Menu

Agata Matteucci, Leo & Lou

Per tornare alla news, clicca qui.

Intervista a cura di Simone Celli

Quanto c’è di Agata nel personaggio di Lou?

Tanto quanto ce n’è in Leo. Sono naif quanto Lou e cinica quanto Leo.

Tu sei la summa dei due?

Sono loro che sono la scissione di me.

Essere giovani oggi: cosa significa?

Io sono nata vecchia (ecco il cinismo di Leo). La mia è una generazione sfortunata: siamo abituati ad avere tutto, ma siamo frustrati perché viviamo in un’epoca in cui non possiamo avere tutto. In Leo e Lou rappresento l’incertezza del nostro tempo, e quella che penso sia oggi la vita di un giovane.

Insomma è un fumetto triste.

Vuol far ridere, ma in fondo è amaro. Si ride delle disgrazie.

Come nasce questo tuo primo lavoro?

Nasce da due episodi. Il primo riguarda una mia amica del liceo. Un giorno era a letto con il suo ragazzo, a casa di lui. A un certo punto il fidanzato si è alzato per andare a chiedere una coperta alla madre. Nudo. Una volta tornato lei gli ha chiesto come facesse a non vergognarsi. E lui ha risposto: “La mamma è sempre la mamma”. Da lì ho pensato che sarebbe stato carino fare una serie di strisce sulla vita di coppia. Il secondo aneddoto riguarda me e un mio ex con cui non uscivo mai di casa. Una relazione molto sterile a livello sociale. Forse la frustrazione fu il detonatore di tutto.

Come sei arrivata alla pubblicazione?

Ho preso contatto con Il Foglio Letterario tramite internet. Ho cominciato a pubblicare le mie strisce sulla loro rivista omonima, poi è un giorno l’editore mi ha chiesto: “Perché non ci facciamo un libro?”. Ovviamente accettai. E così sono diventata una fabbrica di tavole.

Perché le strisce?

Io amo le strisce. Da piccola leggevo Linus, sono cresciuta con Charlie Brown e Calvin & Hobbes. Sono immediate. Sono come le Peanuts [le arachidi, ndr], le divori.

Quali sono gli autori contemporanei che apprezzi di più?

Di italiani amo Leo Ortolani, Gipi, Makkox. Di stranieri Ralph König, Guy Delisle, Jhonen Vasquez, Lewis Trondheim, Joe Matt.

Quanto c’è di Bologna in Leo e Lou?

Con Bologna ho un rapporto di amore e odio. La trovo chiusa e un po’ snob, ma mi piace il suo essere una città universitaria. Poi è a misura d’uomo, e questo ti rende protagonista di tante situazioni. Insomma, vivo e l’ispirazione arriva come un lampo.

Bologna e il fumetto: è davvero amore?

In questa città si continua a dare spazio al fumetto con concorsi e iniziative, mentre nel resto d’Italia è abbastanza bistrattata.

E ci sono anche diversi corsi di formazione…

Non credo nella didattica. Non ha senso un corso di laurea sul fumetto. A farli s’impara leggendoli. E facendoli. La tecnica nasce da dentro, e poi l’affini. Invece per qualcuno il fatto che sia un’arte significa che la si deve in qualche modo indottrinare.

Ricalchi ancora dalla tv?

Ehm, no. Ho superato la fase del ricalco verso i tre anni. Da allora, per motivi di orgoglio, mi limito a copiare. Anche se, come disse Picasso, "un vero artista non copia, ruba".

Parlaci di Twins. Avevi davvero dodici anni? Lo vedremo mai pubblicato?

Sì, andavo alle medie all’epoca. Purtroppo non riesco a trovare i fumetti che facevo a nove anni… Francamente non ho mai pensato all'ipotesi di pubblicarlo. Twins lo considero un cimelio personale, più che un prodotto destinato a dei veri e propri lettori. Inoltre è così smaccatamente pieno di plagi, forse potrei rielaborarlo e creare una nuova serie a fumetti. Magari lo farò, quando sarò a corto di idee. E a questo punto rielaboro la frase di Picasso: "Un vero artista non ruba dagli altri, ma da se stesso".

Durante la tua gavetta hai vissuto anche una fase manga. Quando, esattamente? Come ti sei trovata a lavorare con uno stile diverso dal nostro?

Iniziai a leggere manga a quattordici anni, e la fase acuta ne durò circa un paio. Un tempo sufficientemente lungo per marchiare in maniera indelebile la mia mano, soprattutto nell’espressività dei personaggi.

Dici di non essere capace di lavorare su commissione, che il soggetto al quale lavori devi sentirlo dentro. Non pensi potrebbe essere un limite per la tua carriera?

Al contrario. La reputo una scelta che tiene conto della qualità del prodotto finale. Forse in parte mi precludo possibili occasioni per farmi conoscere, ma purtroppo non riesco a farmi governare dallo sceneggiatore. Ho sempre avuto un'indole abbastanza insubordinata, e disegnare è stato un impulso spontaneo generato da un bisogno di evasione. Voglio che per quanto possibile il mio processo creativo rimanga tale e quale a come è nato.

Quanto spazio hanno i giovani autori?

Hanno giusto lo spazio per sgomitare tra loro. E anche quando riescono a emergere un po’, per esperienza ho notato che nel mondo del fumetto italiano c'è poca contaminazione. Si tende a rimanere arroccati nella propria fortezza, e i nuovi arrivati vengono guardati con parecchia diffidenza.

Quanto conta il web per un aspirante fumettista?

È molto importante, sia perché ti dà la possibilità di promuoverti sia come metodo di ricerca.

Prospettive future?

Per il momento cerco di promuovere Leo & Lou il più possibile, e vedere se trovo un riscontro da parte del pubblico. Mi piacerebbe riuscire a pubblicarlo in maniera "seriale" su qualche rivista. Poi, tempo permettendo, avrei tante storie a fumetti da raccontare e disegnare.





Redazione Comicus
Torna in alto