato perfettamente nella trama, infatti le tensioni irrisolte tra i tre trovano sfogo in una sequenza di “tradimento” che conduce direttamente allo scontro finale con il Grande Mago Piccolo e i suoi seguaci.
La parte del namecciano è sorprendentemente breve (probabilmente si dà per scontato uno sviluppo del personaggio nell’ipotetico sequel), dato che non compare fino all’ultimo quarto di sceneggiatura, in un duello nel quale si rivelano segreti e responsabilità (Goku scopre il segreto del proprio passato), con una risoluzione abbastanza classica e prevedibile.

Quello che risulta dalla lettura della sceneggiatura è una piacevole storia avventurosa, che forse impiega un po’ troppo ad ingranare, ma dopo l’entrata in scena del maestro Roshi scorre che è un piacere. Interessante poi che lo scontro finale non si risolva con un semplice “power up” di Goku, ma che invece sia legato ad una sua crescita interiore nel corso della storia nella quale trova l’equilibrio di cui ha bisogno grazie agli aspetti dei tre personaggi che lo accompagnano e che in lui si integrano: Roshi è la memoria storica del passato, Yamcha è il presento vissuto momento per momento cogliendo l’attimo, Bulma è il futuro verso cui si proiettano la scienza e la ricerca.

Se la messa in atto sarà degna, questo film saprà divertire tutti quelle che riusciranno ad andare oltre alla differenza iniziale con il manga.


Gianluca Reina
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