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Essential Reading: Gipi

Questa è la stanza (Coconino Press, brossurato con sovraccoperta, 118 pagine a colori, 17 euro). Testi e disegni di Gipi

Questa è la stanza è un piccolo ritratto di adolescenti ancora pieni di sogni. Come prima prova per la casa editrice francese Gallimard, Gipi confeziona un romanzo di formazione alla rovescia scandito in cinque canzoni, in cui l’aspra bicromia della sua provincia si apre all’ottimismo, ai colori accesi dell’estate.
Cinque canzoni: cinque sogni urlati nella provincia indistinta di Gipi, cinque anime adolescenti che sfidano le leggi del mondo per sancire la vittoria dei loro desideri, l’affermarsi di una giovinezza che vada al di là del tempo.

Giuliano è quello magrolino con la maglietta rossa, il chitarrista del gruppo. Suo padre gli ha regalato una stanza dove fare le prove, una casupola circondata da campi e cani (“campioni di caccia e di bellezza”) che non è proprio un regalo, è solo un prestito, almeno finché Giuliano e suoi amici non combinino qualche guaio (e lo combineranno, prima o poi, statene certi).
Quello a petto nudo con la pelle fumante è Alex, il batterista. Ha una passione smodata per Adolf Hitler e per l’estetica del nazismo: ma non è nazista, è solo un po’ scemo. Suo padre per anni ha rubato dalle casse dello stabilimento chimico di cui era dirigente, prima di sparire con i soldi e tutto. Ora Alex non sa neanche dove sia. In compenso, ha due mamme grassocce che sembrano viziarlo parecchio.
Il ragazzo col ciuffetto sugli occhi è il bassista e si chiama Alberto. Suo padre è un uomo tranquillo, appassionato di modellini di aerei telecomandati: una volta è stato molto male e, da allora, Alberto è diventato quasi normale.
Stefano invece è quello in canottiera con il microfono in mano, il cantante. Sembra il tipo più matto e scapestrato del gruppo ma forse ci tiene solo a farlo credere. Quando suo padre gli parla (suo padre fa lo scultore e ha un sacco di clienti importanti, tra cui un impresario che potrebbe cambiare il futuro del ragazzo in meglio), lui non lo guarda mai negli occhi.
E poi c’è Nina, la ragazza di Giuliano. Nella copertina di Questa è la stanza non si vede, e non è certo un caso. Nina è la testimone al di qua del tempo dei protagonisti, l’unica detentrice delle loro piccole vicende. “Guarda che il mondo ti ignora - dice una volta a Giuliano, che si vergogna di mostrare il suo fisico sottile in pubblico - solo io faccio caso alla tua esistenza”. Nel suo tenero sguardo c’è tutto l’abbraccio di un autore verso i suoi personaggi, ma c’è anche l’ammissione di una responsabilità, la conferma di una voce che si fa carico del proprio passato, sia esso doloroso o riempito di una vaga, ma tenace, speranza.

Passata la Guerra Gipi redige i suoi Appunti per una Storia d’Amore, una ballata di canzoni silenziose e di sogni ad alto volume che sfuggono ai valori e alle disillusioni del mondo adulto (“La musica non ha importanza - dice il ricco impresario a uno Stefano esterrefatto - È il desiderio di successo che conta, la voglia di prendere a morsi il mondo”). Gipi traduce questi sogni con una narrazione piana, fatta di dialoghi semplici e di vite vissute distrattamente, tra una canzone e l’altra. Saranno altre le stagioni delle scelte e dei rimpianti, ora è il tempo di spiccare il volo. Perché, come dice Giuliano, “avere un posto dove suonare è la cosa più bella del mondo”. Nina, guardandolo, si augura che abbia ragione. E anche noi, insieme a lei, vorremmo tanto che quelle quattro anime adolescenti non smettessero di suonare mai.

Davide Scagni



Baci dalla provincia 1: gli Innocenti (Coconino Press, spillato con sovracoperta, 32 pagine, 8 euro). Testi e disegni di Gipi

Dovendo fare un paragone con altre figure artistiche, sceglierei di paragonare Gipi a un pittore piuttosto che a uno scrittore. E i suoi disegni non c’entrano nulla, parlo proprio delle storie, dell’arte del narrare. Gipi non costruisce trame vere e proprie: nelle sue storie non ci sono climax o problemi da risolvere, ci sono solo personaggi e situazioni. E questo modo di narrare è evidente ne Gli Innocenti più che in altre sue opere, forse per il suo essere una storia breve e poco dispersiva.
E’ un modo di narrare che potrebbe far pensare a storie vuote e piene di autocompiacimento, ma non è questo il caso di Gipi: ne Gli Innocenti i personaggi (ma sarebbe meglio dire le persone), i luoghi, i ricordi assumono reale consistenza, sono concreti. E’ una storia di memorie dolorose in cui non c’è posto per esperimenti autoriali fini a sé stessi.

Ma di cosa parla, Gipi, in quest’albo? Riassumerne la non-storia sarebbe difficile. Si può dire che parla di crescita, di scelte e di memoria. E per farlo adotta un tono ammirevole nella sua leggerezza e semplicità. In questo i disegni svolgono un ruolo fondamentale: poco elaborati, fatti di poche linee a pennello quasi brutali nella loro semplicità, colorati con toni di grigio che più che una mancanza sono un arricchimento. I ricordi del protagonista, invece, sono raccontati in tavole senza vignette, con disegni a penna quasi scarabocchiati, a rendere l’incertezza del ricordo e la sua natura non cronologica.

Il volume è notevole anche sul versante grafico: la storia comincia sulla copertina (ideale per introdurre l’atmosfera), continua sulle bandelle (che tramite dei bellissimi acquerelli narrano dei momenti ''nascosti'' nelle pieghe della storia), nel frontespizio, e poi nella storia ''fisica''. Gipi considera il libro nel suo complesso, come un tutt’uno in cui ogni pagina utile è parte integrante della storia. Storia che non è destinata a rimanere autoconclusiva, perché è solo la prima parte di un grande ''affresco di provincia'' che l’autore ha in mente, e che proseguirà nei prossimi albi del suo Ignatz.

Giulio Capriglione



Appunti per una storia di guerra (Coconino Press, 112 pagine, bicromia, brossurato, 14 euro). Testi e disegni di Gipi

Con Appunti per una storia di guerra, racconto celebrato all’estero e persino in patria, Gipi sbatte la sua provincia dentro una guerra reale, una guerra di oggi, con i bombardamenti a tappeto e i cecchini appostati sulle vie di passaggio. I suoi appunti in bianco nero e blu tracciano paesaggi feriti (“come dopo una sbronza di cazzotti”) che ricordano le colline insanguinate di Fenoglio (Il partigiano Johnny, Una questione privata) per quel misto di pudore e di esattezza nel raccontare la vita di provincia – ma si muovono entro confini meno netti, come quelli di tante guerre attuali, senza ideali e senza speranza.

La guerra di oggi non ha il fascino eroico o la retorica commossa di una Resistenza. La guerra di oggi è un elogio alla merce, una celebrazione delle macchine. Il grande meccanismo bellico serve a verificare l’efficienza degli apparati statali e ad accelerare l’innovazione tecnica. E pazienza se qualcuno muore: fanno anch’essi parte dello spettacolo, protagonisti di un documentario in diretta che ha già sancito i suoi eroi e i suoi comprimari, i carnefici e le vittime predestinate.
Anche i personaggi di questo racconto sono schiavi di un sistema più grande, minuscoli anelli di un ingranaggio su cui non hanno potere. L’arruolamento diventa così un modo come un altro per procrastinare la sconfitta, il patriottismo una giustificazione comoda alla sopraffazione. Giuliano, il protagonista, sfugge a questa logica in modo casuale. Ma Giuliano è fortunato: ha una famiglia da cui tornare, una casa pacifica in cui trovare rifugio.
Non è così per il Killerino e per i suoi amici, giovani proletari all’inseguimento dei loro sogni borghesi, ai margini di una guerra che ridisegna i volti dei luoghi (i paesi scompaiono uno dopo l’altro, sotto i bombardamenti) e delle persone (Felice, il furbo capo dei soldati, perde un occhio). Quanti anni avranno? Sedici, diciassette, non importa. Per loro la pace non è mai esistita, è la guerra a offrir loro l’unica occasione di riscatto. Sono loro – quelli come loro – il carburante del sistema, la sua preziosa merce di scambio. In questa guerra immaginata ci sono le stesse paure di una guerra reale, gli stessi attori senza volto che giocano agli eroi per un briciolo di pane, di rispetto o di fortuna.

Giuliano ha le dita lunghe e magre di uno che nella vita non ha mai fatto niente. È scappato di casa pur di seguire il branco, ma ogni notte sogna i suoi amici che gli ripetono “non sei come noi”. Forse è vero: forse Giuliano ha un altro destino da vivere, altri spettacoli da vedere o da giocare, davanti al monitor di un televisore o di un computer. Guerre lontane, che non gli appartengono. Guerre che non fanno più paura.

Davide Scagni



Esterno Notte (Coconino Press, 112 pagine, bicromia, brossurato, 14 euro). Testi e disegni di Gipi

Il primo libro di Gipi per Coconino è una raccolta di cinque racconti (un sesto è stato aggiunto nella nuova edizione riveduta e corretta: Facce nell’acqua) che colpisce innanzitutto per la sua descrizione esatta della provincia, coi suoi paesaggi fatti di distese d’erba e di ampi cieli grigi, col suo silenzio carico di affetti nervosi, di parole portate da scatole televisive e sguardi incantati.

Gipi racconta una provincia che rincorre il mondo, ricevendo le cose che le cadono addosso e arrangiandosi come può. A volte i suoi personaggi si lasciano condurre dalla finzione narrativa (dentro una macchina sotto la pioggia che sembra messa lì apposta, due gangsters da film hollywoodiano si sentono “attori di una storia scritta da altri”), ma per lo più sono loro stessi a prendere per mano l’autore, che siano dei ragazzi incoscienti che si vanno ad ammazzare durante corse in moto clandestine (Le cinque curve), o vecchi amici dalla faccia cattiva che interrompono le sue didascalie poetizzanti (Storia di Faccia).
Quasi tutti i suoi racconti sono ritorni al passato (tra cui spicca la fredda, dolorosa rievocazione di Via degli Oleandri) e tracce graffiate di uomini e donne che lo sfidano, quasi lo offendono, obbligandolo a dare loro la parola. E l’autore lo fa con l’urgenza di un sopravvissuto, col sottile senso di colpa di non avere abbastanza forza, di non essere abbastanza veloce a disegnare o a scrivere.

Il gioiello della raccolta è probabilmente Muttererde, una strana commistione tra disegni in sequenza (a loro volta stratificati su più livelli, a suggerire movimento e instabilità) e brani testuali tratti dal diario del protagonista. La Muttererde è una petroliera dal ventre enorme, così profondo da raggiungere le viscere della terra e sputare fuori decine, centinaia di immigrati clandestini: uomini, donne e bambini intenti a raggiungere la salvezza del paradiso, l’opulento occidente, la redenzione. “Spesso ho la sensazione che il mondo e gli uomini siano fatte di due sostanze differenti”, scrive Gipi nella prima introduzione al racconto. In Muttererde le due sostanze della realtà si confondono di continuo, creando forme inusuali che inquietano e meravigliano. Non sarà proprio un fumetto, ma chi se ne frega. Leggetelo.

Davide Scagni



Davide Scagni
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