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Andrea Mutti

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Intervista a cura di Alfredo Goffredi

Ciao Andrea e bentornato su ComicUs.

Bentrovati e grazie per lo spazio!

In Italia è da poco uscito il secondo - e conclusivo - numero de La Sindrome di Caino. Com'è stato lavorare su una storia che al noir (che assieme alla fantascienza può venire considerato considerare uno dei tuoi generi di riferimento) unisce una forte componente mistica?

Caino è tra le cose che più ho sentito dentro in questi anni. In primis per la totale affinità con Nicolas Tackian, e secondo per il tipo di tema che trattava. Sono un grande appassionato di misticismo ed esoterismo (e con questo allargo il bacino d’utenza a molti misteri che non sto qui ad elencarvi!). Inoltre c’è una componente di fede che mi tocca molto da vicino… non nego che la passione e l’entusiasmo per quest’opera siano speciali. Inoltre sono stato fisicamente in tutti i luoghi rappresentati. NYC, l’Isola di San Lazzaro, Praga, Roma e i sui musei… insomma, ho cercato di rendere viva l’avventura, di fare sentire a chi leggeva quello che io sentivo… ero, e sono tuttora, ancora dentro Caino!

Come è nata la tua partecipazione con Nicolas Tackian alla Sindrome di Caino?

Mi contattò Jean Waquet di Soleil proponendomi il progetto… Rimasi subito stregato e, come detto, Niko è non solo in gran scrittore, ma una persona speciale. È nata una sincera amicizia. Stiamo cercando di tornare al più presto su qualcosa da fare insieme. Un sodalizio fortunato, e lo staff di Soleil con Jean e Sylvie Guillon è stato davvero splendido.

Parliamo ora del tuo periodo statunitense. Come è iniziato?

Sulla spiaggia, 3 anni fa, mi chiama Will Dennis e mi propone una graphic novel. Ero davvero overbooked e dissi “No” (da non credere!). Ero davvero dispiaciutissimo, temevo di ingolfarmi e fare danni. Ma Will mi ha richiamato, e parlando con altri amici (Franz e Rivers… chi li conosce sa di chi parlo!) mi han detto “Fallo”, e così è partito il mio “american dream”. Devo ammettere che è stata una partenza sensazionale. Pura emozione. Will è una persona eccellente, entusiasta e disponibilissima..e Jon Evans, lo scrittore, sembrava fossimo amici da una vita! Pazzesco! La storia era avvincente, violenta e dura, e mi permetteva di lavorare in assoluta libertà stilistica… fikissimo!

Dopo l'esordio su Marvel Zombies - Iron Man è stata la volta della graphic novel The Executor per Vertigo (di prossima pubblicazione in Italia per Panini Noir). Puoi anticiparci qualcosa su quello che andremo a leggere?

The Executor è una graphic novel di grande intensità, dove non esistono innocenti. Un noir che porta questo nome con forza e prepotenza. Jon Evans ha confezionato un'avventura proprio su misura per la mia dannata animaccia nera. Scorrevo le pagine per sapere cosa diavolo stava accadendo e ogni volta rimanevo sorpreso dal colpo di scena. Nulla era come sembrava. Poi l'ambientazione era fantastica, molti open space nelle foreste della riserva indiana… Insomma, c'era davvero tutto quello che serviva per rendere entusiasmante il lavoro di un disegnatore. Inutile dire che il feeling con Jon Evans, Will Dennis e Mark Doyle è stato davvero cool… Personalmente sono molto soddisfatto del risultato, mi sono divertito un sacco. Devo anche ringraziare Dimitri e Silvia che mi hanno affiancato per il grey tone e l'inchiostro… due grandi professionisti e due buoni amici.
Spero che la collana Panini sia accolta con entusiasmo.

Lo stile richiesto dal fumetto popolare italiano è diverso da quello della bd francese e dei comic book americani. Come e con quanta difficoltà aggiorni il tuo stile in base al tipo di mercato?

Beh, per i francesi la griglia è dura, 8 vignette minimo, e devi davvero condensare e spesso sei “sacrificato”. Ma è il loro trend, e ti devi adeguare. Ci metti un po’, ma alla fine prendi il ritmo. Poi dipende dallo scrittore. Non sono mai stato costretto, spesso e volentieri si parla e si trovano soluzioni interessanti. Comunque il fatto che ci siano molte vignette è importante per un rapporto costo volume-durata lettura. È giusto.
L’Italia offre una griglia più classica, ma si son viste buone sperimentazioni. Ma il nostro pubblico, quello delle edicole, è quello che vuole, non ci si scappa!
Il formato americano è quello più “sintetico”, ma avere meno vignette non significa necessariamente meno lavoro. Pensate a una splash page con 5-6 supereroi che combattono: è un bel match! Personalmente trovo davvero stimolante tutto questo cambiamento, è un modo di evolversi e non ci si stanca per nulla!

In una vecchia intervista hai fatto cenno alla necessità di aggiornare il tuo registro grafico nel passaggio da Star Comics a Sergio Bonelli Editore, in particolar modo per quanto riguarda ombre e campiture nere. Ora, scorrendo i tuoi lavori per la Francia, sembra che questo sia ancora più accentuato. Possiamo parlare, quindi, di evoluzione del tratto o semplicemente di adeguamento?

Mah, come detto cerco sempre un’evoluzione. In Francia, inizialmente, sono stato vicino alla linea chiara, cercando di non mettere ombre su visi eccetera, ma pian piano la mia natura è emersa, e sta di fatto che adesso faccio come sono, come sento. E questo, in Francia soprattutto, mi ha permesso di essere riconosciuto, non so se mi spiego. L’uso del bianco e nero e delle ombre non solo è stato molto apprezzato, ma mi è servito (del tutto involontariamente) a espormi in modo differente. Una delle belle cose che mi dicono i lettori durante gli incontri, è che quando vedono i miei libri riconoscono subito il segno. Spesso, in Francia, molti disegnatori realistici sono molto simili, il che non è una cosa sbagliata di per sé. Io ho solo cercato di fare meglio, di divertirmi e divertire.

Dalle anteprime pubblicate sul tuo sito, viceversa, si può notare come sulle pagine di Executor ci sia un forte ritorno all'uso delle campiture nere. Un'esigenza personale o una scelta di Jon Evans? O, ancora, pensi che possa essere dovuto ad un diverso modo di concepire il genere noir?

Executor è una cosa che ho sentito da subito fortemente nera, che poi è la mia passione. L’inchiostro, la tenebra e le ombre sono un elemento che ho dentro… adoro le figure che emergono dalle tenebre, l’intensità di un’ombra su un viso, le sperimentazioni grafiche in negativo. Devo anche ammettere una certa voglia profonda di tornare all’“all black”. Pensate che a volte mi annuso l’inchiostro di china appena aperto… vabbeh, sono malato!
 
Guardando alle tue produzioni passate è impossibile non notare la tua prolificità e le tue numerose collaborazioni con diversi editori. Attualmente a che cosa stai lavorando?

Sto ultimando Rescue su testi di Kelly Sue DeConnick e farò un issue di Dmz, appena iniziato (a cui seguirà una graphic novel sempre per Vertigo), poi Remind 3 per Dargaud (un ciclo di 10 volumi scritti da Didier Alcante, una bella serie che si rifà molto al ritmo dei serial tv americani); a seguire un lavoro davvero super cool che ho scritto io e che mi vedrà al fianco dell’amico Diego Cajelli, una robetta davvero cool e che Diego sta elaborando magistralmente, come sempre. Poi, beh, in coda altre cose pian piano, ma non sono certo uno che sta alla finestra a guardare la pioggia che cade!

Cosa pensi degli autori italiani che scelgono di abbandonare il mercato nazionale per rivolgersi a quello estero?

Penso che sia normale, anche se non mi piace il termine “abbandono”. Il mercato, grazie al cielo, si è aperto, e si ha la possibilità di provare diverse soluzioni, diversi approcci visivi e grafici. Credo sia un bene e uno stimolo per tutti quanti. È divertente, e per alcuni è anche una necessità.


Alfredo Goffredi
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