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Magic Press Essential Reading

- Animal Man
- Arrowsmith
- Authority
- Death: L'alto costo della vita
- Ex Machina
- Hard Looks
- Planetary
- Powers
- Ronin
- Scena del crimine
- Sebastian O
- Tom Strong



Animal Man vol. 1 (Magic Press, brossurato, 240 pagine a colori, € 18,00)
Animal Man vol. 2: L'origine della specie (Magic Press, brossurato, 224 pagine a colori, € 17,00)
Animal Man vol. 3: Deus Ex Machina (Magic Press, brossurato, 224 pagine a colori, € 17,00)
testi di Grant Morrison, disegni di Chaz Truog, Doug Hazlewood, Tom Grummet

Chi avrebbe scommesso un centesimo su Animal Man, vent’anni fa?
Eppure, i tre volumi che raccolgono la versione che Grant Morrison ha dato del personaggio sono, a nostro parere, una pietra miliare immancabile negli scaffali di ogni appassionato del genere supereroistico che si rispetti. Il primo motivo è che Animal Man rappresenta emblematicamente l’orientarsi dei personaggi anche più naif verso tematiche e toni più maturi. Un movimento che negli anni ’80 ha avuto i suoi apici riconosciuti in Watchmen e Il Ritorno del Cavaliere Oscuro e che ancora oggi fa sentire il suo influsso (per non dire che ha creato un sottogenere e addirittura una “scuola” di scrittura). Il personaggio nato negli anni ’60 sulle pagine di Strange Adventures, col suo potere mai sfruttato appieno di mimare le capacità degli animali, era stato affidato alle cure di Morrison inizialmente per un ciclo di quattro numeri. Ma lo scrittore scozzese prolungò l’impegno, non tanto per affezione al personaggio (che in effetti con lui condivideva la passione e il rispetto per la natura), ma perché intuì una strada di rinnovamento che aveva già abbozzato in quei quattro episodi e che decise di percorrere parallelamente agli allora molto più blasonati Miller e Moore mentre ci si avvicinava agli anni ’90.
Il secondo motivo per riservare uno spazio sui propri scaffali a questi tre volumi è ancora più filologico. In pochi infatti riconobbero subito cosa stava facendo Morrison sulla serie, ma a guardare l’intero ciclo a distanza di anni, vi riconosciamo molte di quelle geniali caratteristiche che distingueranno l’operato di Morrison negli anni a venire (specie su personaggi mainstream). Elementi come il gusto per situazioni naif opposte a quelle ciniche e realistiche, le rivalutazioni di personaggi dimenticati, le applicazioni talvolta persino geniali dei superpoteri, il grandeur cosmico opposto agli incubi da provincia americana, i temi sociali (razzismo, vivisezione, ecc.) e, soprattutto, il cercare di estremizzare le percezioni del lettore (tramite vari esempi di metafumetto, rari nel mainstream).
Se non bastano questi motivi per spendere questi 52 Euro e portarsi a casa un pezzo di storia del fumetto americano, si consideri che Animal Man rappresenta una rivalutazione del ruolo dello sceneggiatore (in generale), sottoscrivendo in pieno il manifesto della British Invasion. E lo fa sia mettendolo come co-protagonista delle storie e riconoscendone il ruolo di deus ex machina in maniera più velata, ma più efficace. Infatti i disegnatori che illustrano i 26 numeri del ciclo, seppure per lo più abili storyteller, sono generalmente piatti (se non addirittura pessimi), ma Morrison riesce a far superare al lettore la barriera dell’immagine, rendendola effettivamente subordinata alla trama, ai dialoghi e alle situazioni e riconsegnando al lettore un flusso narrativo scorrevole ed efficace. Di questi tempi, in cui troppo spesso siamo schiavizzati dalle immagini e ipnotizzati dagli effetti speciali, significa ricevere sensazioni impagabili.
Menzione d’onore per Brian Bolland, che con questi albi è entrato nell’Olimpo dei copertinisti, realizzando alcune delle più visionarie, inquietanti e geniali cover della sua carriera.

Marco Rizzo


Arrowsmith (Magic Press, brossurato, 160 pagg., a colori, € 13,00) testi di Kurt Busiek, disegni di Carlos Pacheco, chine di Jesus Merino

Fletcher Arrowsmith decide di arruolarsi alla vigilia del coinvolgimento degli USA nella prima guerra mondiale. Comincia quindi il suo ingresso nel mondo della magia che lo aveva solo sfiorato, visto che fate, troll, lupi mannari e altre figure fiabesche, convivono con gli umani in questa dimensione parallela.
Ad Arrowsmith non manca niente: un eroe dal cuore puro, un’ambientazione affascinante, una storia d’amore e di guerra. Poi la trama convincente e i dialoghi naturali di un professionista come Kurt Busiek e sopratutto i disegni di Carlos Pacheco. I corpi sempre dinamici, le espressioni del viso plastiche e naturali, le panoramiche dettagliate: questa miniserie è uno degli apici dell’arte del disegnatore spagnolo, a suo agio anche lontano dai supereroi che ama tanto.
Arrowsmith potrebbe essere considerato quasi un romanzo di formazione, che illude il lettore e il protagonista con un po’ di propaganda pro-bellica, all’inizio, per poi catapultarci tutti in orrori, rivelazioni e tradimenti (di se stessi). È la guerra insegnata in maniera intelligente nella cornice mainstream, ma mantenendo le sfumature di grigio tra il bianco e nero della dicotomia buoni-cattivi (sebbene è chiaro che se noi siamo cattivi, gli altri lo sono certamente più di noi).
Arrowsmith però è un’occasione persa su due fronti. Perde la nobile qualifica di “romanzo” (di formazione) con un finale lasciato in sospeso (si parla di un sequel in arrivo, non a caso) e, soprattutto, squalifica l’intelligente trovata di mescolare la magia al poco usato setting della I Guerra Mondiale. Lo fa nascondendo i riferimenti storici, che avremmo accettato anche in versione pseudostorica. Limitandosi infatti ad una ricostruzione del look e degli ambienti, senza trasmettere il mood storico, non ha senso la scelta del periodo preciso: si sarebbero potute collocare le avventure di Fletcher Arrowsmith durante la Guerra dei Cent’anni o la Guerra di Corea, e non sarebbe cambiato nulla.
Questa storia sarebbe stata lo stesso, godibilissimo, blockbuster.

Marco Rizzo


Authority (all'interno di Wildstorm 4-29, Magic Press; ristampa in volumi in corso) testi di Mark Millar, Warren Ellis e altri; disegni di Frank Quitely, Brian Hitch e altri

Violenza di massa utilizzata in modo spettacolare. Forte connotazione politica. Etica no-global, militantismo estremista e terrorismo. Intrighi internazionali e giochi di potere. Quel genere di outcoming. Post-11 Settembre già negli anni Novanta. Queste frasi rendono bene l’idea di quel che è stato Authority per il fumetto americano a cavallo del nuovo millennio. Raccolte le idee seminate qua e là col suo Stormwatch, Warren Ellis ci ha offerto un nuovo modo di intendere il supereroismo, figlio sia della già citata testata Image da lui curata, sia di alcune precedenti intuizioni (Squadron Supreme di Mark Gruenwald e forse Youngblood di Rob Liefeld). Ma niente in confronto alla vera bomba H deflagrata con l’avvento alle redini della testata dell’allora sconosciuto Mark Millar e del suo prode alfiere Frank Quitely: estremizzati quei pochi elementi su cui Ellis non aveva pigiato l’acceleratore (la coppia gay Midnighter-Apollo, troppo simile a Batman e Superman), Millar ha saputo gestire per qualche mese una realtà fumettistica caciarona e irresistibile, in barba al perbenismo benpensante degli alti vertici DC. Poi venne l’11 settembre e Paul Levitz colse la palla al balzo per mettere la parola fine a un fumetto troppo scomodo e di cattivo gusto per essere pubblicato da una major così in vista. Gli autori, divenuti nel frattempo superstar, hanno scelto vie (New X-Men, Ultimates) che dimostrano come il concetto di Authority (supereroi che agiscono nel mondo moderno, alle prese con problemi legati alle complesse vicende geo-politiche), ripulito da qualche eccesso di troppo, sia una carta vincente.

Giovanni Agozzino


Death: L’alto costo della vita (di prossima pubblicazione per Magic Press)

“C’è un giorno per ogni secolo in cui la Morte assume spoglie mortali per riuscire a capire cosa provino le vite che lei prende, per assaporare il gusto amaro della mortalità. É questo il prezzo che deve pagare per poter essere il crinale che separa i vivi da quel che è passato e quel che è di là a venire.”
Ecco, questa è la trama del volume Death: L’alto costo della vita, spin-off dell’acclamato Sandman di Neil Gaiman incentrato sulla sorella maggiore di Morfeo, la morte stessa, Death, per l’occasione rappresentata dalle matite magiche di Chris Bachalo. Poche righe queste che sintetizzano una storia semplicissima e neanche troppo originale: la morte si fa un giorno di vita tra gli umani. E la storia procede spedita come la trama. Death, Didì per gli amici, passa la giornata mangiando hot dog, incontrando gente bizzarra, andando per locali.
Eppure...
Eppure dietro ogni gesto, ogni dialogo, ogni vignetta, ogni personaggio, si nasconde un universo di significati. Neil Gaiman è un maestro in questo. Già il suo Sandman era un viaggio attraverso le storie e il bisogno di raccontarle dell’umanità, una struttura complessa fatta di continui rimandi, frasi sibilline, personaggi marginali che divengono essenziali e viceversa, ambiguo proprio come lo è il sogno. La morte invece è diversa. La morte è diretta e onesta. Arriverà sempre, prima o poi, e alla fine sarà uguale per tutti. Così è Death. Un personaggio schietto, sincero, e, a differenza di quel che si può pensare di lei, deliziosamente solare. Non c’è niente di male in questo, né alcun controsenso. In fondo, come dice Sexton, il protagonista della storia: “...sarebbe veramente bello se la Morte fosse qualcuno come Didì. Una persona piacevole, divertente e carina. E magari anche un po’ pazza”. Del resto se i sogni servono a farci sperare in una realtà migliore, qual è il compito della morte se non quello di farci apprezzare la vita?
Incontriamo Death tramite Sexton, un ragazzo che ha deciso di farla finita solo perché non trova nessun buon motivo per vivere. Come una novella Virgilio per Dante, Didì lo accompagna in un epico viaggio nella quotidianità. Sotto la sua guida eventi banali come mangiare una mela diventano un’esperienza fantastica; quelli che sembrano fatti casuali finiscono per concatenarsi l’uno con l’altro fino a divenire un vero tour nella vicenda umana: in una giornata assistiamo a felicità, dolore, amore, speranza di una nuova vita e, sì, anche morte. Ogni personaggio della loro epopea ha qualcosa da dare e dire, sia Mad Hettie, una barbona di duecentocinquanta anni che si diverte a giocare con gli immortali, che la signora Robbins, casalinga in pieno trip da televendite e dal cuore d’oro, sia il pericoloso Eremita e il suo apprendista Theo che Hazel e Foxglove, coppia saffica nata e cresciuta lungo tutta la saga di Sandman. E tutto questo per ribadire la cosa più semplice del mondo: la vita merita di essere vissuta intensamente in tutte le sue sfaccettature, anche le più tristi o banali, perché la bellezza è proprio lì, a uno stato d’animo di distanza, se solo ci permettiamo di godercela.
I disegni di un Chris Bachalo quasi agli esordi ma mai più così bravo narrano e confermano le intenzioni di Neil Gaiman. La scansione delle vignette è perfetta, alcune sperimentazioni nelle inquadrature raggiungono il genio, ma soprattutto la profusione di dettagli con cui Bachalo riempie ogni vignetta sta lì a ribadire quello che è lo stesso punto di vista di Death: la realtà è piena di dettagli interessanti, basta solo farci un po’ d’attenzione.
Per queste ragioni Death: L’alto costo della vita si configura come la perfezione fatta fumetto sotto tutti i punti di vista, ma non come capolavoro. Il capolavoro è Sandman, un’opera mastodontica e adulta che meriterebbe di essere tramandata ai posteri come lo è qualsiasi altro classico, per essere letta e riletta dalle nuove generazioni.
Death non è niente di tutto questo: è un gioiello, una cosa rara e preziosa che una volta conquistata va tenuta in un angolo della propria anima, per non dimenticare la verità più importante e banale di tutte: che la vita è triste e banale solo se noi vogliamo che lo sia.

Sergio Calvaruso


Ex Machina – 100 di questi strani giorni (Wildstorm/Magic Press, brossurato, 144 pagine a colori, € 12), testi di Brian K. Vaughan, disegni di Tony Harris.

“La gente dà la colpa a me per Bush nella sua tuta da aviatore e per l’elezione di Arnold. Ma la verità è… tutte quelle cose sarebbero successe con o senza di me. All’epoca tutti avevano paura. E quando la gente ha paura vuole essere circondata da eroi. Ma i veri eroi sono solo una nostra creazione. Non esistono al di fuori dei fumetti. Lo sapevate che il sindaco La Guardia una volta ha letto i fumetti alla radio per i newyorchesi? Sul serio, accadde durante lo sciopero dei distributori di quotidiani, nel ’45. Fiorello non voleva far mancare ai bambini il loro Dick Tracy per colpa di un manipolo di adulti litigiosi, così lui… Scusate, sto divagando, vero? Mi capita, di questi tempi. Comunque sia, questa è la storia dei miei quattro anni di carica, dall’inizio del 2002 fino a tutto lo stramaledetto 2005. Può sembrare una commedia, ma in realtà è tragica. Così è la vita, eh?”.
Basterebbe da solo questo magnifico incipit per rendere indispensabile la lettura di “Ex Machina”, la bella serie targata Wildstorm consacrata, nel luglio del 2005 – dopo un notevole riscontro di critica e pubblico – dalla conquista di un prestigioso Eisner Award. Perché la storia concepita da Brian K. Vaughan (“Y, The Last Man”, “Mystica”) e dal disegnatore Tony Harris (“Starman”, “Iron Man”) palesa fin dall’inizio lo spirito originale che la anima.
Mitchell Hundred è un comune essere umano che – dopo essere stato vittima di un misterioso incidente che gli ha donato poteri di controllo sugli strumenti elettrici e meccanici – decide di intraprendere la carriera di supereroe, mettendosi al servizio della comunità cittadina e dell’intera nazione. Quando, però, l’uomo incomincia a rendersi conto che le sue azioni non fanno altro che mantenere lo status quo, facilitando gli sporchi giochi dell’establishment politico-finanziario, la sua visione delle cose muta. Il cambiamento di una società non può partire dalle “belle gesta” di un vigilante mascherato, ma solo da una nuova coscienza politica che esalti il valore e la funzione-guida delle leggi dello Stato.

E’ per questo che Hundred finisce col gettarsi nell’agone elettorale, candidandosi a sindaco di New York e conquistando con un consenso plebiscitario – anche grazie alla risonanza mediatica del suo intervento nel corso della crisi terroristica dell’11 settembre 2001 – la carica di primo cittadino.
“Ex Machina” è un fumetto sofisticato, ottimamente scritto, disegnato con un rigore realistico da fotoromanzo, che cela dietro la sua apparente leggerezza, dietro la sua soave linearità, una ridda di implicazioni e di chiavi di lettura che rimandano addirittura alle tematiche precorritrici di “Watchmen”, il capolavoro di Alan Moore e Dave Gibbons.
Brian K. Vaughan adotta un modello narrativo che si rifà esplicitamente alla migliore fiction televisiva dell’ultimo decennio (“The West Wing”, innanzitutto, ma anche “Law & Order” e “NYPD Blue”) spingendo con forza e convinzione la riflessione sul genere supereroistico verso una direzione che l’intera industria dei comics statunitensi già stava incominciando a percorrere da qualche anno in maniera più o meno sotterranea.
Se, infatti, fin dalla nascita di Superman e Batman, uno dei pattern indiscutibili del mondo dei supereroi è sempre stato quello dell’identità segreta sovrumana, dell’uomo capace di trasformarsi in una divinità assistenziale e salvifica, oggi, invece, accade l’inverso: il superuomo, la divinità, rinuncia al suo status per agire senza poteri tra gli esseri umani. Mentre prima il poliziotto, l’investigatore, il dottore, l’avvocato si trasformavano in creature invincibili per portare aiuto ai bisognosi, all’inizio del nuovo millennio – sulle pagine dei comic-books – si avverte la necessità di un potere che, rinunciando alle esaltazioni idealistiche, sappia tradursi in una concreta e democratica guida sociale. Oggi più che mai c’è bisogno di dottori, poliziotti, uomini di giustizia capaci di fare il proprio mestiere in un mondo sempre più veloce, articolato e complesso. I crociati senza macchia appartengono a un altro tempo, carico di fantasie infantili e di ideologie reazionarie. E di questo i cartoonist più sensibili dell’industria fumettistica d’oltreoceano si rendono perfettamente conto.
Si tratta di un cambiamento epocale che forse non è stato ancora pienamente recepito dai lettori e dagli appassionati, nonostante titoli di successo come – ne citiamo solo alcuni – “Powers” di Brian M. Bendis e Michael Avon Oeming, “She Hulk” di Dan Slott e Juan Bobillo o “Gotham Central” di Greg Rucka e Michael Lark ne stiano già da tempo catturando l’urgenza.
“Ex Machina” rappresenta, quindi, per certi versi, una vera e propria pietra miliare, la punta più evidente di un iceberg tematico che attesta l’ennesima evoluzione del supereroismo nei comics. Un genere che, dato più volte come morente, trova sempre il modo di rivitalizzarsi, andando a scandagliare le istanze più profonde del mondo reale.

Alessandro Di Nocera


Hard Looks (Magic Press, brossurato, 240 pagine, b/n, € 12,50) testi di Aa.Vv., disegni di Aa.Vv.

Ci sono chicche di qualità elevatissima nascoste nei meandri del catalogo Magic Press. Opere che, per i più svariati motivi, sono passate inosservate, o quasi.
Hard Looks è una di queste.
Ispirata al libro Nato sotto una stella cattiva, sempre di Andrew Vachss, è un’antologia di racconti brevi a fumetti, a cura di autorevoli protagonisti del comicdom mondiale (e non solo): David Lloyd, Klaus Janson, Dave Gibbons, James O’ Barr, Bruce Jones, Joe R. Lansdale, solo per citarne alcuni.
Nomi importanti per raccontare storie talmente assurde da essere vere: il destino infame di un cane da combattimento, la squallida vita di una ragazza impiegata presso un call-center erotico, serial-killer, maniaci sessuali… Storie disperate, cupe e maledette, frutto delle incredibili esperienze di vita di Vachss che è stato agente federale, assistente sociale, sindacalista e direttore di un carcere per delinquenti minorili particolarmente violenti; tutto questo prima di diventare un avvocato che si dedica esclusivamente alla difesa di bambini e ragazzi.
Hard Looks è tutto questo e molto di più: un’opera che tutti dovrebbero leggere, se non altro, per conoscere e combattere gli abusi, le violenze o, per dirla con Vachss, la Bestia.

Carlo Del Grande


Planetary vol. 1 (Magic Press, brossurato, 160 pagine a colori, € 12,50) testi di Warren Ellis, disegni di John Cassaday
Planetary vol. 2 (Magic Press, brossutato, 144 pagine a colori, € 11,50) testi di Warren Ellis, disegni di John Cassaday
Planetary vol. 3 (Magic Press, brossutato, 144 pagine a colori, € 11,50) testi di Warren Ellis, disegni di John Cassaday

Tra gli antesignani più rilevanti dei fumetti supereroistici ci sono le riviste di racconti pulp che erano molto diffuse negli Stati Uniti agli inizi del secolo scorso. In riviste come queste sono nati importanti personaggi come Doc Savage, The Shadow e Fu Manchu. Quasi a volersi liberare delle scorie accumulate nei primi anni ’90, nell’ultimo decennio il fumetto americano è andato alla riscoperta delle proprie origini, iniziando proprio dalla rivalorizzazione di questo tipo di narrativa (tra l’altro una cosa analoga, pur in modalità e con scopi diversi, è accaduta recentemente in Italia in casa Bonelli con il Brad Barron di Tito Faraci). Tra i principali artefici di questa nuova “moda” c’è stato sicuramente Alan Moore con il suo Tom Strong per la linea ABC. Questa volta, però, il Maestro ha dovuto dividere il primato (qualitativo) con un suo connazionale, ovvero Warren Ellis, autore della serie Planetary (pubblicato in America dalla DC Comics con il marchio Wildstorm). Attraverso le avventure di Elijah Snow, personaggio misterioso nato non casualmente il primo giorno del ventesimo secolo, Ellis ci racconta della narrativa popolare dello scorso secolo. La diversità di Planetary rispetto all’opera di Alan Moore sta nel fatto che Ellis non prende in considerazione soltanto la succitata narrativa pulp, ma giustamente anche il cinema di genere e soprattutto il fumetto supereroistico della Golden e Silver Age. Pur mantenendo intatto il sense of wonder delle varie opere di volta in volta citate, tra formiche giganti e viaggi extraorbitali, Ellis riesce a rendere il tutto brillante e innovativo, condendolo con una spruzzata di riferimenti metatestuali mai fini a se stessi. Se è vero poi che Ellis, con Stormwatch e The Authority, sia stato uno degli artefici dell’introduzione di un maggior realismo nel fumetto supereroistico, di questo, in Planetary, ci sono tracce evidenti. A caratterizzare ancor di più la serie infine ci pensano le splendide matite di John Cassaday, uno dei disegnatori (a ragione) più premiati degli ultimi anni. Il suo peculiare tratto si adatta molto bene a qualsiasi genere in conseguenza delle sceneggiature di Ellis. In Italia la serie è presente sulla rivista da edicola Wildstorm fin dal suo primo numero, mentre è già da tempo cominciata la riproposta in volumi monografici da libreria.

Andrea Antonazzo


Powers: Chi ha ucciso Retro Girl? (Magic Press, brossurato, 180 pagine a colori, € 14,50) testi di Brian M. Bendis, disegni di Michael A. Oeming
Powers: Giochi di ruolo (Magic Press, brossurato, 128 pagine a colori, € 10,50) testi di Brian M. Bendis, disegni di Michael A. Oeming
Powers: Piccole morti (Magic Press, brossurato, 168 pagine a colori, € 14) testi di Brian M. Bendis, disegni di Michael A. Oeming
Powers: Supergruppo (Magic Press, brossurato, 168 pagine a colori, € 14) testi di Brian M. Bendis, disegni di Michael A. Oeming

L’ispettore Christian Walker e la sua partner Deena Pilgrim sono una coppia di poliziotti abbastanza tipica. Abbastanza, ma non propriamente.
Il loro lavoro è quello di svolgere indagini su omicidi in cui siano coinvolti uomini (o donne) con superpoteri. Questo perchè, nella loro città, i semplici umani convivono con esseri potenziati, che per lo più svolgono funzioni classiche quali il supereroe o il super-nemico.
Da questa idea, semplice e non brillante per originalità, l’iperattivo Brian Michael Bendis ed il creativo Michael A. Oeming hanno creato una serie di successo, giustamente premiata, nel 2001, con l’Eisner Award nella categoria Miglior nuova serie.
Dialoghi – al solito – ottimi, ritmo sostenuto, senza trascurare approfondimenti psicologici dei personaggi, atmosfera da perfetto procedural: questi gli elementi dominanti in Powers.
Aggiungiamo il rapporto più o meno conflittuale tra i protagonisti, un assortimento di comprimari assai fantasioso, una precisa strategia degli autori volta a proporre copertine sempre più ricercate ed avremo una serie di volumi che si fanno leggere con piacere. Ciò anche grazie all’evidente ispirazione di Oeming, nonchè al suo tangibile feeling con Bendis.

Carlo Del Grande


Ronin (Magic Press, brossurato, 300 pagine a colori, € 20) testi e disegni di Frank Miller, colori di Lynn Varley

Odio gli adattamenti editoriali apocrifi, lo ammetto.
Per questo ho a mio modo odiato la versione che fece la Milano Libri/Rizzoli di Ronin, spezzettata e frantumata lungo i numeri di Corto Maltese ed in un formato graphic-novel europeo (che tanto andava di moda in quella fine degli anni '80) che era ben diverso dalla foliazione e dalla conformazione dell'opera originale.
Per questo ringrazio la Magic Press per avere (finalmente?) ristampato l'opera in un TPB perfettamente equilibrato e fedele all'impostazione della miniserie in modo da poterci permettere di godere di un'opera molto importante.
Terra di mezzo è l'espresione che mi viene in mente pensando al ruolo ed alla collocazione sistematica che ebbe Ronin nell'evoluzione del fumetto U.S.A. (anche sotto il profilo editoriale) e - più in particolare - nell'evoluzione artistica di Frank Miller.
L'autore era uscente dai trionfi di vendite e di critica per il suo (Dare)Devil, personaggio Marvel recuperato sotto tutti i profili attraverso una run di importanza capitale e di forza artistico-narrativa oramai storica.
Con Ronin, Miller fa un ulteriore ed affascinante passo in avanti sotto tutti i profili: accentua ancora di più la sua opera (già iniziata e fondata sul precitato Daredevil) di ridisegno delle frontiere dello story-telling, attraverso l'inglobazione di tecniche visuali, di costruzione della pagina e di atmosfere proprie dei manga giapponesi, ma con contaminazioni europee (Moebius & Toppi in primis); inoltre procede ad una destrutturazione e ricostruzione del suo segno proprio lungo la miniserie.
Se guardate i primi numeri ritroverete sostanzialmente il Frank Miller di L'Ultima Mano o di Roulette su Daredevil con un segno magari dotato di una leggera accentuazione dei tratteggi (che tanto faranno scuola da lì a qualche anno e prima ancora del contributo fondamentale apportato da Barry Windsor-Smith) per i mezzi toni; procedendo poi lungo il terzo episodio si nota proprio un rapido cambio di stile di segno che si fa più sottile, più europeo, con un uso dei tratteggi molto moebiusiano, in cui il segno di matita appare quasi inesistente ormai ed in cui gioca un ruolo fondamentale il passaggio col pennino a china. E' la radicale sferzata in un'evoluzione stilistica che ancora oggi non si è fermata (anche se c'è chi, come me, pensa che di questi tempi sia giunto ad un'involuzione) e che passerà attraverso i due passaggi fondamentali rappresentati da The Dark Knight Returns e Sin City.
In questo, Ronin è fondamentale per godere dell'evoluzione dell'artista.
Miller però rompe e forza anche il mondo editoriale con la storia ed il suo formato. Prima di tutto si presenta al grande pubblico con una serie non superoistica, rompendo schemi consolidati nonchè le aspettative dei fans più accaniti (ricordiamo anche l'importante contributo grafico dell'autore nella miniserie dedicata a Wolverine del 1982 su eccellenti testi di Chris Claremont); poi la propone nella forma di una mini di 12 numeri, di ben 48 pagine ciascuno, con colori ad acquerello della moglie, Lynn Varley. Miller, in questo modo, si ricollega e tenta di innestare forzatamente - primo (??) - nel mercato mainstream U.S.A. caratteri, toni ma anche soluzioni editoriali mutuate dal fumetto europeo, in un tentativo di contaminazione e rinnovazione globale (cfr. le precitate influenze manga - allora pressochè sconosciuti in U.S.A. - nei contenuti) che non voleva tradire del tutto la tradizione statunitense, ma semplicemente farla evolvere.
Miller infine scrive una gran bella storia, dura, cruda, fantastica, dinamica e piena di forza narrativa e grafica.... con un unico difetto, forse, il fatto di essere, probabilmente, già nella sua concezione il terreno di sperimentazione per un innesto ancora più coraggioso che ebbe nel 1986 un nome ed un cognome ben preciso: "Il Ritorno del Cavaliere Oscuro".
Tuttavia questa - da molto tempo - auspicata edizione della Magic Press si lascia godere forse ancora di più perchè nella sua compattezza di volume (curato e stampato in maniera molto buona) unico si staglia nella sua unicità una storia oramai identificata come uno snodo essenziale nell'evoluzione del Fumetto moderno ..... il pre-capolavoro.
Vogliamo dire poco?

Fabio "The Lawyer" Zavatarelli


La Scena del Crimine (Magic Press, brossurato, 112 pagine a colori, € 9,00) testi di Ed Brubaker, disegni di Michael Lark e Sean Philips

Se c’è una cosa che possiamo imparare dalla scuola americana giallistica degli anni Venti (ovvero i vari Raymond Chandler e Dashiel Hammet) è che i protagonisti di una storia poliziesca possono essere anche “sporchi” e dal passato torbido. Il romanziere Eddie Bunker (da poco tristemente defunto) è uno che questa lezione l’ha vissuta sulla propria pelle, avendo un passato da criminale (è stato autore di numerose rapine a mano armata). Bunker è entrato e uscito dalle prigioni americane, non riuscendo mai a venire accettato dalla società (non di certo per colpe proprie ma più probabilmente di quest’ultima) e ha riversato le proprie drammatiche vicende in una serie di bellissimi racconti (tra i quali Cane mangia cane e Animal Factory). Questo lungo preambolo è necessario per presentare lo scrittore di La Scena del Crimine, ovvero Ed Brubaker. Anche lui, come il suo quasi omonimo Bunker, ha un passato torbido alle spalle, fatto di crimini e prigioni. Gli “eroi” di Brubaker, e quindi anche i personaggi di questo volume, riflettono benissimo le contraddizioni morali del loro demiurgo e cercano di scappare dal proprio passato, di dimenticarlo. Quasi mai ci riescono, d’altra parte, se non per esigenze di commerciabilità del prodotto. Uscita per la linea Vertigo della DC Comics, La Scena del Crimine racconta una vicenda di sparizioni e omicidi che nascondono più di quello che all’apparenza può sembrare. Il protagonista è Jack Herriman, un detective privato sui generis il cui passato viene fuori man mano che la storia procede. Lo scenario, invece, è quello di una San Francisco con reminiscenze degli anni ’60 e dalle atmosfere opprimenti che finiscono sicuramente per influenzare gli individui che ne popolano le strade (almeno nella storia). Ai disegni troviamo l’insolito connubio tra un autore dallo stile iperrealistico come Michael Lark (autore dei layouts e poco più) e un altro invece dal tratto più stilizzato, Sean Philips. I due forniscono una prova decisamente buona, pur se non sempre convincente nella caratterizzazione dei personaggi. Ma in una storia del genere l’obiettivo più importante è probabilmente quello di riuscire a creare l’atmosfera giusta e da questo punto di vista i due disegnatori sono stati impeccabili. Tirando le somme, La Scena del Crimine non è di certo un capolavoro e neanche una storia completamente originale, ma d’altra parte ha pochissimi punti deboli. Da recuperare, dunque, se non altro perché possiamo considerarla come l’apripista per molti fumetti che sono giunti di lì a poco come Gotham Central, tra l’altro degli stessi Brubaker e Lark.

Andrea Antonazzo


Sebastian O (Magic Press, brossurato, 84 pagine a colori, € 7.50) testi di Grant Morrison, disegni di Steve Yeowell

Nel 1993, prima di Invisibles e dopo Doom Patrol, Grant Morrison scrive la miniserie di tre numeri intitolata Sebastian O, che vede ai disegni lo storico compagno di Grant ai tempi di 2000 A.D., Steve Yeowell.
Il racconto è ambientato in una sorta di mondo retro-futuristico che mescola elementi dell’epoca Vittoriana e realtà virtuale. Sebastian O è un dandy, un rivoluzionario damerino, autore di poemi sconci, che, inseguendo il mito della bellezza e del lusso, entra a far parte dei circoli più esclusivi del Regno Unito. All’inizio del racconto egli è però caduto in disgrazia, vittima di una cospirazione ed è imprigionato in una cella di massima sicurezza. La sua fuga, scontata, lo porterà a confrontarsi con chi lo ha tradito e a conoscere il subdolo segreto che alimenta il suo mondo; nel mentre Sebastian (o Morrison) ci sollazza con cinici ma deliziosi aforismi che sembrano rubati a Dorian Grey, commette omicidi e tradimenti sempre vestito a puntino e si concede alle grazie di qualche concubina.
Sebastian O è un esperimento. Alla fine della lettura il lettore resterà probabilmente spiazzato, visto che alcuni interrogativi restano irrisolti, ma questo non inficia affatto la qualità dell’opera nel suo complesso. Le tematiche sulla realtà virtuale, che Morrison qui introduce, ci fanno pensare a Sebastian O come la prova generale per Invisibles. Con un po’ di fantasia si potrebbe pensare al protagonista come ad un'incarnazione di King Mob.
Inoltre va apprezzato lo sforzo fatto dagli autori nella ricostruzione della società vittoriana, arricchita con elementi tecnologici sul filone “steam – punk”. Elementi che verranno reintrodotti in futuro anche da Alan Moore ne La Lega degli Straordinari Gentlemen, ma, a nostro parere, con minor forza espressiva.
In Italia la miniserie è stata recentemente pubblicata da Magic Press e raccolta in volume, arricchita da una nuova introduzione e cronologia fatta dallo stesso Morrison nel 2004, in occasione della edizione in paperback negli USA. Riteniamo molto utile, in particolare, la cronologia degli eventi che coinvolgono Sebastian, durante la sua gioventù, la sua ascesa sociale e la sua caduta, che precede l’inizio del racconto a fumetti. Essa, infatti, permette di contestualizzare correttamente tutti gli avvenimenti successivi e introduce già un abbozzo delle caratterizzazioni dei protagonisti della vicenda.

Fausto Ruffolo


Tom Strong Vol. 1 (Magic Press, 208 pagg., brossurato, colori, € 16.00) testi di Alan Moore, disegni di Chris Sprouse, Al Gordon, Art Adams, Dave Gibbons
Tom Strong Vol. 2 (Magic Press, 192 pagg., brossurato, colori, € 15.00) testi di Alan Moore, disegni di Chris Sprouse, Al Gordon, Alan Weiss, Paul Chadwick, Kyle Baker, Gary Gianni, Hilary Barta
Tom Strong Vol. 3 (Magic Press, 144 pagg., brossurato, colori, € 11.50) testi di Alan Moore, disegni di Chris Sprouse, Al Gordon, Howard Chaykin, Shawn McManus, Leah Moore

C’era una volta Watchmen. Nel 1986 [i]Alan Moore [/i]sconvolse il mondo dei comics delineando un universo di superesseri infelici, nevrotici e depressi. Avventure scanzonate e nerboruti avventurieri sorridenti erano un ricordo del passato: con Watchmen i supereroi avevano perso la loro innocenza, e pareva che nulla sarebbe mai più stato come prima. E invece tredici anni dopo, con Tom Strong, a fare un’ inversione ad U fu lo stesso Alan Moore, cercando di ritornare al paradiso perduto dei comics del tempo che fu, e infondendo nella sua nuova creazione lo stesso spirito spensierato che animava i romanzi pulp d’ avventura d’ inizio ‘900, che costituiscono la preistoria del fumetto supereroistico.
Tom Strong è il figlio di un geniale ricercatore scientifico e di un’educatrice naufragati nell’isola perduta di Attabar Teru: nato all’alba del XX secolo, cresciuto in una camera ad alta gravità che lo ha reso fortissimo, e nutrito con Goloka, una radice che sviluppa la mente e aumenta la longevità, diventa un avventuriero geniale ed erculeo. Si trasferisce nella gigantesca città di Millennium city dove vivrà avventure mozzafiato con la moglie Dhalua, principessa indigena di Attabar Teru, la figlia Tesla, il robot a vapore Pneuman e il gorilla sapiente Re Salomone, ma dovrà anche sopravvivere ai piani malvagi del flemmatico supercriminale con mascherina Paul Saveen.
Chi cerca di ritrovare il Moore degli anni ’80 rischia di rimanere deluso: il modo migliore per godersi Tom Strong è lasciare totalmente da parte ogni pretesa di realismo e recuperare l’ atmosfera delle avventure di Doc Savage (principale fonte d’ ispirazione per Moore nella creazione di Tom) e Tarzan. Città dai palazzi titanici dove le funivie sono il mezzo di trasporto principale, invasori Maya da altre dimensioni, belle e crudeli amazzoni naziste, terre parallele e esseri infuocati, tutto in Tom Strong sembra incitare ad abbandonare ogni pretesa di realismo e a recuperare un infantile sense of wonder, anche se dietro l’ angolo, quasi [i]en passant[/i], fanno capolino risvolti inquietanti nei personaggi e nelle situazioni (Tom è praticamente il risultato di un cinico esperimento di suo padre; alcuni abitanti di un villaggio western rapiti dagli alieni vengono dotati di un terzo occhio e condizionati a mangiare solo orrende creature tentacolari…). Non mancano, come era già avvenuto in un’ altra opera di Moore, Supreme, microepisodi in flashback disegnati con gli stili più disparati, dove l’aderenza ai fumetti supereroistici del passato diventa ancora più marcata e si manifesta anche attraverso il cambio del lettering e del tipo di dialoghi (che ripetono “filologicamente” stereotipi del fumetto d’ avventura del passato).
Funziona tutto? A ben vedere, ci sono alcune lungaggini e non mancano (anche se non sono così frequenti) tempi morti, specialmente in certi episodi della saga di Saveen, che peraltro si risolve con un leggero anticlimax. Inoltre, chi si avvicina a Tom Strong aspettandosi l’ennesima pietra miliare di Moore resterà, oltre che deluso, anche irritato dall’esibita e ricercata superficialità del tutto. Ma è un approccio sbagliato: Tom Strong non vuole essere né realista né profondo, ma leggero e scanzonato. Un Moore forse minore, ma nient’affatto disprezzabile, e perfettamente godibile e fresco per chiunque voglia provare le emozioni di un tipo di comics ormai scomparso per sempre.

Davide Giurlando


Carlo Del Grande
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