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Sotto il segno degli Orfani: intervista a Gigi Cavenago

Luigi “Gigi” Cavenago è uno dei nomi più interessanti del fumetto italiano. Giovane, classe 1982, ha iniziato a farsi conoscere dal grande pubblico con il suo lavoro sulla seconda serie di Jonathan Steele, edita da star Comics. Qualche tempo dopo è approdato alla Bonelli per disegnare due numeri  di Cassidy, miniserie di Pasquale Ruju, e di recente è stato reclutato da Roberto Recchioni ed Emiliano Mammucari per il grande progetto a colori Orfani.
L’abbiamo raggiunto proprio in concomitanza con l’uscita del primo numero della mini per rivolgergli qualche domanda.

Ciao Gigi e benvenuto su Comicus.
Puoi raccontare brevemente ai lettori di Comicus come hai iniziato la tua carriera e come sei riuscito ad entrare nel mondo del fumetto italiano?

dydlondra2Ho giocato d’anticipo, cominciando a frequentare le fiere del settore quando facevo ancora la seconda media. Mi presentavo con il mio book pieno di tavole amatoriali e, di anno in anno, trovavo sempre qualche autore disposto a elargire consigli. Finito il liceo scientifico mi sono iscritto alla Scuola del Fumetto di Milano e nel frattempo continuavo ad aggirarmi per le fiere. Nel 2004 a Lucca Comics mi sono procurato qualche ingaggio interessante ma l’incontro più importante è stato quello con Federico Memola, che all’epoca stava formando lo staff di disegnatori per la nuova vita editoriale del suo Jonathan Steele. Federico mi ha dato fiducia e mi ha portato su una testata mensile da edicola. Negli anni in cui ho lavorato su Jonathan mi sono fatto ossa abbastanza robuste da affrontare tutto quello che sarebbe arrivato dopo.

Jonathan Steele, Cassidy, Orfani, ma anche comics americani. Senti che il tuo stile si è evoluto in una direzione ben precisa, o ritieni di aver sviluppato una poliedricità di approcci diversi che ti permette di lavorare su dimensioni narrative e impostazioni artistiche differenti fra loro?

Entrambe le cose. Cerco sempre di adattare il disegno alla storia che devo raccontare, ma lo stile personale è qualcosa di più profondo e salterà sempre fuori, in maniera del tutto spontanea, qualunque cosa tu faccia.

Parliamo di Orfani, ambiziosa miniserie Bonelli che secondo Roberto Recchioni “potrebbe aprire una stagione nuova per il fumetto italiano”. Puoi raccontarci come sei stato coinvolto nei lavori? Cosa ti aspetti da questo progetto?

Ero ancora al lavoro su Cassidy, quando è arrivata la telefonata di Emiliano. Dopo che mi ha parlato del progetto, e dei nomi coinvolti, credo di aver detto subito di sì. Col passare dei mesi ho visto il progetto crescere sempre di più, finchè ho potuto dare anch’io una mano a portare avanti il progetto: uno dei primi contributi è stato definire l’aspetto delle creature aliene contro cui si scontreranno i nostri guerrieri. Poi sono passato alle tavole vere e proprie. Era l’aprile del 2011 e adesso che siamo all’esordio in edicola sembra passato un secolo.
Orfani è un progetto dalle potenzialità enormi, ci abbiamo messo l’anima e le aspettative da parte nostra e della casa editrice sono alte, ma una volta là fuori le sorti della testata saranno nelle mani dei lettori. Come sempre, del resto.

Com’è stato lavorare su un fumetto fortemente sci-fi, ricco di tecnologia e astronavi? E com’è cambiato il tuo approccio su tavole che, pur mantenendo il formato classico, vengono poi colorate?

La fantascienza è uno dei generi più divertenti e impegnativi allo stesso tempo: hai la possibilità di costruirti un mondo a tuo uso e consumo e questo comporta vantaggi e svantaggi. Certo il grosso del lavoro in questo senso se lo è accollato Emiliano, in quanto co-autore, ma ogni disegnatore dello staff  ha dovuto rapportarsi con il genere e dare il suo contributo. Detto questo, Roberto ed Emiliano son sempre stati molto chiari nel ribadire che su Orfani la fantascienza è solo una cornice: il cuore della serie sono i suoi protagonisti.
La colorazione è stata un cruccio solo all’inizio. Ho sempre impostato il mio disegno sull’uso di bianchi e neri netti, cosa che di solito si sposa male con il colore. Temevo che mi sarei dovuto trasformare in un disegnatore “a linea chiara” e invece non è stato necessario. I coloristi son riusciti a far convivere chine e colore anche su tavole con una forte presenza di nero, talvolta colorando il tratto stesso del disegno, con risultati incredibili.

Sappiamo che, oltre a essere un fumettista, lavori molto anche nell’ambito dell’editoria e della pubblicità. Pensi che questo tipo di expertise possa aver influenzato positivamente il tuo lavoro nella nona arte?

In realtà è il contrario: è il lavoro sul fumetto ad aver migliorato il mio rendimento sulle altre cose. Fare fumetti è una disciplina tanto complessa da essere una palestra eccezionale per prepararti ad ogni altro tipo di lavoro in ambito creativo. Il fumetto vive di tante cose ed è un mestiere estremamente ramificato, si parte dalla narrativa per passare all’illustrazione, alla regia, alla grafica…

Cosa dobbiamo aspettarci da Gigi Cavenago per l’immediato futuro? Hai intenzione di proseguire nel fumetto seriale, o pensi di lanciarti anche nel mondo del graphic novel? Ti vedremo mai in ruolo di autore unico?

Nel prossimo futuro dovrebbe esserci una storia per il Dylan Dog Color Fest, dopodichè proseguirò sulla seconda serie di Orfani. Di progetti paralleli per adesso non se ne parla, non ne avrei il tempo, ma non posso negare che, prima o poi, mi piacerebbe provare a proporre qualcosa come autore unico anche se il pensiero fa un po’ tremare le ginocchia.

Un’ultima domanda di fanta-editoria. Se potessi scegliere un personaggio o una serie del fumetto mondiale, cosa ti piacerebbe disegnare?

Visto che Dylan è già all’orizzonte, dico Hellboy.

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