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Lo sguardo sequenziale di Peter Kuper


Il sistema di Peter Kuper (Magic Press 1999, pp. 96, brossurato, colori, euro 8,50)
L’occhio che osserva di Peter Kuper (Magic Press 2001, pp. 96, brossurato, b/n, euro 9,30)


Uno dei volumi che ho tra le mani è una bomba. Non ci tormenta col suo fastidioso e sinistro ticchettio da ordigno ad orologeria, ma ne presenta la stessa carica esplosiva che scuote e spazza via le visioni convenzionali della nostra vita. L’autore di questo volume si chiama Peter Kuper e non è esattamente quello che si definisce uno sconosciuto nel panorama fumettistico mondiale. Le sue prime strisce hanno meritato uno spazio tra le pagine del «New York Times» e le sue illustrazioni hanno fatto il giro del mondo ottenendo ovunque consensi e premi. Cronologicamente pensato e realizzato per primo, Eye of the Beholder è stato proposto in Italia dalla Magic Press come seconda pubblicazione nel 2001, dopo il riuscitissimo The system (Magic Press 1999).
E, infatti, L’occhio che osserva è un’opera che mantiene fortissimi legami intertestuali e tematici con il successivo Il sistema. Negli Stati Uniti l’uscita dei due volumi è quasi coeva (l’anno di grazia è il 1996), ma L’occhio che osserva è il risultato della raccolta di strisce anche di molto antecedenti questa data. L’antologia si configura come frutto di un lungo labor limae e di uno studio costante avvenuto negli anni. Un’opera matura e compiuta che non si lascia leggere con superficialità, ma che reclama il suo diritto alla pausa e al sorriso, all’amarezza e alla riflessione.
La struttura è semplice: quattro tavole in bianco e nero inquadrano quattro scene apparentemente legate fra di loro da un rapporto più o meno evidente, più o meno forte, per poi, appunto, confluire in un’esplosione. La quinta tavola è la rivelazione di questo vincolo, lo scardinamento del reale così come lo abbiamo sempre accolto nei nostri punti di vista soggettivi, il frantumarsi del banale e la ricomposizione finale di un mondo che, dopo la lettura di Kuper, non può e non deve essere più contemplato con gli stessi occhi ingenui.
I temi sono ricorrenti e ossessivi: la brama di denaro, la corsa al potere, la violenza cittadina, la povertà dei senzatetto, la bruttura della guerra, la droga e il mercato illecito che le fa da triste contorno, la piccineria delle nostre esistenze nutrite di miti cinematografici e stars troppo lontane dal nostro reale vivere. Ma c’è anche posto per gli occhi dei piccioni che affollano i tetti e le piazze delle nostre città, per le mosche e per le zanzare che pungono, novelle dracula, la pelle immacolata di ignare fanciulle. Per non parlare poi dello sguardo divino, sempre fisso e privo di qualsivoglia emozione, inscritto nel triangolo che mantiene – almeno per chi scrive – la stessa carica inquietante e perturbante del Panopticon ideato nell’Ottocento da Jeremy Bentham e che, non a caso, ricompare nel Sistema travestito da simbolo massonico (e qui l’eco della sua presenza viene conservata dalla onnisciente e onnipresente multinazionale Maxxon).
Il sistema, invece, opera a colori e di ben più ampio respiro, permette all’artista di dare libero sfogo alla sua inventiva, utilizzando una gamma cromatica graduata sul rosso e vicina all’effetto-spray che ritroviamo ogni giorno nei graffiti e nei muri imbrattati e poetici delle nostre città. Nessun dialogo, nessuna didascalia aiuta il lettore, ma solo il lento o celere scorrere delle vignette dona voce alla città e ai suoi protagonisti. Lo storytelling d’eccezione si arricchisce di mirabolanti effetti di ‘enjambement grafico’: le pagine sono legate le une alle altre da piccole variazioni che veicolano significati e significanti diversi; le vignette di una striscia rimandano a quella successiva con trovate sempre originali e mai scontate. L’ingresso di un uomo in metropolitana si trasforma così in uno sguardo da frequentatore di night-club; l’ala di una colomba bianca esce significativamente fuori dal bordo della vignetta; le note di una canzone tenera e nostalgica, intonata da una nera nella solitudine di un sottopassaggio, si trasformano in ali di pellicano in una foresta incontaminata; i fili colorati e minacciosi di una bomba si contorcono e si intrecciano come le linee colorate della metropolitana; e persino lo smile che abbiamo imparato ad amare/odiare in Watchmen assume nuovi profili sinistri e inconsueti. Così come avevamo imparato ad apprezzare questa bravura e questa sicurezza solo in grandi maestri, in geni come Eisner o Kirby, e la ritroviamo in un artista americano, classe 1958, che padroneggia il medium fumetto senza mai dare vita a sterili virtuosismi e che è in grado di sconvolgere il lettore ad ogni pagina con una creatività e una originalità non consuete negli autori suoi contemporanei.
Le analogie tra le due opere sono numerose. L’industria chimica che, nell’Occhio che osserva, è il vanto del ricco signore in smoking di fronte al figlio spaventosamente somigliante (ah! La vecchia teoria alienista dell’impregnazione!) è, si potrebbe persino azzardare, la stessa che finanzia, nel Sistema, uno dei personaggi che porta a spasso per la città una valigia carica di sostanze radioattive. Il denaro che passa di mano in mano e paga indifferentemente le donne nei locali notturni, il giornale in un'edicola o un mazzo di fiori da una vecchia signora è lo stesso di quello che, nelle tavole del 2001, un ladruncolo ottiene dopo aver derubato di un anello una giovane donna. Lo scatolone di cartone, casa e rifugio di un barbone che vive non visto in una città baudelairiana e tentacolare, è lo stesso scatolone che troviamo rovesciato nella vecchia e sporca metropolitana della città. I soldatini con cui un bambino impara a giocare sono gli stessi – questa volta in carne e ossa – che, privi di alcuna coscienza o di alcuna volontà autonoma, combattono nei nostri eserciti.
Tout se tient. Nelle opere di Kuper tutto ha un senso e una logica pur nell’apparente casualità degli avvenimenti. Tutto risponde ad una volontà (di un dio? degli alieni? o della stessa penna dello scrittore?). Crediamo di non esagerare se aggiungiamo che Kuper è quindi non solo un artista fecondo ed eclettico ma anche un precursore, e gli eredi – sono avvertiti – dovranno faticare tanto. Sempre che un dio, gli alieni o l’artista statunitense non creino proprio adesso una quinta vignetta in grado di destabilizzare definitivamente la nostra percezione degli avvenimenti.


Nadia Rosso

Nadia Rosso
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