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Watchmen: Focus On

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Sull’opera più famosa di Alan Moore negli anni sono stati versati mari di inchiostro e montagne di bytes sotto forma di analisi ed elucubrazioni. In una precedente recensione su ComicUs, viene scritto:

"Se si dovesse scegliere tra i 12 capitoli che compongono la saga di Watchmen quello più rappresentativo, si potrebbe senza dubbio optare per il quarto, quello dedicato al Dottor Manhattan e intitolato L’Orologiaio. Il motivo è semplice: nonostante i continui salti temporali, nella storia in questione la vita di Jon Osterman sembra avere la precisione che soltanto gli ingranaggi di un orologio possiedono. Merito di Alan Moore ovviamente, che in questo racconto tende ad accentuare una delle tante caratteristiche che l’opera nel suo complesso contiene. Pagina dopo pagina tutto ha uno scopo ben preciso e niente sembra inutile, tanto che anche un elemento in apparenza insignificante come potrebbe essere una zolletta di zucchero qui ha una propria storia che viene raccontata all’interno della storia principale (o meglio delle storie principali). L’orologiaio in questione dunque è lo stesso Moore, che ci racconta un’epopea supereroistica attraverso la quale ridefinire la struttura del supereroe stesso.

I giustizieri di questo mondo alternativo al nostro (diverso nella forma, forse, ma non nella sostanza) sono odiati dalla gente. Ma del resto, come si potrebbe avere fiducia di un uomo che ha tutti i crismi della mediocrità e che si eccita soltanto indossando un costume o di un pazzo con il complesso di Edipo e dai metodi fascistoidi? Questi sono solo alcuni dei tanti aspetti di Watchmen, che può contare molteplici piani di lettura e che quindi può essere maggiormente apprezzato attraverso una serie di riletture."

Ciò che si è sempre attribuito a Watchmen, quindi, riallacciandosi a quanto scritto sopra, è la ridefinizione o ancor meglio la decostruzione del supereroe.
Dopo la pubblicazione di quest’opera nel fumetto americano, ma non solo, nulla è stato come prima. Si è aperta un’epoca in cui sempre più si è messa in dubbio la purezza e le motivazioni dei cosiddetti eroi. Prendete per esempio le considerazioni dello scrittore di "Lost", Damon Lindelof, pubblicate in un recente numero di Wizard durante una roundtable sul capolavoro di Moore e Dave Gibbons: "[...]Il Keene Act è così fo*****mente Civil War... Tony Stark sta supportando il Keene Act. Ecco dove siamo 20 anni dopo".
Ed è vero, il mega evento Marvel che stiamo leggendo in questo periodo in versione italiana prende spunto principalmente da questa idea che si potrebbe così riassumere: "Who watches the Watchmen?" (per un più approfondito confronto tra Watchmen e Civil War si consiglia la lettura della articolo di Alessandro Di Nocera nel numero 152/153 di Fumo di China, attualmente in edicola).

La forza e l’importanza di Watchmen risiede proprio in questo, ossia che i suoi argomenti e le sue idee fossero così innovative e tranchant da spazzare via quello che c’era e da ispirare gli autori per un ventennio e, c’è da scommetterci, per molto oltre.

Spesso però, impegnandoci in approfondite analisi sull’importanza dell’opera per ciò che ha lasciato in eredità, si tende a dimenticarne la bellezza intrinseca: Watchmen è innanzi tutto un capolavoro perché è una grandissima storia. In particolare un giallo con il classico assassino da scoprire. Un giallo di ampio respiro però, che scende nel dettaglio e nella storia passata dei vari protagonisti dove niente è un caso e niente è da dare per scontato.

La bravura di Gibbons sta appunto nel suo stile particolareggiato e in grado di non perdere alcun dettaglio perché, statene certi, non è insignificante.
Proprio per tale motivo non ci si capacita come sia possibile concentrare tale storia in due ore di film. Incrociamo in ogni caso le dita per una buona riuscita di esso.







Andrea Poli
(con la collaborazione di Andrea Antonazzo)


Gennaro Costanzo
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