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Cronache Texiane: conversazione con Fabio Civitelli

Intervista realizzata da Andrea Fiamma (con la collaborazione di Giovanni La Mantia).

"Io sono monogamo: c’ho una moglie e un personaggio!" così Fabio Civitelli, cordiale e affabile matita di Tex, definisce il suo rapporto quasi trentennale con l’eroe Bonelli, che lo ha consacrato tra le più importanti personalità del fumetto italiano.

Nell'ambito dell'iniziativa ArtePadova, che vede raccolti sotto lo stesso tetto le maggiori realtà galleristiche dell'arte contemporanea, approda nella città veneta, dopo aver fatto tappa in vari capoluoghi italiani, la mostra curata dalla galleria Ca’ Di Fra’ sul Tex di Civitelli. Presenti gli originali del Texone La cavalcata del morto, nonché i dipinti su tela realizzati dall’artista toscano.
Un’anomalia, la definisce Civitelli: un artista di fumetti accostato a Rabarama e Schifani, i panorami di Tex tra le estroflessioni di Castellani e i tagli di Fontana. Eppure, in un panorama culturale dove il fumetto sembra essersi sdoganato dagli stereotipi che lo riducevano a intrattenimento per bambini o, alla meglio, svago per illetterati, la linea di confine tra arte elitaria e fumetto si sta via via sfumando. Se, come ha affermato Civitelli, certi autori del passato si vergognavano di fare fumetti e dichiaravano di essere prima di tutto Artisti o Pittori, ora definirsi fumettisti non rappresenta più un'onta, una cosa da nascondere o di cui parlare con riserbo.

Civitelli, che nel pomeriggio ha partecipato a una tavola rotonda sul fumetto insieme a Giancarlo Soldi, autore del documentario Come Tex nessuno mai, il critico d'arte Italo Marucci, Sergio Pignatone, editore di Little Nemo Art Gallery, e Manuela Composti, della galleria Cà di Frà, ci ha gentilmente accolto allo stand di ArtePadova per parlare del fumetto come arte, della segregazione del primo nei confronti della seconda, del nuovo corso di Dylan Dog e... delle caffettiere nell'ottocento!

Quest’anno è stato a Lucca? Come l’ha trovata?
civ1Sì, ci sono stato quattro giorni, ospite dell’organizzazione perché ero nella giuria [del premio Guigini]. Non riesco a vedere molto perché quando sono a Lucca lavoro, però le esposizioni al palazzo Ducale erano belle, soprattutto quella di Hermann.

E questa mostra, invece?
Be’, è una cosa abbastanza anomala avere uno spazio di una mostra di arte contemporanea, tanto che ho sentito che qualche gallerista non è contento; sai, mischiarmi con De Chirico o Fontana... [ride] Dopo che ho fatto la personale di Ca’ di Fra’ a Milano di illustrazioni texane e di tavole, che è andata molto bene, dove ho presentato il Texone, è nata l’esigenza anche di lavorare sulle tele: ho cominciato con i quadri su cui ho riportato quello che è il mondo di Tex, il mio stile, il bianco e nero e la galleria ha cominciato a portare a tutte le mostre le tele che ho fatto: Bologna, Roma contemporanea al Testaccio, Verona, Genova l’anno scorso, quest’anno rifarò Bologna arte fiera. È un circuito completamente diverso da quello del fumetto.

Come spiega questa commistione, apparentemente blasfema agli occhi degli appassionati d’arte contemporanea?
Si spiega perché il mio gallerista crede molto in me, lui fa mostre dove espone fotografia, illustrazione, è attento a questi tipi di linguaggi. È nato tutto dalla collaborazione di Composti e Pignatone. Pignatone ha portato in mostra Pazienza nel 2012, ora Manara. Credono molto nella qualità del mio tipo lavoro, pensano che, in quanto artisti, sia giusto che i nostri lavori siano all’interno del mondo dell'arte, che vengano fatte conoscere a un pubblico nuovo, che è quello del collezionista d’arte contemporanea.

Come valuta la diatriba tra fumetto e graphic novel, che spesso è solo un’etichetta per elevare un certo tipo di fumetto?
Bisogna far conoscere il lavoro, i bei lavori, perché ci sono graphic novel brutte e fumetto popolare molto bello. Non farei la distinzione, non credo che il mio personaggio che vende 200.000 copie sia roba da poco e invece quello che vende in libreria 500 sia bello per forza. Io penso che molto viene dall’impegno e dal tipo di lavoro che si fa all’interno di un prodotto. Tex è un fumetto popolare ma non è un fumetto fatto male, abbiamo signori sceneggiatori, per cui è la qualità intrinseca che fa il prodotto, non bisogna fermarsi al fatto che il prodotto sia popolare o no.

Quindi Tex in una mostra di arte contemporanea non stona?
Il fatto che sia un’icona aiuta, noi ci aspettiamo un pubblico che non è solo quell’arte contemporanea, e le due cose si aiutano. Infatti questi signori che sono venuti da me frequentano il mondo dei fumetti, però sono venuti a vederla. L’intento dell’organizzazione è aprire questo tipo di fiere al pubblico del fumetto e in più fare conoscere questo tipo di prodotto al mondo dell’arte contemporanea, cioè avvicinare. Speriamo che funzioni.
Poi, sai, nell’arte contemporanea c’è di tutto e di più. Ma la gente ha voglia di vedere cose ben disegnate: il disegno si è perso nel corso degli anni, tanti artisti fanno altre cose, fanno astrazioni, videoarte, per cui noi, gli artigiani, che abbiamo una qualità tecnica assodata - altrimenti non potremmo lavorare - facciamo un prodotto che alla gente piace. È comprensibile per il pubblico, che solitamente davanti a una tela tutta blu rimane interdetto.

E in un periodo in cui il western, in ogni sua forma narrativa, non è di moda, come fa Tex a essere ancora così popolare?
Tex è più avanti, è qualcosa di più rispetto al genere western, è un raccoglitore dell’avventura. Sto facendo una storia col ritorno di Yama, il figlio di Mefisto [mostra le tavole della storia portate in mostra]. Questa certamente è una storia da Dylan Dog, cioè basta vedere [una tavola presenta uno spettro muoversi tra le vignette, interamente realizzato con l’effetto puntinato], diventa un contenitore, perché questa è prettamente una storia horror, pur stando all’interno di una storia western non è più western, è una commistione. Su Tex abbiamo avuto una storia con gli extra terresti, una di magia, gialli, noir, c’è di tutto all’interno di questo universo. È trasversale. E vale per il genere ma anche per i lettori: io vedo il primario d’ospedale che legge Tex e l’operaio che legge Tex e tutti e due lo apprezzano allo stesso modo. Vedo Umberto Eco che ama Tex e il quasi analfabeta che legge solo Tex e mi stupisco. È incredibile. Siamo popolari in questo senso qui, raggiungiamo tante fasce di pubblico. Se invece “popolare” significa tirato via e fatto da poco, allora no, non è più popolare.

civ2Sappiamo che è coinvolto in una storia di Dylan Dog, in uscita nel Color Fest del 2014.
Sì, ad aprile c’è il Color Fest di Dylan dedicato a l’incontro con altri personaggi Bonelli, Martir Mystere, Tex, Napoleone... E mi hanno chiesto di fare la parte di Mister No anche perché si vede Ananga, che ho fatto con Sclavi, per cui non ho potuto dire di no. Ho fatto le prime sei pagine.

Proprio parlando di Dylan Dog, cosa ne pensa del rinnovamento del personaggio e della nuova gestione di Roberto Recchioni?
Conosco Recchioni, è una bravissima persona, a me Orfani è piaciuto molto. Ho visto delle cose in anteprima che mi fatto vedere e devo dire che è la persona giusta, ha idee nuove e un ragazzo tecnicamente competente e potrà fare un ottimo lavoro; inoltre è coadiuvato da Paola Barbato e altri autori. Secondo me lì si sentiva il bisogno di un certo aggiustamento, di un rinnovamento.
Ho fiducia in Roberto, mi ha parlato delle sue idee, del suo orientamento e vedremo delle belle cose. Ancora non le vediamo, ovviamente, anche se lui ha cercato di mettere mano alle storie già in lavorazione ma più di tanto non si può modificare, mentre dall’anno prossimo vedremo i veri effetti della gestione: ho parlato con Brindisi, che sta facendo la storia con il pensionamento di Bloch, che sparirà dalle storie ma continuerà ad avere un ruolo diverso, paradossalmente più importante. Al suo posto ci sarà un altro personaggio che avevamo già visto in passato; e poi ci sarà l’ingresso della tecnologia, quindi cellulari, il computer, tutte cose che Dylan Dog si rifiuterà di usare!

Esperienza accumulata a parte, come è cambiato il tuo approccio al disegno da Mister No a Tex?
Quando sono stato chiamato a disegnare Tex ho cambiato l’approccio perché ho dovuto accostarmi con umiltà al personaggio. Tex è un personaggio difficile, chiede tanto al disegnatore anche solo a livello di caratterizzazione perché non ha poi delle caratteristiche così particolari che lo rendono riconoscibile. Centrarlo è difficile, io mi sono basato molto sul modello di Ticci; da lì sono partito e alla fine penso di aver trovato un modello mio che si può situare tra quello di Ticci e quello di Villa.
A parte questo, il western richiede tanta ricerca, documentazione, è un mondo che non c’è più, negli anni mi sono costruito un archivio dove vado a vedere i vestiti e l’oggettistica. Oggi abbiamo internet, però ogni volta che fai un minimo oggetto devi pensare a com’era nell’ottocento. Per dire, come era fatta una caffettiera? Ti devi documentare. Per esempio, ho fatto una storia per il Color Tex dell’anno prossimo, “Delta Queen”, tutta ambientata in un battello a ruota a vapore e c’erano queste dame eleganti - adesso si dice “dame eleganti” [ride] - ho ricostruito queste dame tutte belline, imbellettate, gli uomini col cappello a cilindro, ben vestiti; per cui ogni volta devi comunque studiare. Inoltre, Tex varia molto, non è sempre stato in Arizona, una volta hai i messicani e i peones, la volta dopo un altro posto. Il lavoro si rinnova sempre, è anche questo il suo fascino.

In un’intervista ha dichiarato che i lavori su tela sono ispirati alle foto paesaggistiche del fotografo staunitense Ansel Adams. In che modo l’ha influenzata?
Ansel Adams è stato una fonte d’ispirazione perché, essendo io stesso un fotografo, seppur in maniera più amatoriale, mi interessava lo studio della luce che Adams faceva, che poi è il punto chiave delle mie tavole, la luce. I paesaggi del West di Adams sono, se vuoi, una semplificazione estetica, ma comunque molto forte, degli ambienti di Tex. Ora voglio continuare a sperimentare in quel territorio, mi interessano i fotografi paesaggisti americani, voglio provare a trasporre quello stile lì.

Il cui marchio di fabbrica, a vedere dalle tavole esposte, rimane sempre il meticoloso uso del puntinato.
Io ho sviluppato il mio stile, il puntinato, proprio per superare le esigenze tecniche della stampa, che metteva i neri sui bianchi e per i grigi usava il retino, ma io volevo andare oltre e il puntinato mi ha permesso di creare questo grigio, questa ombra. Se guardi quello [indica Monument Valley, una matita e china di Tex con le tipiche asperità dell’Arizona sullo sfondo] vedi che la montagna fa ombra anche sulla nuvola stessa e questo con il bianco e nero non l’avrei potuto ottenere.

civ3Ormai può fregiarsi del titolo di autore di un Texone. Tra i suoi predecessori quale preferisce?
Magnus, su tutti. È un artista immenso, che seguivo fin dalle origini, da Alan Ford a Satanik. Ho amato e amo il suo lavoro moltissimo. Lo continuano a ristampare perché vende sempre (all’epoca della sua uscita ricordo che vendette uno sfracelo di copie). Io quel suo Texone ce l’ho in tutte le versioni, persino la ristampa a colori della Repubblica, da quanto mi piace.
Poi  il fatto che abbiano scelto me è stato come vincere un Oscar! Non solo per il lavoro in sé, ma anche perché mettere uno degli autori ordinari di Tex è un ulteriore onore. Solo Galeppini, Ticci e io ci siamo riusciti. Sono cresciuto con Tex, con quel tipo di personaggi, poi ho scoperto i supereroi, Marvel soprattutto, e anche lì ci sono dei miei miti personali, Jack Kirky, John Romita Sr., John Buscema.
Per il Texone mi scelse Sergio Bonelli in persona e, ripeto, è stato un grande onore. Mi spiace solo che non abbia potuto vedere le tavole finite, quello è il mio unico rammarico.

Penso sia stata una perdita molta dura da metabolizzare per il gruppo, e per l’industria in generale.
È stato un brutto colpo, per davvero. Mi ricordo che facemmo delle presentazioni insieme in estate, poi non lo vidi più. E a settembre mi dissero che era morto. È stata veramente una brutta notizia. Le sue scelte si ripercuotono ancora adesso, nonostante la gestione ora sia in mano a Davide Bonelli e Mauro Marcheselli; si diceva non andasse matto per il fantasy, ma, per esempio, Dragonero l’ha approvato lui.

Nel 2000 firmò il soggetto de “Il presagio”, una storia di Tex poi sceneggiata da Claudio Nizzi. Ripeterebbe l’esperienze?
È capitato che offrissi dei soggetti, delle idee a Nizzi, ma è stato anche grazie all’esperienza maturata dagli anni su Tex, agli inizi sarebbe stato impensabile.

Perché, quando si è più giovani non si ha il coraggio di proporre idee?
Si è più intimoriti, hai di fronte gli sceneggiatori e magari ti freni. Io ho firmato altri tre soggetti, uno accreditato, gli altri due no. L’anno prossimo uscirà un Color Fest di Tex e sto pensando a qualche idea, ma il tempo non c’è mai, essendo impegnato a disegnare, quindi vedremo.

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