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Andrea Fiamma

Andrea Fiamma

Big Hero 6, nuovo regista e produttore

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L'Hollywood Reporter annuncia che Chris Williams è stato chiamato a co-dirigere Big Hero 6, affiancandosi a Don Hall (Winnie the Pooh), mentre Roy Conli figurerà tra i produttori. Non è ancora chiaro se Conli collaborerà con la produttrice Kristina Reed o se quest'ultima è stata rimossa dal progetto.

Williams ha al suo attivo come regista il cartone Bolt ed è stato consulente alla storia per Mulan, Le follie dell'imperatore e Koda fratello orso; Conli ha invece prodotto Rapunzel e Il pianeta del tesoro.

Nuovo film DC all'orizzonte, parla Dwayne Johnson

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Dwayne "The Rock" Johnson, star della serie Fast & Furious, è in trattative con la Warner Bros. per un non ben identificato progetto basato su un fumetto DC. Lo ha dichiarato l'attore durante il tuo annuale "Rock Talk" di fine anno su Twitter:

"Abbiamo appena avuto un lungo incontro con il boss della Warner Bros." ha scritto, rispondendo a un fan che gli aveva chiesto se fosse interessato a interpretare un personaggio dei fumetti. "Collaboreremo per creare qualcosa di cazzuto e tosto".

Non è la prima volta che l'attore è coinvolto in un prodotto targato DC, dopo i defunti progetti dedicati a Shazam e Lobo. Per ora Batman vs. Superman è l'unico lungometraggio tratto da un fumetto DC in produzione alla Warner, il che non esclude che Johnson potrebbe essere ingaggiato nel cast del film di Zack Snyder.

Da Frozen a Toy Story e ritorno: i destini inversi di Disney e Pixar

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Come scrive l'Hollywood Reporter, il contrasto non potrebbe essere più stridente. La testata, in un lungo articolo, fa il punto della situazione sui due studi d'animazione più importanti al momento, la Disney e la Pixar, nonché sull'imponente figura che ha in mano le sorti dell'arte animata, John Lasseter.
Lo scorso 22 novembre infatti la Pixar ha licenziato 67 dipendenti dello studio, circa il 5% della propria forza lavoro. La causa del ridimensionamento è il rinvio di The Good Dinosaur, spostato di 18 mesi dal maggio 2014 al novembre 2015. Il personale in eccesso probabilmente si occupava dell'animazione e di altre mansioni non richieste, ora che la produzione è ferma alla riprogettazione della storia. A questo si aggiunge la recente chiusura dello studio satellite a Vancouver, la Pixar Canada, i cui impiegati sono stati in parte assorbiti dagli studi madre.

Nel frattempo alla Disney: Frozen - Il regno di ghiaccio sta mietendo un successo di critica e pubblico secondo solo a monumenti disneyani come La bella e la bestia e Il re leone; nel vivo della stagione dei premi, le candidature fioccano, molte di esse si stanno concretizzando in vittorie e alcuni parlano di un secondo Rinascimento Disney, riferendosi al periodo d'oro degli studi negli anni novanta quando la compagnia venne fatta ripartire da zero dall'allora CEO (il corrispondente del nostro amministratore delegato) Michael Eisner e da Jeffrey Katzenberg, producendo in sequenza una serie di film entrati nell'immaginario collettivo (La sirenetta, La bella e la bestia, Aladdin, Il re leone, Pocahontas, fino ai minori Il gobbo di Notre Dame e Hercules).
In aggiunta, il corto allegato a Frozen, Get a Horse!, che pesca nella tradizione dei corti di Walt Disney e recupera delle registrazioni inedite proprio del papà di Topolino, è stato accolto con altrettanto calore ed è uno dei principali contendenti all'Oscar.

Il pixariano Monsters University invece si sta facendo sfuggire diversi riconoscimenti, ha mancato la candidatura ai Golden Globe (sì, d'accordo, sono le puttane dei premi e le candidature sono una scusa per l'associazione dei giornalisti che le vota per cenare gomito a gomito con le star di Hollywood, ma due anni fa persino Cars 2 era riuscito a strappare un posto tra i nominati e il livello qualitativo era ben più basso rispetto al prequel di Monster & Co.) e il responso critico è stato buono ma non eccezionale. Si sono rifatti sugli incassi e sul merchandising se non altro.
Il cortometraggio che lo accompagna, The Blue Umbrella, modernissimo nella sua resa fotorealistica e nell'ambientazione urbana, è stato criticato per la storia debole e stereotipata e non compare nemmeno nella lista dei 19 corti eleggibili per la statuetta dorata.

Le due fabbriche di sogni non sono mai stati in sincrono nemmeno agli inizi: quando a Emeryville si iniziava l'esperienza cinematografica con l'exploit di Toy Story la Disney cominciava a sentire le crepe che avrebbero sconquassato gli studi e ridotto lo studio a un pallido ricordo della corazzata che era stata fino a poco tempo prima. E nel periodo d'oro della prima, con la sfilza di capolavori come Alla ricerca di Nemo, Gli Incredibili, Ratatouille, Wall-E, Up e Toy Story 3, la seconda arrancava tentando di frenare le emorragie di soldi e di talenti causate dai flop di Atlantis, Il pianeta del tesoro, Chicken Little e I Robinson, e dai progetti in balia di un caos produttivo da cui sono usciti solo recentemente. Lo stesso Frozen è figlio di quegli anni di conflitti e caos che la mano provvidenziale di John Lasseter è riuscita a disinnescare solo nell'ultimo periodo. Il suo primo periodo come supervisore infatti è stato vessato dalle magagne lasciategli in eredità che ha dovuto sbrogliare, non sempre con successo: dopo aver licenziato Chris Sanders (Lilo & Stith, Dragon Trainer) annacquando il suo American Dog - una specie di Paura e delirio a Las Vegas mischiato a The Truman Show - un prodotto scialbo come Bolt, ha salvato in corner Rapunzel - L'intrigo della torre, che mostra tutti i segni dei sette anni di produzione; gli resta da smaltire King of the Elves, tratto dalla fiaba di Philip K. Dick e ancora senza una data d'uscita.
Ma anche sui progetti voluti da lui molte cose non hanno quadrato: se Ralph Spaccatutto può dirsi un successo pieno, il revival dell'animazione a mano con La principessa e il ranocchio non ha funzionato in termini di pubblico, così come il film su Winnie the Pooh, scelta coraggiosa perché realizzato in maniera quasi indipendente (con i 30 milioni di budget del film non ci pagavano nemmeno il catering di The Lone Ranger) ma che non ha ripagato.

Nel 2006, l'acquisto della Pixar da parte della Disney per 7,4 miliardi di dollari mise i destini di entrambe le compagnie nelle mani di Ed Catmull e Lasseter, co-fondatori degli studi di Emeryville, voluti dalla dirigenza Disney a guidare la loro casa d'animazione. O, per meglio dire, imposti alla dirigenza. Va infatti notato che se sulla carta è stata la Disney a comprare la Pixar, di fatto è la seconda a tenere le redini della prima: per comprarla, gli studi di Walt dovettero vendere le proprie azioni alla Pixar attraverso uno schema economico di non facile intuitività che fece diventare lo studio di Toy Story la voce grossa al tavolo degli azionisti Disney. A tutt'oggi, la fetta più grossa delle azioni, il 7%, è detenuta dagli eredi di Steve Jobs.

Non dovrebbe stupire allora che la Disney, nel processo, sia diventata un po' più Pixar. E proprio Lasseter sembra essere il punto cruciale, il nodo del problema, il prisma su cui si rifraggono luci e ombre di entrambe le compagnie. Le attenzioni di quest'ultimo, oltre al settore cinematografico, sono richieste anche dal merchandising e dai parchi tematici; molti gli questionano la capacità di guidare un impero così vasto senza prediligerne una parte. Tanto più che il regista è una presenza fissa alla Disney da quando è stato incaricato di supervisionarne i progetti. Fornisce appunti, guarda gli storyboard ed è presente alle prime letture con gli attori e la troupe. Durante i primi anni di rodaggio lo staff Pixar ha spesso pensato che il loro capo passasse troppo tempo a plasmare i film della consorella (Lasseter in effetti è stato coinvolto pesantemente nella produzione dei primi due film che ereditato dalla precedente gestione, Bolt e Rapunzel). Ora la situazione si è stabilizzata e il regista si divide equamente tra le due compagnie. "Entrambi i posti pensano che passi troppo tempo nell'altro studio" ha dichiarato un amico "È questo il vero punto della storia".

Ma se è sempre Lasseter a guidare entrambe le compagnie dal punto di vista creativo, cosa le rende dissimili? L'Hollywood Reporter, attraverso un insider, riporta che le differenze sono sostanziali. Non si parla di scarti narrativi, pure importanti e certamente voluti per variare il tipo di film da proporre al pubblico, come la scelta da parte della Pixar di produrre storie internamente allo studio, storie che partano da proposte dei loro dipendenti, opposta a quella Disney di affidarsi spesso a fiabe e racconti che vengono poi modellati su misura; no, qui si tratta di differenti metodologie di lavoro. La Disney, come la Pixar, ha un nucleo di registi e sceneggiatori a cui la produzione del film può fare affidamento per farsi consigliare su punti incerti della trama, sul tono e lo sviluppo dei personaggi. La Pixar lo chiama Brain Trust, la Disney Story Trust, ma il concetto è quello. L'unica cosa che cambia è l'approccio alle critiche: "Alla Disney sono più gentili. La gente lì è preoccupata di non scombinarti i capelli o urtare i sentimenti altrui". La Disney ha a cuore il galateo, la Pixar i risultati. Ironico a dirlo, considerando che la Disney degli anni novanta è passata alla storia per le feroci lotte intestine che tormentavano ogni produzione e che causarono in ultima analisi l'allontanamento di Katzenberg, mentre la Pixar è nota per la sua atmosfera rilassata, dove ognuno è libero di esprimersi come meglio crede. Certo, può darsi che abbiano un ottimo ufficio stampa.

Inoltre, la Pixar, quando si tratta di rimodulare o cambiare drasticamente le sorti di un film, chiama in soccorso personalità interne alla produzione: Mark Andrews prima di assumere il comando di Ribelle - The Brave, era il supervisore alla storia e co-regista, stessa cosa dicasi per Peter Sohn, candidato più papabili per prendere le redini di The Good Dinosaur, che attualmente è in una fase di interregno per mano di diversi registi. Alla Disney, Jennifer Lee era un'esterna assunta per lavorare a Ralph Spaccatutto e poi spostata di peso per coadiuvare Chris Buck nella lavorazione di Frozen. "Una cosa" afferma l'insider della rivista "che non sarebbe mai successa alla Pixar".

L'arrivo di Topolino nel parco di Nemo e soci ha certamente modificato le dinamiche di gioco: tutti i sequel che la Disney aveva intenzione di produrre per conto proprio sono stati o saranno prodotti dalla Pixar e l'ingente numero di personaggi sono sfruttati come mai prima (seguiti improbabili come Finding Dory e serie di corti dedicati a Cars e Toy Story). Manco a dirlo, il CEO Disney Bob Iger è un forte sostenitore delle strategia dei sequel.

Le pressioni della casa madre, che con il solito ritardo dell'animazione iniziano a farsi sentire, il poco controllo di Lasseter sulla Pixar, il ricambio generazionale in seno agli studi, o anche semplicemente il tempo, sono tutte cause possibili per quella che è una flessione, una nuova fase che cambierà il volto dei Pixar Animation Studio. In meglio o peggio, non è dato saperlo.

The Walking Dead, denunce e anticipazioni

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Nonostante il successo della serie The Walking Dead, Frank Darabont, colui che per primo intuì il potenziale del prodotto e lo propose alla AMC, non ha ancora ricevuto quello che, secondo l'ex-showrunner, gli spetterebbe di diritto.

Deadline riporta che il regista e sceneggiatore ha avviato un'azione legale contro la AMC, rea di averlo licenziato a metà della lavorazione della seconda stagione, mesi dopo aver blindato lo showrunner con un contratto che lo avrebbe legato alle successive due stagioni, per evitare di pagare i compensi maggiorati stipulati nell'accordo con Darabont. "La AMC ha licenziato Darabont senza motivazioni reali, soltanto per evitare le negoziazioni future" si legge nell'accusa "Darabont stava consegnando gli episodi secondo le scadenze, restando nel budget e informando la rete di ogni avvenimento. Il contratto stipulava inoltre che Darabont sarebbe dovuto essere accreditato come produttore esecutivo per tutte le stagioni della serie, cosa che non è avvenuta.

Ancora, la AMC avrebbe dovuto garantire un'opzione di prima negoziazione a Darabont su tutti i prodotti derivati dallo show; in pratica, il network avrebbe dovuto chiedere a Darabont per primo di lavorare su quei progetti (come il talk show Talking Dead o l'atteso spin-off della serie), sui quali sarebbe dovuto comunque venire accreditato, ricendendo una minima parte dei profitti.

Il dietro delle quinte della serie si complica dunque, dopo che già il successore di Darabont, Glen Mazzara era stato rimpiazzato da Scott Gimple per divergenze creative.

Nel frattempo, Gimple ha anticipato a TV Guide il futuro della serie, che riprenderà le trasmissione in febbraio: "Carl dovra farsi valere perché per circostanze sono diverse e la sopravvivenza del gruppo dipenderà da lui. Non hanno un edificio di mattoni con una doppia barricata dietro cui nascondersi. Sono fuori, lì, nel mondo".

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