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Carlo Alberto Montori

Carlo Alberto Montori

Animation History #22: Eyes in Outer Space

  • Pubblicato in Focus

Nella seconda metà degli anni '50 Walt Disney concentrò buona parte dei suoi sforzi nell'edutainment, settore dell'intrattenimento che ha lo scopo di insegnare qualcosa al proprio pubblico senza sacrificare il divertimento. Questo obiettivo viene inseguito con prodotti di diversa natura: al cinema si moltiplicavano i documentari naturalistici, mentre la produzione cortometraggistica sfornava sempre più opere con intenti educativi. Per l'occasione fu inaugurata addirittura una nuova serie di corti (ne furono prodotti una quarantina in soli due anni) con protagonista il Grillo Parlante, impegnato nelle vesti di narratore ad istruire i bambini sui comportamenti giusti o sbagliati in determinate situazioni in cui si sarebbero potuti trovare.
È in questo periodo che in California apre il parco Disneyland e una trasmissione omonima comincia ad andare in onda, presentando agli spettatori video promozionali del parco o dei film Disney, assieme ad alcuni corti o altro materiale realizzato per l'occasione; alcune di queste produzioni erano strettamente legate alle aree tematiche del parco di divertimenti, ad esempio alcuni episodi dedicati allo spazio e alla fantascienza ispirandosi a Tomorrowland. Nel 1959 qualcosa di simile raggiunge il grande schermo: si tratta del mediometraggio Eyes in Outer Space, che descrive gli eventi atmosferici e le potenzialità dei satelliti meteorologici.

Eyes in Outer Space non è un mediometraggio d'animazione, o almeno non nella sua completezza; com'era già stato fatto in Victory through air power infatti le parti animate e le riprese in live-action si susseguono, anche in questo caso per mostrare i vantaggi di qualcosa che Walt Disney riteneva potesse cambiare il futuro. Se il film bellico si era rivelato un precursore in grado addirittura di influenzare il corso degli eventi, non si può dire che questo mediometraggio sia stato altrettanto profetico: uno spettatore del III millennio che ne affronta la visione non può non notare tutte le ingenuità che contiene, soprattutto nella parte finale che auspica addirittura come un giorno grazie ai satelliti si potranno "sconfiggere" gli uragani. Assistere a una lezione e a previsioni così datate per lo spettatore odierno è abbastanza noioso, sensazione accentuata dalla componente piuttosto ridotta realizzata attraverso le animazioni; le riprese live-action occupano infatti la maggior parte della durata, ma attraverso i disegni sono comunque spiegati diversi passaggi in modo schematico, sfruttando la loro semplicità comunicativa.
C'è però anche una divertente sequenza animata in cui si passano in rassegna tutti i metodi "datati" con cui si cercava di prevedere gli agenti atmosferici, la parte del film che ha risentito meno dello scorrere del tempo. Per il resto Eyes in Outer Space è un mediometraggio abbastanza noioso, uno dei prodotti educativi meno riusciti nella filmografia Disney di quegli anni, ma è comunque un esempio di come Walt cercasse di mettere l'animazione al servizio di qualcosa di differente.

Animation History #21: La Bella Addormentata nel Bosco

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Negli anni '50 la filmografia disneyana vanta già due fiabe con protagonista una principessa (Biancaneve e i sette nani e Cenerentola) ma anche se Walt Disney non ama ripetersi, gli spettatori lo identificano proprio con quel genere di storie e ne chiedono a gran voce un'altra. Per assecondare il suo pubblico, Disney sceglie un altro racconto di Charles Perrault; la sua volontà di rendere il film diverso da quanto fatto in precedenza si concretizza nell'aspetto visivo, con personaggi e fondali disegnati ispirandosi allo stile delle illustrazioni medioevali.

Il celebre racconto della principessa Aurora, caduta in un profondo sonno in seguito alla maledizione della perfida Malefica, porta sullo schermo in modo abbastanza fedele la prima metà della fiaba originale; questa scelta però si traduce in una bizzarra struttura del racconto, con una narrazione discontinua con numerosi fuochi. Aurora è infatti una protagonista inusuale per gli standard cinematografici: compare sullo schermo per soli 18 minuti, appena un quarto della durata complessiva della pellicola, e il suo non può essere considerato un ruolo particolarmente attivo ma più quello della bellezza da salvare. Il principe Filippo agisce di più nel tentativo di conquistare la sua bella e poi affrontando il drago, ma lo vediamo per ancora meno tempo; sono le spalle comiche a rubare la scena alle figure più serie, come d'altronde era già accaduto in passati film Disney. Le tre fate Flora, Fauna e Serenella sono una via di mezzo tra i sette nani (in origine dovevano infatti essere sette, ma durante la lavorazione si è preferito ridurne il numero marcando però la caratterizzazione) e la fata Smemorina; loro sono il vero filo conduttore della vicenda, prima con i doni magici per Aurora alla sua nascita, poi con i goffi preparativi della festa di compleanno a sorpresa, ed infine avvisando il principe Filippo dell'incantesimo soporifero.

I personaggi magici sono i più interessanti del film: se da una parte ci sono le fate madrine, dall'altra c'è la strega Malefica, forse la prima villain vista all'epoca in grado di poter competere con Grimilde nella filmografia Disney grazie anche al suo riuscito look a metà tra un pipistrello e il diavolo.
La resa visiva deve molto al formato panoramico, introdotto per la prima volta in Lilli e il Vagabondo ma qui valorizzato per la prima volta al meglio con gli spettacolari fondali e una costruzione degli spazi e delle inquadrature adeguata.
La colonna sonora de La Bella Addormentata nel Bosco è ispirata al balletto omonimo di Piotr Ilitch Tchaikovsky, con l'aggiunta delle canzoni che avevano contribuito al successo dei principali film Disney; in questo caso il brano che sarà ricordato negli anni è "Io lo so", romantica ballata che Aurora canta agli animali della foresta prima di imbattersi nel suo bel principe.

Il film fu un completo fiasco al botteghino durante la sua prima distribuzione nei cinema, riuscendo a incassare solo la metà del budget che era stato investito per la sua realizzazione; questo flop è il motivo principale per cui gli studi Disney non affrontarono più per molto tempo vicende che avessero principesse per protagoniste, affrontando nuovamente la tematica solo 30 anni dopo con La Sirenetta.
Nonostante questo il castello de La Bella Addormentata ha acquistato un enorme valore iconico per la Disney, oggi elemento centrale all'interno dei suoi parchi di divertimento e logo degli studi d'animazione.

Animation History #20: Lilli e il vagabondo

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È il 1937 quando lo scrittore Disney Joe Grant (uno degli autori di Biancaneve e i sette nani, Pinocchio, Dumbo) propone a Walt Disney alcuni bozzetti basati sulla sua cocker di nome Lady; Disney li apprezza molto e incarica Grant di assemblarli in uno storyboard, la cui trama però non incontra il gusto del presidente dello studio d'animazione. Perciò i disegni vengono messi da parte su uno scaffale.
Nel 1943 Disney legge su un numero di "Cosmopolitan" un racconto breve intitolato "Happy Dan, the Whistling Dog" e decide di acquistarne i diritti; solo dieci anni più tardi i suoi artisti, assemblando il racconto con i bozzetti di Grant, riescono a dare forma al progetto Lilli e il vagabondo, che raggiungerà i cinema nel 1955. Si tratta di un film che segna diversi traguardi importanti per la filmografia Disney: è il primo film animato a essere proiettato in Cinemascope (con un rapporto dell'immagine di 2.55:1), il primo a godere del suono stereofonico (anche se era stato fatto un esperimento che gli si avvicinava per Fantasia) e la prima pellicola ad essere distribuita dalla Buena Vista Pictures (fondata da Walt Disney), società che permette finalmente alla Disney di essere completamente indipendente, dopo quasi un ventennio di collaborazione con la RKO Pictures.

Lilli e il vagabondo è innanzitutto una storia d'amore tra due differenti classi sociali: Lilli è una cagnetta di razza adottata da una coppia che abita nella zona residenziale della città, mentre Biagio è un bastardo abituato a vivere alla giornata tra i vicoli. L'incontro tra i due inizialmente dà origine a qualche attrito, ma il vagabondo farà scoprire a Lilli le meraviglie della vita di strada, salvandola in più occasioni e aiutandola a proteggere la sua casa dall'attacco dei topi; allo stesso modo Lilli riuscirà a far comprendere a Biagio i valori della famiglia, sfociando in un finale che suggerisce una perfetta fusione delle due classi sociali.
Il film ritrae un'ambientazione cittadina realistica, filtrando però tutto attraverso un punto di vista canino: esclusa qualche eccezione (i due simpatici cuochi italiani) gli umani sono infatti mostrati solo nella loro parte inferiore, adeguando le inquadrature della pellicola alla visuale dei cani. È molto interessante anche poter osservare tutte le difficoltà che un cane può incontrare in una società fatta a misura di umano; la sensazione è particolarmente forte nell'incomprensione e nella curiosità di Lilli di fronte all'arrivo di un neonato in casa sua.
Oltre ai due protagonisti, il cast è popolato da tanti altri animali: si va dalla simpatica coppia di cani vicini di casa di Lilli che fungono da zii amorevoli, ai malinconici abitanti del canile, spaziando anche al di fuori della razza canina con un simpatico castoro o la subdola coppia di gatti siamesi.

Siamo sicuramente al cospetto di un film sentimentale, che punta abbondantemente sulla costruzione di scene emozionanti: ne è un esempio il celebre bacio/spaghettata a lume di candela, ma ci sono anche momenti inquietanti come l'aggressione dei topi o altri più drammatici come l'apparente morte di Fido sotto un calesse.
La sequenza più straziante è però l'introduzione del canile, con una carrellata di volti tristi dei cani tenuti prigionieri, vero e proprio grido di una morale contraria all'abbandono degli animali; è anche grazie a questi elementi palesemente finalizzati a smuovere la sensibilità degli spettatori che una pellicola dallo svolgimento abbastanza semplice e quasi banale risulta piacevole e riesce ad attirare il pubblico.
I colori caldi e le ambientazioni dettagliate sono un perfetto fondale per le vicende di Lilli e Biagio, con la tecnica del Cinemascope introdotta ad hoc per mostrare "il piano visivo basso" dei cani, spesso focalizzato sulle gambe degli umani.

L'edizione originale del film poteva contare sul doppiaggio della famosa cantante Peggy Lee, che assieme a Sonny Burbank ha composto alcuni brani della pellicola, tra i quali spicca la canzone dei gatti siamesi; il pezzo più celebre di tutto il film è però la romantica "Bella Notte" che introduce i titoli di testa e accompagna la scena più famosa, interpretata dai due simpatici cuochi italiani. Esistono anche due canzoni scritte per il film e poi mai realizzate: entrambe avrebbero dovuto essere sequenze oniriche partorite dalla mente di Lilli, la prima con numerose scarpe che incombevano sulla cagnolina per simboleggiare l'avvento del bebè, la seconda nella quale si vedeva un mondo con i cani padroni degli uomini.
Per quanto riguarda la versione nostrana va segnalato che il nome Biagio del protagonista è un'invenzione tutta italiana: in lingua originale infatti gli umani danno diversi nomi al personaggio, (per evidenziare il suo non appartenere a nessuna famiglia), ma gli altri cani lo chiamano sempre "Tramp" ("Vagabondo"), appellativo forse reputato poco piacevole o troppo lungo da utilizzare per tutta la pellicola. Questo "affronto" può però essere perdonato a fronte di un riconoscimento che il nostro Paese assegnò al film, ovvero il David di Donatello come Miglior Film Straniero del 1955.

Animation History #19: Il mio amico Beniamino

  • Pubblicato in Focus

Con la fine degli anni '40, la Disney interrompe la produzione di film a episodi per concentrarsi nuovamente su lungometraggi a storia unica. I cortometraggi e i mediometraggi che lo studio d'animazione realizzava per i film antologici dovevano trovare una nuova modalità con la quale essere proposti al pubblico: se c'era già una consistente produzione di corti animati (con Paperino e Pippo protagonisti indiscussi in quegli anni), fino a quel momento non erano mai stati distribuiti autonomamente mediometraggi della durata di circa 20 minuti. Una lunghezza simile era stata sfruttata all'interno dei film a episodi per racconti come "Pierino e il lupo", "La balena Ugoladoro", "Topolino e il fagiolo magico", "Il vento tra i salici" o "La leggenda della valle addormentata".
Si trattava di storie troppo semplici per essere trasformate in un lungometraggio, ma allo stesso tempo elaborate al punto da non poter essere racchiuse nelle tempistiche di un corto; ecco allora che la Disney, per non abbandonare il formato, comincia a realizzare mediometraggi da proiettare al cinema prima di altri film prodotti dallo studio (non necessariamente animati). Il primo di questi mediometraggi animati viene proposto nelle sale nel 1953, prima del documentario naturalistico "Deserto che vive".

Il mio amico Beniamino analizza la figura dell'inventore e attivista americano Benjamin Franklin, dietro i cui successi si cela in realtà un piccolo topo di nome Amos; il topolino è alla ricerca di un impiego per aiutare la sua numerosa famiglia e trova ospitalità nella casa dello scienziato, dove arricchisce il suo lavoro ispirando numerose scoperte. Grazie ad Amos infatti Franklin inventa le lenti bifocali e la stufa, oltre ad ottenere notizie per trasformare un almanacco in un quotidiano che si occupa di attualità. Ma il processo di stampa e gli esperimenti con l'elettricità mettono seriamente in pericolo l'animaletto, al punto che è costretto ad allontanarsi da Franklin, salvo poi tornare dopo aver scritto un contratto fondamentale per la stesura della dichiarazione d'indipendenza americana.
L'importanza delle due figure storiche viene riconosciuta nel presente, come vediamo nel prologo e nell'epilogo dove una scolaresca umana e una "topesca" ascolta le informazioni di una guida, rispettivamente davanti a una statua di Franklin e una di Amos.

Un topo che contribuisce segretamente al successo del suo amico umano è il soggetto alla base del pixariano "Ratatouille"; ben 54 anni prima però dalla stessa idea di partenza nasceva "Il mio amico Beniamino", di cui non ci è dato sapere se sia stato d'ispirazione per il film diretto da Brad Bird. La storia però, nonostante il minor tempo a disposizione, riesce a costruire in modo ugualmente affascinante la relazione tra l'uomo e l'animale, alternando momenti di comicità ad altri più delicati che si concentrano sul legame dei due protagonisti. La vicenda prosegue in modo rapido ed efficace, ispirandosi al libro per bambini "Ben and Me: An Astonishing Life of Benjamin Franklin By His Good Mouse Amos" di Robert Lawson, con un ritmo perfetto per la durata del mediometraggio. Il contesto storico in cui si svolge la trama è un elemento pittoresco, assieme al quale gli artisti possono sbizzarrirsi con l'ambientazione coloniale e i costumi dell'epoca, impagabili addosso al topolino.
L'aspetto di Amos e della sua famiglia ricorda molto quello dei topi di Cenerentola, film diretto dallo stesso regista di questo mediometraggio Hamilton Luske, responsabile anche di altri successi Disney come Pinocchio, Cenerentola, Alice nel paese delle meraviglie o Peter Pan. Ai topi si contrappongono le figure umane, in particolar modo Benjamin Franklin e Thomas Jefferson, entrambi caratterizzati con volti a metà tra il realismo e il cartoonesco e dotati di movimenti molto fluidi.
Questa qualità tecnica è uno dei punti di forza del primo mediometraggio Disney non contenuto in un film antologico, un risultato invidiabile che in futuro non sarà preso ad esempio, preferendo disegni e animazioni più stilizzate.

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