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Guglielmo Signora: BeLee

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Ciao Guglielmo. Tu lavori nel mondo dei fumetti da più di venti anni, ciononostante forse non tutti i nostri lettori ti conoscono. Faresti una breve presentazione di te?


Mi sono diplomato alla scuola del fumetto di Milano nel lontano 1985, e ho esordito come disegnatore sulla rivista Fumo di China nel 1987.
Visto che il mio stile era poco adatto a quanto ricercato all’epoca (andava molto l’autore impegnato o il “bonelliano”), mi sono buttato su pubblicazioni e lavori che meglio si adattavano al mio modo di disegnare, così nella mia carriera ho fatto di tutto: sceneggiatore e disegnatore di fumetti, illustratore sia per riviste e libri didattici che per manualistica, adattatore di testi e disegnatore creativo di decori. Ho sempre pensato che la cosa più importante fosse quella di partire con un sano “artigianato”, prima di darsi arie d’autore… È questo il motivo per cui, in tutti questi anni, non sono riuscito per questione di tempo a fare molti fumetti seguendo i miei gusti personali.

I tuoi primi lavori sono stati Tiramolla e Arthur King. Preferisci lavorare su personaggi completamente tuoi o su icone riconosciute?

Ovviamente dipende dal personaggio sul quale lavori. Ci sono personaggi che sono nelle tue corde ed ai quali lavori volentieri (era così soprattutto per Arthur King). I personaggi propri hanno invece il pregio di appartenerti completamente, in tutti i sensi: li senti tuoi e li fai crescere come fossero dei figli. Sei tu a guidarli e, nel farlo, speri che crescano bene e che incontrino il favore del pubblico…

Parlaci di BeLee. Come è nata e qual è stata la sua storia editoriale dalla sua creazione nel 1997 a oggi?
Edizioni Arcadia ha ripresentato al grande pubblico la tua eroina, partendo dalle ristampe dei numeri usciti per la Phoenix. Come è nata l’idea di riproporre BeLee e perché? Ristamperete solo le vecchie storie, pur rieditandole, o ai primi numeri seguiranno degli inediti?

Nei primi numeri di Arthur King c’era un personaggio di nome Fiona Lee, cyberlady creata da Lorenzo Bartoli e dal sottoscritto, comparsa però per sole poche vignette nelle prime storie.
Alla morte di AK avevo voglia di portare avanti quanto sperimentato su quella serie; mi sono quindi dato un’estate di tempo in attesa di trovare altri lavori, e ne è uscita la prima avventura di BeLee, in pratica una derivazione del personaggio che avevo creato per il mondo “arthurkinghiano”, riadattata secondo i miei criteri.
All’inizio volevo autoprodurla, poi si è fatta avanti la Phoenix che mi ha pubblicato i primi due numeri.
Avevo già inviato il soggetto per la terza storia, quando la Phoenix ha chiuso per vari motivi e BeLee è entrata nel limbo editoriale. Ho comunque completato la terza avventura e, un paio di anni fa, ho scritto e disegnato anche una quarta storia che è già pronta.
Per quel che riguarda l’approdo alle Edizioni Arcadia, anni fa l’oggi editore Mario Taccolini gestiva una bella fanzine che si chiamava Nuvole, all’interno della quale recensì sia i miei albi di Arthur King che il primo numero di BeLee. Siamo rimasti in contatto, e quando in occasione di Lucca’08 gli ho chiesto se fosse interessato a ripubblicare BeLee, lui mi ha risposto di sì. Ho perciò ripreso le prime due storie, cambiando alcune vignette e battute, e retinandole ex novo al computer.
Arcadia stamperà quindi tutte le quattro storie già scritte e disegnate, comprese le due inedite, e nel frattempo io disegnerò il quinto capitolo che si chiamerà “Journey to West”: sarà un omaggio al mito di Saiyuki (la famosa storia dello scimmiotto di pietra Son Goku scritta da Wu Ch’êng-ê, molto nota anche in Italia per le numerose trasposizioni animate giapponesi). Al momento ho finito il soggetto e la sceneggiatura, e non mi resta che trovare il tempo di mettermi al tavolo da disegno per fondere BeLee con Son Goku in un modo che credo divertirà i lettori.

Da appassionato di “anime” giapponesi quale sei, come è stato lavorare su quell’icona che è Lupin III nel progetto Lupin Millenium? C’è possibilità che Millenium ricominci?

Disegnare Lupin III è stato emozionante e, all’inizio, persino bloccante. Dovevo confrontarmi con un’icona entrata nell’immaginario collettivo e non volevo tradirne la caratterizzazione originale di Monkey Punch.
Ho conosciuto per la prima volta il maestro nel 1994 durante la sua visita a Lucca. All’epoca facevo parte dello staff di Arthur King della CiErre editrice, ed avevamo allestito una mostra delle tavole originali. Il creatore di Lupin le vide e venne personalmente a conoscerci per complimentarsi (e noi tutti siamo ovviamente andati nel pallone!). Quell’esperienza si è così impressa nella mia memoria che, quando un anno dopo mi sono sposato, spedii a Monkey Punch un disegno dove lo ringraziavo e gli annunciavo il mio matrimonio… ma logicamente non ricevetti nessuna risposta dal Giappone. Al momento di creare la collana Lupin Millenium, i Kappa Boys mi chiesero dei soggetti per delle storie, che dovevano poi essere approvati dal maestro. Misteriosamente la storia che proposi venne accettata quasi subito, nel giro di una settimana. Nel 2001, in occasione del lancio della collana, Monkey Punch tornò in Italia… e in quell’occasione scoprii che si ricordava di me (e delle partecipazioni al mio matrimonio che gli avevo inviato). Mi disse che era felice di rivedermi, e di aver apprezzato la mia storia su Lupin… Posso dire che è stata una delle più belle soddisfazioni della mia carriera, mi ha molto emozionato.
Sul fatto che la pubblicazione di Lupin Millenium ricominci, bisognerebbe chiedere ai Kappa. Quello che so è che da un po’ Monkey Punch sta cercando di rientrare in possesso di tutti i diritti di gestione del suo personaggio, e ignoro se la cosa sia risolta o meno. La mia speranza è che la collana prima o poi riparta, visto che ho già proposto alcune storie e mi piacerebbe disegnarne almeno una.



Il tuo stile morbido e dinamico ben si sposava con il personaggio di Monkey Punch, ma è adattissimo anche per storie fantascientifiche o storiche. Quali sono state le tue fonti di ispirazioni ad inizio carriera e come hai cercato di modificare il tuo stile nel corso degli anni?

All’inizio ero innamorato dei francesi e al loro stile mi ispiravo. Poi, con i lavori di Giorgio Cavazzano per la Disney e l’avvento dei primi cartoon giapponesi, è arrivato in Italia un tipo di disegno denso di dinamismo che non avevamo mai visto prima, con un tratto eccitante e movimentato.
Con l’avvento degli “anime” ho cercato di carpire qualcosa dalla loro animazione per applicarla al fumetto, visto che di cartaceo proveniente dal Giappone c’era ben poco. Ovviamente tutti questi autori e stili diversi li considero solo una fonte di ispirazione e ho sempre cercato capirne le tecniche e i segreti senza copiarli in maniera eccessiva. Ad esempio mi sono sempre rifiutato di fare personaggi con gli “occhioni” giappo, in quanto non trovo giusto copiare uno stile così definito e geograficamente collocato. Un conto è prendere spunto da vari stili, un altro è clonarne uno. Dal disegno giapponese va preso ben altro: il dinamismo delle figure e la scansione cinematografica delle storie, nonché l’interpretazione di ogni tavola come un’unica “entità” da gestire in modo graficamente armonioso, e non come una mera sequenza di vignette poste una di seguito all’altra… Tecnica peraltro già abbondantemente assimilata anche da autori americani come Frank Miller.

Quale tra i tuoi lavori è quello di cui sei più orgoglioso?

BeLee e Lupin per quanto riguarda i fumetti, e “Anime d’acciaio” per i libri extra fumetto.
Lancio comunque un appello a chi deciderà di comprare BeLee: non fermatevi al primo numero, ma pazientate fino ai prossimi. Il personaggio ha avuto un’evoluzione durata circa dieci anni, e già dalla seconda storia si comincia a definire meglio il personaggio ed il suo carattere umorale e dannatamente femminile. BeLee nel primo episodio è una spettatrice degli eventi, ma nei numeri successivi sarà l’assoluta protagonista… Per raccontare il personaggio era logico partire dal principio, perciò con l’editore abbiamo ripreso la cronologia originale.

Oltre che disegnatore e sceneggiatore, sei anche adattatore dei testi per molti manga della Star Comics e della Kappa Edizioni. Ci parli di questo lavoro, importantissimo ma sconosciuto ai più?

Come lavoro a me piace molto. Solitamente i traduttori dei manga sono giapponesi bilingue o italiani che non sempre hanno ben presente il problema di inserire il testo nei balloon e nelle tavole. Nei manga i balloon sono verticali, e adattare i testi per farceli stare è ancora più difficile del normale.
A me arriva il file della traduzione che spesso è grezza e piuttosto involuta, soprattutto considerando che la lingua giapponese tradotta letteralmente è molto ripetitiva (senza contare che tradurre una scrittura fatta di concetti ideografici porta a un ingombro maggiore nella versione italiana). Quindi mi arrivano ogni volta circa cento pagine in formato Word che devo tagliare e riscrivere in linguaggio parlato, in modo da farlo stare nei balloon facendo in modo di non stravolgere la storia e rendendo scorrevole la lettura, Un aspetto fondamentale di cui tenere conto è che nel fumetto si usa un linguaggio “parlato” e non “letterario”, nonché grammaticalmente corretto… Insomma, spesso è un lavoraccio! Oltre al testo mi arrivano delle tavole scansionate con balloon e rumori numerati in base alla traduzione, che mi servono per capire quanto spazio può occupare il testo.
Il mio lavoro viene poi girato all’adattatore grafico, che dovrà posizionare i testi da me adattati nella tavola finale destinata alla stampa.



Parliamo di “Anime d’acciaio”, di “Noi Robot” e della tua sconfinata collezione di robot legati agli anime degli anni '70-'80 e oltre. Come è nata l’idea di fare della tua passione un libro? Quella di “Anime d’acciaio” sarà l’ultima edizione o ce ne saranno altre in futuro?

La mia collezione è partita negli anni '70 ma continua tuttora, ed è arrivata a superare da un pezzo le sei migliaia di pezzi (per la “gioia” di mia moglie). È una vera droga dalla quale è praticamente impossibile disintossicarsi… I robot giapponesi sono dannatamente belli e affascinanti, soprattutto per uno come me che li colloca in un amore globale per il Giappone nel suo insieme: il Paese, la sua storia e letteratura, la sua gente e ovviamente i suoi “manga” e i suoi “anime”.
Il vecchio “Noi Robot” è stata un’idea della defunta Granata Press, arrivata quando l’interesse per il materiale cartaceo giapponese era all’apice. Per questo il libro è stato stampato in fretta; la Granata stava per chiudere e necessitava di fare ”magazzino”, e le imprecisioni contenute in quel vecchio libro ne sono la prova.
“Anime D’Acciaio”, invece, è stato un mio puntiglio, sapevo che al mondo del collezionismo serviva una guida il più completa possibile di questo fenomeno di merchandising: in Giappone, per fare un libro enciclopedico come il mio, devi impazzire nel chiedere mille permessi, mentre negli USA (Transformers e Robotech a parte), esiste poco altro. Quindi mi sono detto: “Perché non fare un’opera completa?”
All’inizio “Anime D’Acciaio” doveva essere un libro solo fotografico, poi Massimiliano De Giovanni mi chiese di arricchirlo con una parte di testo. Ci ho messo un po’ a capire come farlo, finché ho deciso di fare una parte introduttiva per poi approfondire i vari punti analizzando voce per voce in un glossario marche, linee di giocattoli, autori di animazione e fumetti collegati ai robot (ormai siamo quasi a 800 voci). Ho avuto inoltre la balzana idea di fare una check-list di tutti i robot-giocattolo prodotti dalle marche giapponesi dagli anni ’60 a oggi… che al momento da sola occuperebbe un libro intero. Perciò c’è da un pezzo l’idea di rieditare “Anime d’acciaio” in versione bilingue e con annesso CD-rom contenente la check-list, ma al momento non c’è una data precisa di uscita.

Che lavori hai in cantiere e quali sono i tuoi progetti futuri?

In cantiere ho, appunto, le nuove storie di BeLee e il nuovo “Anime d’Acciaio”. Inoltre sto sviluppando un ciclo di avventure per la rivista "PM - Piccolo Missionario" di Verona, ambientate tra coloni, cacciatori ed indiani nel ‘700 in Canada. Dovrò documentarmi molto visto che al momento non so nulla di quel periodo, e sarà molto interessante.
Ovviamente continuerò con il lavoro di illustratore e adattatore di testi… visto che mi serve per mangiare e pagare le bollette!

Tra le tue molte attività, figura anche quella di insegnante di fumetto e sceneggiatura. Che consigli dai a tutti quelli che si affacciano al mondo editoriale e dei fumetti da esordienti?

Prima di tutto non fidatevi di chi vi dice che “c’è crisi”. Io lavoro in questo campo dal 1986 e l’ho sempre sentito dire, ripetuto come un mantra. È innegabile che gli spazi per un autore italiano non sono molti, ma l’esordiente deve capire le sue possibilità ed essere conscio del proprio stile: questi sono due fattori essenziali per sapere a chi proporsi. Oggi, con internet, è diventato tutto più facile e ci si può proporre a centinaia di case editrici senza muoversi da casa, ma è indubbio che l’approccio “face to face” rimane il migliore.
Inoltre, soprattutto all’inizio, non disdegnate i lavori da puro illustratore o, apparentemente, meno appaganti dal punto di vista autoriale. Vi serviranno comunque per restare nel settore e fare esperienza, oltre che per tenere la mano allenata e per entrare nel mondo del lavoro.


Cris Tridello
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