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Caravan: Roberto De Angelis

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Come ogni intervistatore che si rispetti, direi di iniziare questa breve chiacchierata con un po’ di cenni biografici. Ti andrebbe di presentarti ai nostri lettori? 

Nato a Napoli il 16/12/1959 ma la maggior parte della mia vita l'ho trascorsa a Salerno, che considero ancora la mia vera "patria". Il mio percorso professionale è stato abbastanza normale, almeno se si considera il periodo (primi anni 80); quindi fanzines, studi di produzione fumetti, dove si faceva un po' di tutto, dal fumetto rosa per adolescenti, al fumetto hard. Comunque il vero salto di qualità è arrivato con Splatter e Mostri, due riviste di chiara ispirazione horror. Per molti versi erano riviste piuttosto simili per tecnica, regia e divisione della pagina alle pubblicazioni della Bonelli, dove approdai nel 1989, dopo quasi due lustri di gavetta.

Come è iniziata la tua avventura su Caravan? A che punto della lavorazione sei stato coinvolto?

Credo fin dall’inizio, ma non ne sono certo. È cominciato tutto con una telefonata di Michele, il quale mi chiese se ero interessato a partecipare ad un suo nuovo progetto. L’ intesa professionale con Michele è sempre stata ottima, quindi accettai con entusiasmo prima ancora che mi dicesse di cosa si trattava.

Ho una curiosità abbastanza banale… dal momento che Caravan è un unico “romanzone” in 12 capitoli, strettamente interconnessi l’uno con l’altro, come ti è stata presentata la serie? E come ti è stato presentato l’episodio alla cui realizzazione hai contribuito? 

Nel migliore dei modi: a voce… telefonicamente. È un sistema addirittura più sicuro dei “pizzini”.

Sin dal titolo della testata Caravan sembra un progetto diverso dal solito, qualcosa di nuovo… ti andrebbe di presentarci la miniserie?

Qui passo la palla a Michele, che è sicuramente la persona più indicata a presentare Caravan. Io ho disegnato solo il numero uno, quindi mi manca la visione panoramica di questa nuova miniserie. Però una cosa la so; conosco il finale! Ma non ve lo dico.

La struttura narrativa “anomala” di Caravan ha richiesto un approccio lavorativo, creativo, differente dal solito? È stato, forse, necessario lavorare più a stretto contatto con gli altri disegnatori della serie? 

Direi di no. Pur essendo una serie per molti versi rivoluzionaria l’ approccio tecnico è stato quello classico bonelliano. Le vere novità non vanno cercate nel disegno ma nella struttura narrativa e nella mancanza di un personaggio principale. Per quanto riguarda i miei colleghi, non abbiamo avuto molte occasioni di confronto, anzi credo che nel momento in cui mi sono messo al lavoro sul numero uno, il resto dello staff fosse ancora da definire.

In poche parole… perché è necessario leggere Caravan e quali sono gli elementi che ne faranno una pietra miliare del fumetto avventuroso italiano? 

Perché è diversa da ogni altra serie Bonelli, perché parla di persone comuni messe di fronte ad eventi più grandi di loro, perché il lungo cammino a cui saranno costretti diventerà, per alcuni di loro, una sorta di viaggio iniziatico che li trasformerà profondamente e, infine, per la fiducia che Michele Medda si è guadagnato nei suoi oltre vent’anni di militanza alla Bonelli.


Stefano Perullo
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