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Alessandro Bilotta e la fine del Buio

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I_nostri_DebitoriCiao Alessandro. È ancora una volta un grande piacere averti qui. Bentornato su Comicus e grazie per la tua grande disponibilità e gentilezza.

Grazie a te, Francesco.

Cominciamo dall’errore tipografico del #12, con la doppia pagina 59. Noi di Cus abbiamo già dato le info necessarie per richiedere la sostituzione dell’albo, ci tieni a fare un tuo commento?

Comicus, tra forum e news, è stato fondamentale per permettere ai lettori di leggere la tavola corretta, prima ancora che la Star Comics comunicasse che sostituirà le copie sbagliate a chi ne farà richiesta. Anch’io sono venuto a conoscenza dell’errore appena ho sfogliato il numero in edicola, come tutti i lettori.

La prima, vera domanda è forse scontata, un tormentone, ma d’obbligo: hai lasciato una porta aperta al termine del #12. Ci sono i presupposti, le condizioni e la volontà per una seconda serie di Valter Buio?

Ci sono certo tutti i presupposti narrativi, le condizioni pratiche un po’ meno e di conseguenza inficiano la mia volontà. Restano comunque nel mio cassetto diversi soggetti di Valter Buio per un percorso narrativo che potrebbe arrivare almeno fino al numero 50.

Ti aspettavi onestamente un successo e un entusiasmo così grande, e meritato aggiungiamo noi, per Valter Buio? E secondo te, perché questo fumetto ha avuto tanti riscontri positivi in termine di critica e pubblico?

Forse sono la persona meno adatta a indagare le ragioni di questo riscontro positivo. Scrivo storie in cui io per primo ho fiducia, vicende che mettano al centro un certo approfondimento dei personaggi e dei temi che si trattano. Forse queste storie hanno incontrato lettori come me a cui il mercato in questo momento non offre questo genere di fumetto.

Sappiamo che fin dall’inizio il piano dell’opera era ben definito e limitato. Avete modificato qualcosa strada facendo o siete rimasti fedeli al progetto originale?

Siamo rimasti fedeli al progetto originale con una piccola deviazione di rotta nel numero 7, in cui Dario Gulli, l’editor della serie, mi ha chiesto di inserire Cornelio. Per il resto devo dire che mi è stato permesso di lavorare con grande libertà realizzando qualcosa che sottoscrivo in ogni pagina.

Il tuo modo di porti, il tuo approccio e atteggiamento verso il pubblico è sempre molto solare, divertente, positivo. La figura di Valter è invece molto introversa, malinconica. Cosa c’è in Valter del tuo carattere? Tu stesso nell’incontro di quest’anno a Lucca, dedicato ai nuovi autori di Dylan Dog, hai affermato di prediligere sceneggiature e atmosfere più interiori, travagliate, storie che hai definito scherzosamente “du palle”. In una battuta, esistono due personalità di Alessandro Bilotta, come Jekyll e Hide?

Prendo molto sul serio le storie, la narrativa, il fumetto, prima di tutto come lettore e in un secondo momento come scrittore. Penso che entrambe le esperienze debbano avere un significato, per me quando leggo e per chi legge quello che scrivo. Per questo spesso la lavorazione è travagliata, la natura delle storie può riflettere il percorso che serve per realizzarle e viceversa. Tuttavia non riesco a parlare di quello che faccio prendendomi sul serio, soprattutto dal vivo, in circostanze in cui sono in mezzo ad altre persone. Forse hai ragione, rappresenta due lati diversi dello stesso carattere.

Tra i vari temi toccati sempre con delicatezza estrema, è ricorrente la tua attenzione e sensibilità verso i giovanissimi e gli adolescenti. Cosa ti lega e affascina di queste che età, tra le più complesse e genuine dell’uomo?

Mi lega a quelle stagioni della vita un’illusoria sensazione di vivere in parte ancora in quei periodi. Ci sono molte cose che ho lasciato in sospeso perché non sono riuscito a goderle appieno o a portarle a compimento. Non è che io sia speciale, sono età in cui la maggior parte degli esseri umani vive ogni problema moltiplicato per un numero infinito di volte, quindi, io come altri, non sono riuscito a cogliere la bellezza di quei giorni, anche nella loro disperazione, e non sono riuscito a vivermi appieno quei momenti.

Roma. È un legame indissolubile quello con la tua città che ritorna spesso e volentieri, basti pensare a Giulio Maraviglia e ora a Valter Buio. Ti viene naturale, ci hai sempre vissuto, è corretto?  Ma se fossi vissuto in un paesino qualunque, avresti ambientato lì le tue storie. Quanto è importante una città per un fumetto e perché le città italiane, tra le più belle al mondo, sono poco sfruttate proprio dai nostri scrittori?

L’ambientazione e il contesto storico in cui si svolge una storia sono determinanti per i personaggi che vengono raccontati. Io credo che quanto più i protagonisti della vicenda sono in stretta relazione con lo scenario in cui si muovono, tanto più sono forti e caratterizzati. Mi interessa Roma perché ha a che fare con la mia vita ed è questa in fondo che vado a raccontare. Inoltre le città italiane sono quasi del tutto assenti dalla storia del fumetto o comunque non gli è mai stata resa giustizia, a parte qualche eccezione come la Venezia di Hugo Pratt; questo offre un ampio terreno da arare e per me è molto stimolante. Il motivo per cui sono poco sfruttate dagli altri scrittori non saprei dirlo con certezza, il mio pensiero è che il fumetto sia l’unica forma di racconto al mondo, e nella storia, a soffrire di esterofilia, a sua volta causata da un complesso di bassa autostima. Il fumetto sembra sempre ispirarsi ai modelli dei film d'azione, e non essendo mai stata questa la nostra cultura, ambientare storie del genere in scenari italiani sembra fuori luogo.

Come è nata l’idea curiosa e intrigante della barca come studio di Valter?

Mi piaceva che colui che a che fare con gli spiriti della città vivesse a stretto contatto con il Tevere, che è l’anima di Roma. Inoltre l’idea stessa del fiume e dell’acqua sono dei temi portanti e ricorrenti all’interno delle storie.

Veniamo a due albi particolarmente significativi a nostro avviso. Il primo è il #4, "I nostri debitori", dedicato alle vittime del terrorismo. È una storia molto intensa, toccante e tormentata, ma anche di denuncia aggiungerei. Il messaggio che emerge dalle pagine è che in Italia ci si preoccupa sempre di garantire indagati e imputati ma delle vittime non si preoccupa mai nessuno e i carnefici hanno sempre lo sconto della pena. Cosa ti ha spinto a scrivere questo episodio, cosa ci terresti ad aggiungere?

Non mi piace aggiungere niente, tutto quello che ho da dire si può trovare nelle storie che scrivo, sono sicuro che le rovinerei spiegandole. Mi fa molto piacere che questa storia in particolare abbia lasciato il segno, anch’io sono molto legato a quell’episodio perché sono andato in una direzione e verso un modo di raccontare che inseguivo da molto tempo, è stato per me un punto di arrivo. Diciamo che è quanto di più vicino a come vorrei scrivere.

Il secondo albo è "Riservami un valzer", un racconto dedicato a una prostituta degli anni ’30, una professionista delle case di tolleranza; è certamente un argomento spigoloso che hai trattato con grande poesia, permettici. Puoi dirci come ti è nata questa idea?

Ho sempre immaginato Valter Buio come un personaggio fuori dal tempo e fuori posto, come tutte le persone che non riescono ad appartenere a niente e a trovare punti fermi. Pensavo che avrebbe potuto aiutarmi ad approfondire il personaggio farlo relazionare con qualcuno letteralmente fuori dal tempo, ma che, come lui, forse era in cerca delle stesse cose. Ecco, ho già detto troppo. La Roma del Novecento ha migliaia di personaggi e storie da raccontare, sarebbe bello leggerle, mi piacerebbe farlo più di quanto sono riuscito a fare finora anche grazie ai fumetti che ho realizzato insieme a Carmine Di Giandomenico.

Tra tutti i 12 splendidi numeri di Valter Buio, il #9, "Elena Fioravanti" è stato, penso di esprimere un parere unanime, un albo dirompente. Qual è il numero che ti è più piaciuto scrivere e quale ti è piaciuto di più una volta visto realizzato?

Mi dispiace esprimere delle preferenze perché ogni numero ha una sua ragion d’essere e sia io che i disegnatori l’abbiamo realizzato con grande convinzione. Ho in testa con molta più chiarezza quali sono i numeri di cui non sono soddisfatto perché sento di non essere riuscito a scrivere esattamente ciò che avrei voluto, ma quello è un problema con me stesso. Ti dirò comunque che un episodio a cui sono particolarmente affezionato è il numero 5, "Buonanotte e buona fortuna", perché mi sento vicino allo stato d’animo di quella storia e perché il suo titolo è un augurio di cui sentirei il bisogno tutte le notti.

Pensando a Dylan Dog per il quale hai scritto e scrivi, a The Walking Dead per cui hai firmato una spassosa introduzione al #4 e a ora Valter Buio, mi sorge naturale questa domanda: è necessario l’horror, il fantastico ed il metafisico per far risaltare al meglio l’umanità più vera, in tutte le sue sfumature?

No, non è assolutamente necessario, ma è una scorciatoia. Credo che mostrare certe realtà della vita in maniera così intensa, trasfigurata, sia un modo immediato per comunicare un concetto. Un personaggio che si risveglia con le sembianze di uno scarafaggio comunica all’istante la condizione esistenziale più profonda di quella persona. È una soluzione che costringe subito a provare empatia per lui. Ben altra cosa è il realismo che ci porterebbe a raccontarne tutte le sue miserie fino a immedesimarsi in lui, è un processo più lungo, ma che io trovo anche più interessante.

La formula avveduta e oculata della miniserie, soprattutto in periodi complessi come questo, si sta dimostrando la scelta vincente; non rischia però di tarpare le ali a potenziali Tex o Dylan Dog? Voglio dire, secondo te ci sono ancora i presupposti e le potenzialità oggi, per personaggi seriali come Tex e Dylan, oppure il futuro sono miniserie di alta qualità, ma brevi, come il tuo Valter?

Non so risponderti. Sono sicuro che in futuro arriveranno nuovi personaggi seriali dal grandissimo successo come Tex, Dylan Dog o Diabolik, ma è anche vero che questi personaggi si contano sulle dita di una mano e non nascono così di frequente. Non so se il modo migliore per trovarli sia realizzare serie o miniserie, è probabile che quando queste ultime sono troppo brevi, possano rischiare di fermare sul nascere un progetto che potrebbe crescere di successo nel tempo.

È una domanda complessa e la risposta immagino ancora di più, ma riusciresti, vista la tua esperienza d’Oltralpe, a raccontarci in poche parole, cosa vuol dire lavorare ad un fumetto francese e ad uno italiano, quali sono le maggiori differenze tra questi due mercati?

Lavorando per il mercato francese posso dire che non offre quella libertà di esprimersi che si pensa. I disegnatori sono costretti su serie che gli vengono sempre imposte ed è praticamente impossibile che uno sceneggiatore e un disegnatore italiano lavorino in coppia su un progetto per un grande editore. Questo perché ritengo che il mondo editoriale francese, che rispecchia il proprio popolo, sia fondamentalmente razzista e non c’è realmente il desiderio di qualcuno che porti lì la cultura italiana. Sono soprattutto interessati a grandi disegnatori che lavorino alla metà del costo dei loro che è comunque molto più di quanto guadagnerebbero in Italia. In questo Paese, a parte le normali eccezioni, ho avuto la fortuna di collaborare con editori professionali e seri professionisti con cui c’è sempre stato dialogo, e non credo che sia solo una questione di lingua.

È già iniziata la serie Corsari di Classe Y per "Il Giornalino". Com’è scrivere storie per ragazzi, cosa puoi dirci di questa tua esperienza e secondo te in Italia facciamo abbastanza per il fumetto dedicato ai lettori più giovani?

Direi che in Italia il fumetto per i più giovani è quasi inesistente. Mi piace molto scrivere storie per ragazzi e cerco di farlo da molto tempo, in passato ho fatto diverse incursioni. Corsari di Classe Y è la prima serie che creo per questo target. In una lontanissima galassia si trova il Teschio, una società che gestisce gli arrembaggi contro le navi che attraversano quella zona del cosmo. Qui timbrano il cartellino tanti corsari assunti a coppie e ordinati in classi in base ai meriti. La prima e più prestigiosa è la classe A. Kindred e Camox sono corsari di classe Y. Sono in produzione un gran numero di episodi, ci sono gli scenari più e meno tipici della fantascienza e un pizzico di sperimentazione. Insieme a Oskar, alle matite e pennelli, ci stiamo divertendo molto.

Le due ultime domande, sono di rito ormai, ma stuzzicano assai la curiosità dei lettori. Partiamo dalla prima. Poi anticiparci qualcosa sui tuoi prossimi o nuovi progetti?

Oltre ai Corsari di Classe Y già citati e a Dylan Dog, ho cominciato a collaborare con Dampyr. Sono al vaglio tre progetti di miniserie che ho proposto alla Bonelli.

Infine, attualmente, in ambito fumettistico, quali sono le letture che più ti stanno appassionando?

L’ultimo fumetto che mi ha colpito in modo significativo è Wilson di Daniel Clowes. La storia e il modo in cui è raccontata mi stanno facendo riflettere da qualche settimana e credo di dover metabolizzare bene quello che ho letto per poterne parlare con lucidità. Quando ho chiuso il libro ho pensato che fosse uno dei fumetti che più mi hanno impressionato, poi mi sono reso conto che è una cosa che ho detto al termine di ogni storia di Daniel Clowes, che per me resta uno degli autori più importanti.

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