Menu

Ghost: Intervista a Diego Cajelli

Per tornare allo speciale, clicca qui.

Intervista realizzata da Cris Tridello e Paolo Pugliese

DiegodielselCiao Diego e bentornato su Comicus
Come nasce la storia di Ghost? Quali sono state le tue fonti d’ispirazione?

Il soggettone scritto da Andrea Mutti mi ha offerto davvero un sacco di spunti da cui partire. Quando affronto una storia cerco per prima cosa gli elementi da mettere alla base della narrazione. Spesso quegli elementi non sono evidenti, non sono in primo piano. Ghost mi ha servito su un piatto d’argento la possibilità di usare il giallo e il thriller usando al contrario le fonti di ispirazione. Mi spiego meglio: non so se ci hai fatto caso ma negli ultimi quindici anni, nelle storie di quel genere, abbiamo assistito al trionfo di Sherlock Holmes. Il metodo deduttivo analitico è il vero protagonista del giallo-thriller contemporaneo. Gli intrecci della trama diventano delle prove da analizzare, tutte le risposte vengono date grazie alla scienza. Così nella fiction, così nella realtà. Con Ghost volevo scrivere una storia a-scientifica e non deduttiva. Non volevo laboratori, microscopi e DNA, volevo riportare tutto al tempo delle indagini irrazionali. Più alla Poe che alla Conan Doyle, tanto per intenderci. Infatti, non a caso, l’unico apporto di scienza e deduzione (nel flashback) porta al più tremendo dei risultati da un punto di vista psicologico.
Da un punto di vista grafico, all’inizio, volevamo metterci dentro le atmosfere e le suggestioni delle opere di Joel Peter Witkin, ma poi abbiamo desistito. Non mi ricordo il perché.

Ghost ha avuto un percorso travagliato: annunciato per Ankama Editions in Francia, è uscito in anteprima a Lucca per Edizioni BD, per poi uscire regolarmente, in contemporanea in Italia e Francia, all’inizio del 2012. Cosa è successo?

Più che percorso travagliato, direi inaspettato. Di male non è successo niente. Semplicemente Marco Schiavone (Edizioni BD) voleva quel volume in catalogo il più presto possibile. Si è messo d’accordo con Ankama che ha concesso un’anteprima per Lucca Comics.

Ghost è la tua prima collaborazione con Andrea Mutti, pur conoscendovi da anni; com’è andata l’esperienza?

Andrea è un fiume in piena che diventa tornado, che si trasforma in vulcano, che vibra di energia incontenibile.
È davvero difficile stare dietro ai suoi ritmi e al suo entusiasmo, lo dico in senso buono.
Quella sferzata di voglia di fare, passione, impeto e proiezione assoluta verso la realizzazione dei progetti che lo vedono coinvolto, è contagiosa. E mi serviva. Lavorare con lui ha coinciso con un momento della mia vita professionale in cui avevo bisogno di un Mutti al mio fianco. Di uno come lui che al telefono ti dice: "Dai, fratello! Facciamolo! Dai! Dai che va bene!".

Il soggetto originale era di Andrea, quanto differiva rispetto all’opera finale?

Non tantissimo. Diciamo che l’indagine era più articolata e presente. Ho aggiunto alcune cose e levato delle altre. Ho messo a punto un motore, ho verniciato la carrozzeria mettendoci le fiamme, e poi abbiamo fatto partire la macchina.

In Ghost sono più importanti l’indagine e la sua soluzione o il cammino interiore che compie John Ghostman?

Come insegnano i Legal Thriller e la cronaca, da un punto di vista realistico la conclusione delle indagini forse non è più la cosa più importante. Per cui direi che in Ghost è il senso di colpa ad essere letteralmente al centro della scena. Un senso di colpa presente in scena, con il quale non si può scendere a patti.
Nel giallo paranormale la dote viene accettata e utilizzata con coscienza, per portare giustizia. Lì c’è un cammino interiore, un uscire-a-rivedere-le-stelle.
Non sono sicuro che ci sia anche in Ghost.

Ghost è una storia di senso compiuto, ma sembra avere un finale aperto. Potrebbe essere il preludio di una serie composta di più volumi, come ad esempio succede in Francia, oppure è tua intenzione lasciarla come Graphic Novel unico?

Abbiamo pronto il plot per il numero due. Già proposto all’editore. Stiamo aspettando di capire come andrà in Francia per metterci al lavoro. L’ultima volta che ne abbiamo parlato io e Andrea discutevamo sull’ipotesi di una co-produzione italofrancese.

Di che ambiente hai bisogno, intorno a te, per concentrarti e scrivere storie come Ghost?

Mi serve musica. In cuffia se sono in studio assieme agli altri, o con volume a palla se sono da solo.
La musica influisce tantissimo sulla mia scrittura. Aneddoto: Sulla sceneggiatura, avevo consigliato ad Andrea di ascoltare "Fall Of The Peacemakers" dei Molly Hatchet per la sequenza del flashback, che era la mia colonna sonora mentre scrivevo quella scena.
Una volta, quando ero ggiovvine, ti avrei detto che per scrivere dovevo essere da solo, scrivendo dal tramonto all’alba.
Oggi, con la serietà del quarantenne, lavoro anche di giorno, all’Electro Banana Studio con i miei compari di fianco.

Come spieghi questo progressivo interesse per il genere dei serial killer, visto l’ingente produzione in campo letterario, cinematografico e televisivo degli ultimi anni?

Il serial killer è un personaggio di confine nell’immaginario collettivo. È finzione e realtà allo stesso tempo. È cronaca e fiction nel medesimo istante. A livelli diversi, con caratteristiche che possono andare dalla produzione underground al giallo rosa per famiglie.
Essendo finto-reale viene percepito in modo diverso da un vampiro o da uno zombie. Il serial killer c’è, esiste, è presente. In un’epoca post-eroica e post-romantica è ovvio che la faccia da padrone nelle trame. Richiede un patto di complicità minimo. Anche se poi, andando a guardare le cose nel dettaglio, si scopre che i serial killer e i mass murder reali hanno, nelle loro storie, delle caratteristiche che se riportare nella fiction verrebbero percepite come impossibili.
Giusto per fare un esempio. Una delle ultime vittime di Jeffrey Dahmer, Il cannibale di Milwaukee, era riuscita a scappare. Una pattuglia lo aveva fermato, mentre correva nudo per strada, in piena notte, sotto gli influssi delle droghe che il serial killer gli aveva somministrato. Delirava, i poliziotti hanno pensato ad una lite tra conviventi ubriachi e l’hanno riportato a casa da Jeffrey.
Tutto questo diventa parte integrante della visione globale del serial killer come figura archetipale. Difficile capire dove finisce la realtà e inizia la fiction. Nella maggior parte dei casi, secondo me, la realtà si spinge oltre le concessioni del patto di complicità necessario per raccontare una storia.

Quali sono state le influenze che hanno caratterizzato il tuo lavoro e la scelta dei generi delle storie che hai scritto fino ad ora?

Purtroppo sono un tecnico. Almeno così mi dicono tutti. Quando parlo del mio lavoro dicendo: sai che per fare quella cosa mi sono ispirato a quell’altra! Di solito la risposta che ottengo è: Ma non è vero non c’entra niente!
Le mie influenze sono tantissime, e di solito me ne accorgo dopo. Per farti un esempio, potrei dirti che su Ghost io ci vedo l’influenza de Il Corvo per quanto riguarda le ritmiche e i tempi narrativi.
Ma tu mi diresti: "Mavalà non è vero non c’entra niente!".

Io Ci ho visto "Saw", soprattutto per le atmosfere sporche e il trabocchetto a metà albo...

Me lo ha detto anche Luca Bertelè mentre si occupava del lettering.
Confesso. Non lo sapevo. Non ho visto nessuno degli episodi di "Saw". Guardo raramente i film horror. Mi fanno troppa paura. Sul serio. Mi ci infilo dentro come un bambino e poi vivo terrorizzato una settimana. I miei amici mi rimproverano:
"Scrivi horror! Come fai a scrivere Dampyr se non guardi film horror?!".
Ho una parte oscura che tengo a bada abbastanza bene, mi appoggio a quella, senza frequentare le “interpretazioni” degli altri. Con la mia ci convivo, quella degli altri mi spaventa troppo.

Quando ti trovi davanti al PC, preferisci lavorare su serie teoricamente eterne come Dampyr o Diabolik, o progetti autonomi come Ghost e la trilogia Milano Criminale? Affronti i differenti lavori nella medesima maniera?

Il mio modo di scrivere non cambia. Mai. Posso fare più fatica a scrivere certe cose piuttosto che altre, ma scrivo tutto con lo stesso spirito.
Quale spirito? Quello di fare le cose al meglio che posso. Mettendoci del mio, sempre e comunque.

Quali sono i tuoi progetti futuri, oltre alla serie per la Aurea che è stata annunciata pochi giorni fa?

Ho appena concluso un corso di cucina. Ho un bel diploma che ho portato a incorniciare. Il mio progetto per il futuro è andare a Brooklyn a fare l’aiuto chef.
Prima però devo finire un paio di cose.

Non ti sbilanci mai, eh?

Ti direi scaramanzia. Ma se devo essere del tutto sincero, è “merito” delle palate in faccia che ho preso nel corso degli anni, quando raccontavo a tutti di una pelle d’orso che non avevo ancora preso. Adesso la vergogna per le figuracce che ho fatto in passato sbilanciandomi troppo, mi fa parlare con molta cautela dei miei progetti futuri.
Però sulla faccenda di Brooklyn sono serio! Al 44% ma sono serio!

Torna in alto