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Cento anni di Corrierino: Luca Boschi

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Pare siano tutti concordi sul fatto che il Corriere dei Piccoli rappresenti la prima testata a fumetti italiana e incidentalmente la nascita del fumetto in Italia. Sei d’accordo anche tu?


In realtà si tratta di una convenzione, dovuta a meriti oggettivi della testata, come la sua popolarità e la sua longevità.

È possibile che l'impianto educativo e infantile che era alla base dei primi decenni di vita della testata abbia contribuito a diffondere il pregiudizio che in Italia il fumetto sia "roba per bambini"?

Forse sì, ma ha contribuito anche il Min Cul Pop, mettendo al bando la forma espressiva del fumetto durante il periodo fascista, con il conseguente conformismo degli educatori e degli intellettuali, particolarmente miopi nel nostro Paese. È da notare che gli eroi americani importati, presenti sin dal 1934 su "L'Avventuroso" edito da Nerbini, erano letti anche da un pubblico di adolescenti e di adulti. Lo sfortunato giornale "Robinson" (con Li'l Abner fra gli altri del cast) non era certo per lo stesso target del Signor Bonaventura.
I pregiudizi anti-balloons si sono rafforzati in seguito e sono rimasti anche nei primi anni della storia repubblicana, poi hanno subìto un nuovo rafforzamento sotto la gestione del "CdP" di Giovanni Mosca, durata fino all'inizio del 1961. La sferzata conservatrice antifumettistica del noto umorista aveva talmente ridotto il gradimento del settimanale da indurre la proprietà a rimuoverlo di fatto, sostituendolo con Guglielmo Zucconi, che cominciò a reintrodurre i fumetti in modo non traumatico, inserendo personaggi inglesi e franco-belgi (a cominciare da quelli di André Franquin e Raymond Macherot). Il direttore successivo, Carlo Triberti, perfezionò questo piano.

Anche autori come Pratt, la Nidasio e Jacovitti hanno legato il proprio nome al Corrierino. Al di là del primato, quali credi che siano i meriti storici e culturali della testata?

Appunto l'essere stato sempre presente, attraversando due guerre mondiali, nelle case dei bambini italiani, quando i divertimenti e i momenti per confrontarsi con figurazioni e fantasie altrui scarseggiavano. Ha avuto il merito di fare da palcoscenico per grandi Maestri della prima ora, a cominciare da Attilio Mussino e Antonio Rubino, proseguendo con Sergio Tofano e Giovanni Manca (oltre a tanti altri). Chissà se, in assenza delle occasioni fornite dal "CdP" questi maestri si sarebbero misurati con l'arte sequenziale. Oppure, chissà quando l'avrebbero fatto.
Oltre a questi meriti, negli anni del boom economico e in quelli dei primi fermenti contestatori, il "CdP" ha formato molti autori che poi sarebbero migrati sulle riviste d'autore (cosiddette) e nel contempo ne ha educato il pubblico. Faccio dei nomi: Dino Battaglia, Sergio Toppi, Dino Castelli, Bonvi, appunto i già citati Hugo Pratt e Jacovitti (che era già un Maestro assoluto quando approdò al "CdP" e al "Radiocorriere", con lo stesso accordo), senza dimenticare Attilio Micheluzzi, Milo Manara, Eric Siò...
A questa tua domanda, altri colleghi osservatori del mondo dei comics avrebbero dato una risposta diversa dalla mia, sottolineando il carattere educational del settimanale. Questo aspetto, però, a me interessa fino a un certo punto e, anzi, trovo che per certi cicli del "CdP" è stato quasi un peso e un ostacolo all'evoluzione stessa della testata, al di là delle illustrazioni anche splendide che impiegava per le rubriche e le schede didattiche.

Quali possono essere secondo te i passi falsi decisivi che hanno portato alla chiusura di quella storica testata?

Averla assegnata a direttori che non amavano i fumetti e che spesso non li leggevano nemmeno. L'errore fatto con la gestione Mosca si è ripetuto come una maledizione, e più volte, negli anni Ottanta. La gestione del "CdP" e quella del suo "gemello" "CdR" sono state deliranti, con picchi di assurdità quando Raffaele D'Argenzio voleva trasformare in un secondo "Intrepido" il settimanale per adolescenti dando vita al "Corrier Boy", o quando si scelse di mettere i fotogrammi dei cartoon giapponesi al posto di storie a fumetti, pensando di guadagnarsi i giovani teleutenti. E anche dando spazio ad autori e personaggi di scarsa presa. Il mercato offriva sicuramente uomini e serie più "azzeccate", ma nessuno è stato in gradi di intercettarli/e.


Marco Rizzo
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