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Chiacchiere di bottega con Moebius

Dopo più di vent’anni dalla realizzazione del portfolio Vedere Napoli, Jean Giraud (Fontenay-sous-Bois, 1938) ritorna nella bella e solare città partenopea per discorrere di fumetti, arte, amici e progetti lavorativi. Lo fa con l’affabilità dei suoi sessantanove anni, con la cordialità che solo i più grandi riescono a mostrare ancora ai propri fans. Nella saletta in cui ci riceve, infatti, l’artista – conosciuto meglio con lo pseudonimo di Moebius, in omaggio al matematico August Ferdinand Möbius che legò il suo nome alla celebre figura topologica del nastro – sorride e si concede ai giornalisti pronti alle interviste, senza mostrare mai un moto di impazienza o di indolenza verso i tempi serrati degli incontri alla Napoli Comicon:

Le due anime di questo artista (Histoire de mon Double è il titolo dell’interessante autobiografia) si alternano, si accavallano e si inseguono nel corso della sua carriera artistica così come gli interessi e le produzioni assolutamente eterogenei e sui generis. Ad una produzione infatti più lineare (la saga del tenente Blueberry sulla rivista Pilote) si affianca quella fantastica e fantascientifica, onirica nelle sue tangenze col surrealismo. Amico di Dalì e di Jodorowsky, fonda nel 1974 con Druillet, Dionnet e Farkas il gruppo degli Umanoidi associati e, un anno dopo, dà il via alla rivista trimestrale Mètal Hurlant. Manifesto teorico per eccellenza, la rivista ne accoglierà infatti le pubblicazioni più stravaganti e avanguardiste (Il garage ermetico di Jerry Cornelius, Arzach, John Difool, l’Incal, etc).

Osannato in Francia da pubblico e critica, Moebius sembra provare un certo imbarazzo per la calda accoglienza che trova ovunque e ricorda ai giornalisti, con un po’ di rammarico, che altri artisti, uno per tutti l’amico Enki Bilal, hanno spesso dovuto fare i conti con una critica ostile e un pubblico che ne ha rifiutato polemicamente le produzioni. «Sarà perché lui è più coraggioso e coerente di me», dice l’autore, lasciando intendere che, se le sue opere sono sempre accolte favorevolmente, forse servirebbe leggerle con più d’attenzione per cercare, e trovare, quei difetti che, inevitabilmente, ogni creazione artistica porta con sé.

La “leggerezza” delle storie del tenente Blueberry hanno tenuto infatti l’autore francese lontano dalle critiche negative, mentre la produzione cinematografica e fumettistica più engagée di Bilal è stata più esposta all’incomprensione e al fraintendimento da parte di pubblico e critica.

Sedotto e affascinato da sempre dallo sperimentalismo e dalle avanguardie, Moebius risponde, a chi gli chiede che cos’è il tempo, a suo modo, cioè tirando fuori le due anime ed energie creative del proprio io. Mentre per Gir, altro nom de plume del Nostro, il tempo è un contesto – il lettore segue le vicende di Blueberry dalla giovinezza alla maturità –, per Moebius esso è un tema. Rigido nella sua suddivisione in ore, minuti e secondi, nella vita di tutti i giorni il tempo è estremamente elastico. Rivisitando il concetto di durata che fu già del filosofo Bergson, l’artista confessa che cimentarsi in percorsi artistici stimolanti e difficili gli dà la sensazione di vivere più velocemente. Proprio per questo motivo, aggiunge ridendo, consiglia ai presenti di annoiarsi per vivere di più.

Accettare di lavorare all’ultimo numero della serie di Van Hamme, XIII, sostituendosi a Vance, significa perciò in primo luogo accettare una sfida tecnica, una nuova gara in cui misurare la propria versatilità e professionalità. Ammiccando ai presenti e lasciando intendere che il compenso per questa collaborazione non è stato certo disprezzabile, poi, ricorda che un artista ha anche delle esigenze alimentari a cui far fronte, che lo spingono spesso a venire a patti con le costruzioni editoriali che il mondo del mercato va proponendo.

Nel corso dell’intervista collettiva, Moebius torna più volte su questo tema. La fedeltà, la coerenza verso se stessi pare essere un argomento che lo tocca da vicino. Nella sua cerchia di amici e collaboratori, la coerenza è il valore su cui puntare per misurare la capacità dell’uomo di non venire mai meno alle cose in cui crede. Non può dunque fare a meno di nominare i più grandi collaboratori e colleghi che, a suo avviso, perseguono questo ideale, anche a costo di deludere le aspettative dei propri lettori. Miyazaki, con cui ha da poco esposto alla Monnaie di Parigi, rappresenta per lui l’ideale di artista che si conserva, nonostante i cospicui investimenti nel campo dell’animazione e del fumetto, coerente verso se stesso, fedele alla propria ispirazione.

Nonostante la creatività e i processi mentali che la regolano non siano argomento di facile conversazione, Moebius confessa che l’ispirazione spesso, durante la collaborazione con altri artisti, si è risolta in un mutuo dare e avere, in un opportunismo artistico che varia da caso a caso, da artista ad artista. Come sceneggiatore, infatti, il suo atteggiamento è aggressivo, ‘maschile’, fecondante, come disegnatore è più ricettivo e femminile. La metafora sessuale serve dunque al Nostro per esplicitare e chiarire quali siano i legami, i rapporti e le dinamiche con cui ogni artista deve confrontarsi nel lavoro a più mani.

Un concetto così sfumato come quello dell’ispirazione sarà mediato allora anche da altri fattori o attanti, come l’editoria, il pubblico, la critica e persino la cerchia di primi lettori (che solo raramente coincide col lettore ideale) quali sono gli amici, primi destinatari di un’opera.

È così che l’ispirazione finisce per seguire percorsi non lineari. Maturando (ma Moebius ha la franchezza di utilizzare il verbo ‘invecchiare’), si diventa sempre più isolati, dato che le posizioni finiscono per essere sempre più difficili, riconoscendo e dando via via più spazio soltanto, o per lo più, alle proprie specificità personali.

La vera difficoltà per un artista, confessa dolorosamente, sarà quindi quella di continuare a comunicare, cioè trasmettere il messaggio da veicolare attraverso il testo, evitando di trasformarsi in un tiranno assoluto (bellissima immagine dell’artista isolato nell’olimpo delle sue percezioni) che parla solo a se stesso in un cieco e infecondo circuito autoreferenziale. Maturando, allora, il peso del lavoro passato diventa sempre più incombente ed ingombrante, tanto da rendere l’artista prigioniero di ciò che ha prodotto.

Come uscire dall’impasse, allora, chiede qualcuno nella saletta assolata. Trovando l’equilibrio, sussurra quasi l’artista francese, che consiste nella giusta distanza dalla fedeltà e dal tradimento di se stessi.

Assolutamente saggio e disincantato, Moebius risponde anche a domande ancora più strettamente attinenti il mondo del fumetto. Li legge ancora? Apprezza l’arte contemporanea? Il Nostro ha un punto di vista sicuro su tutto, anche se a volte spiazza i giornalisti con risposte inattese e laconiche. L’interesse per i fumetti è, risponde, ovviamente innegabile, ma è cambiato il suo modo di accostarsi a quelli prodotti dagli altri. Alla stregua di un cineasta, dice, che assiste alla proiezione di un film senza saperne più apprezzare la poesia, ma dedito soltanto a cogliere i dettagli tecnici, i virtuosismi, le caratteristiche formali della pellicola, anche lui ormai legge i fumetti per studiarne il contesto in cui, in futuro, inserirà i suoi lavori. Riguardo all’arte contemporanea, definisce la sua visione «bizzarra e ambivalente»: se per un verso infatti l’arte è ricerca, per l’altro essa ha una dimensione pragmatica che non può e non deve far dimenticare all’artista che essa assolve un preciso compito rispondendo alle domande del pubblico. Il rischio che corre ogni creazione artistica sarà allora quello di accontentarsi di ciò che è, o di tentare, tutt’al più, di reduplicare se stessa in un processo mortifero e fallimentare. Come salvarsi da quest’ennesima impasse? Moebius suggerisce, ed è con la voce di un settantenne che proferisce queste parole, che è possibile sfuggire a questo «destino crudele» se non ci si accontenta e se non ci si stanca di cercare l’ispirazione (ancora lei!) nel profondo della propria autenticità e della propria particolarità, che è elemento prezioso, nascosto e, con aggettivo ancora più forte, aculturale. Non tutti ovviamente si salveranno. E ci pare di sentire in queste parole un certo orgoglio per essere uno dei pochi artisti ad aver fatto la storia del fumetto.

Finisce così, parlando del binomio sogno-fumetti, la chiacchierata con l’autore francese omaggiato alla IX edizione della Napoli Comicon, ma ci riserviamo tutti quanti, nonostante gli organizzatori ci dicano di sgomberare la saletta, di trattenere ancora qualche minuto l’artista francese per le foto e per le dedicaces. Chi non ne approfitterebbe?



Nadia Rosso
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