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iComics: intervista a Roberto Dal Pra'

Da più di un anno nelle edicole di tutta Italia ha fatto la sua comparsa iComics, rivista contenitore pubblicata dalla Kawama, marchio editoriale della Scuola Internazionale di Comics. La direzione della rivista è stata affidata a Roberto Dal Pra', navigato sceneggiatore che ha firmato storie come Anastasia Brown, L'uomo di MoscaOmbres sur la Place Rouge, tutte disegnate da Giancarlo Alessandrini, L'occhio dell'Apocalisse, per le matite di Juan Giménez e Jan Karta, ai cui disegni troviamo Rodolfo Torti.

Abbiamo raggiunto Dal Pra' per un'intervista nel corso della quale abbiamo parlato sia di iComics che della sua carriera nel mondo del fumetto.

Intervista di Giovanni La Mantia e Marco Orlando

Com'è nata iComics?

iCOMICS nasce dalla volontà di Dino Caterini - patron della Scuola Internazionale di Comics - di entrare nel mondo delle edicole con una rivista "contenitore" classica, d'autore. Comic Art, l'Eternauta, Corto Maltese, la mai dimenticata Orient Express sono i nostri riferimenti ovviamente aggiornati all'attualità. La scommessa era verificare se la scomparsa di queste riviste fosse stata determinata dal mercato o da un'editoria che non ama più rischiare sul "contenitore" appunto. Al tempo stesso, con iCOMICS, abbiamo voluto mettere a disposizione dei nuovi giovani talenti, provenienti anche dalla Scuola Internazionale di Comics, una vetrina nella quale mostrare la propria creatività. Dappertutto si parla - e spesso straparla - dei giovani e dei loro problemi lavorativi. Fermo restando le difficoltà di dare ad una professione "creativa" una continuità di sicurezza (leggi stipendio fisso!) ebbene sono numerosi i ragazzi e le ragazze che hanno pubblicato e collaborato con la nostra rivista (e che sono stati regolarmente retribuiti!). Disegnatori, sceneggiatori, coloristi, letteristi, grafici. Non è poco visti i tempi che corrono!

La rivista è stata lanciata nel maggio 2010 e presentava una foliazione di 160 pagine per una periodicità bimestrale, dopo un anno di pubblicazione si è passati, per far fronte alla crisi, ad una rivista mensile, più snella sia a livello di pagine che di prezzo. Perché questo tipo di formato è risultato quello ideale? Quali sono i suoi pregi e i suoi difetti (se crede ve ne siano)?

Il formato elegante, brossurato, (costoso!), di 160 pagine è stata la formula per farci notare. Poi siamo passati a una formula più leggera, più popolare e meno costosa. Difetti ce ne sono sicuramente; a voi il compito di indicarceli prescindendo - per quanto possibile - dalle proprie passioni per entrare nel vivo dei complessi rapporti quantità/qualità nel mercato di oggi.

Fino ad oggi iComics ha presentato storie di varia natura; dall'avventura fantascientifica de Il manoscritto proibito a gialli come Il mio nome non è Wilson e L'Uomo di Mosca fino a racconti più leggeri come Fiore e Mostri. La rivista mira dunque a toccare più generi per andare incontro ad un pubblico più vasto o avete dei generi predominanti e il resto sono da considerare eccezioni?

Una rivista contenitore per definizione contiene storie di genere diverso; se poi è diretta da un rompiscatole come me, che non ama il fantasy e lo trova fuorviante soprattutto per quei sceneggiatori che pensano sia un genere facile perché puoi prescindere da tante cose (documentazione, intreccio logico e credibile, etc. etc.) allora è una rivista aperta a tutti i generi ...ma al fantasy un po' di meno!

È stato direttore editoriale di Torpedo e adesso lo è di iComics, ha pubblicato sulle testate di Comic Art, L'Eternauta, Eura e Aurea, Coniglio, Il Giornalino e Intrepido. Crede che la formula delle riviste contenitore sia tuttora gratificante per il lavoro di confezione e di ricerca al di là delle vendite? Secondo la sua esperienza, può quantificare indicativamente il numero dei lettori affezionati a questa formula?

I lettori di questo tipo di riviste credo siano un bacino che non va oltre i dodicimila. Magari raggiungerli tutti! La verità è che le manifestazioni di fumetto sono piene di persone che poi, di fumetti e non solo, ne leggono pochi. Non voglio entrare in una discussione ormai sterile sulle cause. La formula del successo non la conosce nessuno. Bisogna rischiare. E poiché sono pochi oggi gli editori che, anche per la crisi dilagante, non amano investire al buio, noi della Kawama siamo qui, a rischiare, contenti da farlo ma sempre un po’ preoccupati.

Nel corso della sua carriera lei si è cimentato particolarmente nel racconto investigativo, la spy story o come dicono i francesi il "polar", a volte con un pizzico di fantascienza. Non è interessato a esplorare appieno altri registri narrativi, al di là dell'ambientazione delle storie?

Devo dire che la spy story, il giallo, li ho sempre amati sia perché, soprattutto da ragazzo, mi sono formato sui romanzi di Hammett, Chandler, J:Thompson, E. McBain etc. etc. che mio padre regolarmente mi faceva leggere sia perché, con il tempo, ho scoperto che questi autori, in modi diversi, raccontavano storie con un punto di vista “tragico” sulla vita; un punto di vista, probabilmente, più vicino al mio sentire. Al tempo stesso, però, mi sembra di non aver scritto solo storie di questo genere. Così, a memoria, mi vengono in mente alcune storie per Il Giornalino (l’antichissima Firemen con i disegni di Torti, Avventura sull’Orinoco con i disegni di Gianni De Luca, Una notte africana con i disegni di Sergio Toppi, oppure  Gli occhi dell’Apocalisse (disegni J. Gimenez),  Anastasia Brown (disegni di Alessandrini) dove certo il personaggio principale è un detective ma che vive storie comico-grottesche anche per la caratteristica di soffrire di colite. 
Poi, ultimamente, Il manoscritto proibito (disegni di Paolo Grella) che mi sembra (ma non amo interpretare le mie storie) un racconto più corale rispetto a quelle alle quali ti riferisci. Se ripenso, poi,  al periodo delle riviste Splatter e Mostri, beh lì di detective ce n’erano davvero pochi! Detto questo,  ti confermo comunque il mio amore per le storie ad intreccio e con uno sfondo poliziesco.

Nella mente del lettore scafato il suo nome è associato a disegnatori di chiara fama. Giancarlo Alessandrini, Rodolfo Torti e Paolo Grella con i quali ha creato nel tempo lunghi e proficui sodalizi, ma sono davvero tanti e di grande talento anche gli artisti internazionali con i quali ha avuto la ventura di collaborare. Tra questi Gustavo Trigo, Eduardo Risso, Lito Fernández, Marcelo Frusin, Juan Giménez, Lucho Olivera, Jordi Bernet, Attilio Micheluzzi e Gianni De Luca. Può accennare brevemente qualche aneddoto che riguarda alcuni di questi?

Mi chiedi degli aneddoti: il primo che mi viene in mente è una telefonata di Juan Gimenez quando iniziò a disegnare “Gli occhi dell’Apocalisse”: era terrorizzato dalle scene splatter. “Guarda che io le faccio proprio così, realistiche, non ho mai fatto un fumetto del genere … credi sia il caso?! Non saranno scene troppo forti?!”. Le disegnò come io le avevo scritte e l’albo ebbe un’ottima fortuna commerciale, ristampato più volte e da editori diversi. Gimenez: uno dei pochi disegnatori al mondo in grado di fare davvero spettacolo puro con i suoi disegni. Oppure, quando scrissi una storia breve dal titolo “Niente, solo un ricordo” disegnata da Bernet. Era l’epoca della rivista TORPEDO, della Acme editoriale. Quando, dopo alcuni mesi, la casa editrice fallì Jordi, (Bernet) mi chiamò ridendo; era sicuro che quel titolo fosse stato anticipatore: “Niente, solo un ricordo”… di quello che la casa editrice era stata (dando a noi autori tante e tante soddisfazioni) e ahinoi non era più!

Tra breve l'Editoriale Aurea presenterà in Italia un suo lavoro scritto a quattro mani con Carlos Trillo, il Maestro argentino recentemente scomparso. Ci piacerebbe un breve ricordo del suo grande collega e una presentazione della storia che in Francia è stata pubblicata da Delcourt col titolo La guerre des magiciens per i disegni di Domingo Mandrafina, altro eccellente artista dal segno immediatamente riconoscibile.

La guerre des magiciens. Il soggetto lo scrivemmo, io e Carlos, in una settimana di “buen retiro” a Sapri. Partimmo dall’idea di due vecchi amici (quali io e Carlos eravamo da oltre venti anni indipendentemente dalla nostra attività di sceneggiatori) da giovani innamorati della stessa donna. Poi - lungo un procedimento creativo difficile da riassumere perché fatto di idee improvvise, ambientazioni più vicine ai nostri rispettivi immaginari, letture antiche nelle quali ognuno di noi ripescava a suo modo - arrivammo alla magìa che muove le guerre, la magia bianca (democratica) e quella nera (totalitaria e fascista). Il primo albo lo scrissi io. Il secondo lo avrebbe dovuto scrivere lui. Ti lascio immaginare la solitudine profonda e la tristezza con la quale lo sto scrivendo io! Comunque, nel primo albo, la maestria di Carlos è assolutamente presente. Io scrivevo in italiano e lui traduceva in spagnolo in modo che Cacho Mandrafina potesse interpretare al meglio la storia. Necessariamente, nel tradurre i miei testi, lui li riorganizzava liberamente aggiungendo, modificando, inserendo. Insomma considero questo primo albo  un lavoro assolutamente “a due”.
Idem per “Farfalle colorate” che sto scrivendo per la Aurea. Anche qui soggetto comune e, ahimè, sceneggiatura purtroppo solo mia! I disegni che sta realizzando Rodolfo Torti sono davvero belli. A Carlos piacevano molto; sarebbe stata la prima sceneggiatura che scriveva per Torti.
Per me, che da sempre svolgo questo lavoro anche per il piacere di lavorare con dei cari amici, collaborare con Rodolfo e Carlos e vedere un albo firmato da tutti e tre sarebbe stato davvero magnifico.

Ad eccezione di Jan Karta lei non si è legato a personaggi che hanno vissuto un numero relativamente elevato di avventure. Ricordiamo anche dei brevissimi e fulminanti autoconclusivi. Come mai preferisce lavorare su storie a breve e medio termine?

Per quanto riguarda la tua domanda sul perché preferisco lavorare su storie a breve termine anziché su storie seriali ebbene, se mi lasci passare il paragone irriverente, sono un po’ come James Hadley Chase che ha scritto, con vari pseudonimi, tantissimi romanzi ma senza personaggio fisso: scrivere storie dove sai, per convenzione, che il personaggio principale non può morire e che anzi deve sempre uscire vivo e vegeto, mi lascia perplesso. Se nelle mie storie è necessario il sacrificio del personaggio principale, ebbene proibirmi questa possibilità mi sembra davvero limitativo. Da un punto di vista “commerciale” è un po’ darsi una martellata sui c., soprattutto se il personaggio ha successo. Ma che ci vuoi fare, io sono così. E poi non è mai detta l’ultima!

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