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Roberto Recchioni

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1. DAVID & DYLAN

Da quello che era un Vertigo mescolato a serie tv e a un Bonelli, come John Doe, a David Murphy 911. Come vedi David Murphy?


L’idea all’incirca ha alla base lo stesso tipo di linguaggio. Ha fortissimi riferimenti ai serial americani, sia quelli recenti che quelli più datati. Io ho una fissa per la serie tv di Hulk, per il Fuggitivo, o Il prigioniero. L’idea più o meno è la stessa… ma questo fumetto lo abbiamo pensato in THX, come se fosse una produzione di Jerry Bruckheimer. In realtà da una parte ne sono contentissimo, dall’altra vorrei che fosse l’ultima cosa fatta con questo stile. Ultimamente ho fatto una serie di ragionamenti su ciò che impoverisce e ciò che arricchisce il fumetto. Ho una stima enorme per il lavoro di Giancarlo Berardi con Ken Parker, perché a quell’epoca fu un linguaggio di rottura. Però impoverì il linguaggio del fumetto aderendo agli schemi cinematografici. Finché lo faceva solo Berardi andava bene, quando hanno cominciato a usarli tutti (compreso io) è diventato un metodo che non usa tutta una serie di cose che il fumetto ha e dovrebbe potenziare. Una cosa che stimo enormemente di Tiziano Sclavi è il non essersi mai posto problemi nel modo in cui faceva fumetti: utilizzava quello che gli era utile per arrivare a un risultato funzionale, didascalie comprese. Anche su Julia Berardi prende le meccaniche di una certa narrazione televisiva e cinematografica usandole in maniera correttissima. A me piacerebbe tornare a utilizzare un po’ di più il medium fumetto. Mi piace molto come è venuto David Murphy, ma vorrei andare avanti rispetto a quanto fatto adesso.

Allora su Dylan Dog ne approfitterai per un approccio alla sceneggiatura più classico?

Dipende. Sto terminando il mio quarto Dylan Dog, che scrivo da solo mentre il quinto lo scriverò a due mani (e non posso dirti con chi!). Ma con Dylan è un discorso a parte. La prima mia storia è in uscita a dicembre, ed è lì che prendo le misure del personaggio. Mi sono guardato le mie storie preferite e ho cercato di restare su quella linea. Anche perché alcuni dei tanti aspetti di Dylan li conosco bene, altri credo siano troppo lontani da me e quindi non li affronterò mai. Il secondo è una storia molto a sé, la cosa più personale, sentita e profonda che ho mai scritto: una sofferenza dalla prima all’ultima pagina. È “Mater morbi” con Massimo Carnevale, e non voglio tornare su quelle tematiche. Il terzo è più convenzionale, nella misura in cui può esserlo Dyd, che se scritto bene non lo è per niente.
La gabbia la utilizzo come su John Doe, con parecchie vignette a fascia, parecchie aperture, un numero di vignette inferiore al solito e un ritmo più elevato. Una cosa che adoravo di Sclavi è che il ritmo dei primi numeri era molto più veloce di quello dei Bonelli attuali. Vorrei che in una sola sessione di lettura il lettore inizi l’albo e lo finisca… a volte sento i lettori di fumetti Bonelli dire “ne ho letto metà”, ma non ho mai sentito di qualcuno che vede “un film a metà”.

Tornando all’esempio di Berardi, ammetto che l’ho sempre trovato affascinante e utile, e anche io l’ho usato spesso e volentieri. Ma è anche vero che quando si abusa di un approccio simile diventa una banalità.


È vero, diventa lezioso. Gianfranco Manfredi, ad esempio, mi piace perché affronta il racconto con un suo stile. Ogni tanto non condivido quello stile, ad esempio su come fa gli stacchi, ma è chiaramente una struttura che prova a presentare qualcosa di diverso dalla semplice narrazione cinematografica. Lui si rifà molto più alla narrazione romanzesca. Le vignette non dovrebbero essere uno schermo cinematografico sul quale proiettare le immagini, ma dovrebbero fare parte di un contesto più globale che è la tavola. Io non sono un maniaco di Will Eisner, ma in questo Eisner ha dato la lezione suprema su quello che è la composizione della tavola in termini relativi come un unicum.

Forse in Italia non abbiamo assimilato quella composizione perché legati per tradizione, o per ignoranza, o per voglia a quella griglia classica che raramente permette di essere modificata.

Però se pensi a Gianni De Luca vedi che sono stati già fatti esperimenti in Italia nell’ambito. È chiaro che sono più difficili, perché devi spiegare al lettore un linguaggio, e il lettore non c’è più abituato.

Ma perché le ispirazioni di De Luca, pur uscendo fuori dalle pagine del Giornalino o altre riviste per ragazzi, non sono mai apparse sui Bonelli?

Il discorso è semplice: con Bonelli facciamo un fumetto ultra popolare, che deve essere capito da tutti. Il che porta una semplificazione e un appiattimento del linguaggio, ok, ci può stare. E può darsi che vengano fatti dei compromessi. De Luca negli adattamenti di Shakespeare era estremo nel linguaggio, ma la sua fortuna era che si rivolgeva a un pubblico talmente giovane,che non aveva ancora un meccanismo codificato. Oggi un lettore Bonelli medio faticherebbe a capire certe soluzioni, che non possono essere portate di peso in quell’ambito. Però non eliminiamo pure gli strumenti che già abbiamo e che non sono stati eliminati: la didascalia, ad esempio. È chiaro che puoi utilizzarla in maniera brutta e, appunto, didascalica, o puoi trovare un sistema per usarla in maniera interessante.

2. LA LEGGE DI DAVID MURPHY

Torniamo a David Murphy. Cosa è rimasto di quello che era il tuo progetto iniziale? Ad esempio, il nome: sapevi già che avrebbe avuto questo cognome perché già immaginavi cosa sarebbe accaduto al personaggio?


L’unica cosa certa era che si sarebbe chiamato Murphy, David mi suonava semplicemente bene. Abbiamo litigato un po’ su come si sarebbe dovuta chiamare la testata, che all’origine doveva essere solo 911, poi si è deciso per David Murphy 911. Di solito puoi ritenerti fortunato se un progetto somiglia PER il 70% all’idea che avevi. Nel caso di David, se va male posso dire che è colpa mia perché assomiglia quasi al 100% all’idea che avevo in origine. Volevo fare un ragionamento su un certo tipo di eroismo e rispondere a una domanda che da anni mi angustia, cioè: perché capitano tutte a Bruce Willis o alla signora in giallo? Personaggi che, ovunque vadano, per caso vengono coinvolti in situazioni assurde. Avevo trovato un escamotage che mi piaceva, e fortunatamente abbiamo trovato un disegnatore, Matteo Cremona, che era in grado di rendere esattamente quello che volevamo. Matteo è fondamentale per questo progetto, e numero dopo numero ha preso sempre più confidenza con il personaggio rendendolo sempre più simpatico.
È un vero problema, quando tratti di eroi, renderli simpatici. Con John Doe il problema non c’era, doveva essere odioso, e lo è. Ma quando deve essere positivo, deve piacere al lettore. E io sono una capra con i personaggi simpatici, Garrett penso sia stato uno dei protagonisti più odiosi che abbia mai scritto, e non era mia intenzione renderlo così negativo.

A tale proposito, nella serie ci sono dei momenti quasi comici, sia nei dialoghi, con delle battute degne dell’Uomo Ragno, che nelle situazioni paradossali. Ti aspettavi che si sarebbe arrivati a scene del genere o volevi all’inizio dare un’impronta più seriosa e il personaggio ti è sfuggito di mano, come talvolta accade?


No, anzi, la serie è pensata per essere in linea con la tradizione degli action movie americani. Quindi estrema violenza stemperata dalla battutaccia che ti dice “È tutto uno scherzo, stiamo giocando”. Quello che non mi aspettavo sono state invece un paio di scene drammatiche che già escono fuori nel numero due, dove c’è una sequenza piuttosto forte, che non pensavo di inserire e pensavo non mi avrebbero fatto inserire. Invece sono passate lisce. La Panini forse si aspettava un tono più drammatico, più vicino alle atmosfere di “24”, quando invece da quella serie ho tratto solo l’idea di azione costante.

E come ti sei trovato con quel tono drammatico?

Secondo me serve. Il tipo di serie e le tematiche che vengono trattate sono grossi disastri e non mi sembrava giusto nei confronti di quelle vittime che abbiamo tutti i giorni trattarli come danni collaterali. La gente muore in questi casi, è un dato di fatto, scherzarci sopra va bene entro certo limiti. Utilizzarla narrativamente mi piace, sono sempre contrario al fatto che quando si parla di cose serie bisogna andare per forza sul sociale e sull’impegnato. Spesso si può parlare di cose serie anche per puri fini narrativi. Ma volevo ricordare che la gente in queste situazioni muore, soffre, si fa male! E quella scena è anche importante ai fini della serie. Anche nel terzo numero ci sarà una scena altrettanto sentita e ci saranno dei momenti che ti ricordano le vittime.

Cosa puoi dirci del cast di contorno?

In ogni numero David verrà aiutato da qualcuno. Si creerà attorno a lui una rete di persone disponibili ad aiutarlo. L’idea che volevo trasmettere è che l’eroismo non è quello del singolo, che non fa la differenza. Come Superman, dovrebbe dare l’ispirazione agli altri per fare la differenza. Invece di essere apatici bisogna fare qualcosa per cambiare gli eventi.

I comprimari che lo accompagnano nel corso delle avventure cambieranno in ogni numero?

Sì, in tutti e quattro i numeri. Nel quarto ci saranno due personaggi che mi piacciono molto, America e Jerry, un’indiana americana e il suo fidanzato, una sorte di Knoxville di Jackass. A poco a poco si creerà questa rete che lo sosterrà, come un “club di superamici”. È un’idea che mi ha dato Franz Meo [che è stato l’editor del progetto, ndr] e che ho preso al volo.

A proposito del lavoro redazionale, dopo il numero 0 allegato al vendutissimo Rat-Man, quale sarà la prossima iniziativa promozionale?

A Lucca faremo un concorso. Regaleremo due giacconi di David Murphy. Tra sabato e domenica chi acquisterà l’albo riceverà un numero, che poi verrà estratto. Un premio verrà dato sabato e l’altro domenica.

Simpatico. Con tutta la roba che esce a Lucca serve un modo per spiccare.

Vero. Anche se secondo me questa sarà l’ultima Lucca dei frizzi e lazzi, e il prossimo anno saremo in piena austerity.
Noi abbiamo un mercato diverso da quello americano. In USA più c’è recessione più vendono i fumetti. Pensa all’esplosione dell’Image nei primi anni ’90. Gli americani hanno l’idea che devono comunque intrattenersi, quindi passano a una forma di intrattenimento che costa di meno. Invece da noi l’intrattenimento è la prima cosa che salta. Come nel ’94, quando restò solo la Bonelli.

Quindi possiamo dire, se David Murphy dovesse andare male, che è stata colpa della deregulation di Bush?

Eh, ma noi costiamo poco. Tutto quello che costa poco può resistere, quello che sta sopra i dieci euro avrà un ridimensionamento serio. Ho questa impressione.

E dopo il debutto? Come si farà notare David Murphy tra la marea di proposte sugli scaffali di edicole e fumetterie?

Guarda, in edicola il mercato dice che un bonellide non vende mai meno di 10 mila copie e mai più di 30 mila. Se andasse in chiave positiva, ad esempio come è andato il primo numero di Nemrod (che pure si è ridimensionato in seguito), sarebbe un successone. Io poi sono convinto che chi compra il primo numero comprerà anche gli altri tre, perché sono solo 4 albi. La dispersione dei lettori credo sarà minima.

La scelta di una miniserie è quindi una questione di marketing?

La scelta è stata voluta dal marketing Panini, che ha apprezzato l’opera e che poi, vedendo che sarebbe stata di solo 4 numeri, ha deciso che ci sarebbe stato un solo disegnatore. Così la coesione è fortissima, e in effetti serie con disegnatori dal tratto simile o dello stesso autore rendono meglio, guarda Dago.

Tu avevi proposto una serie regolare?

No, una mini di sei.

Hai parlato di elementi drammatici, io ho percepito anche un po’ di satira e di denuncia. Questi elementi aumenteranno di peso, vero?

Ce n’è tanta e ce ne sarà ancora di più. Per me siamo in un momento sociale importantissimo. Lo sappiamo tutti che è un momento storico cruciale per il futuro.
Se vedi la buona scrittura televisiva attuale sono poche quelle serie che non raccontano qualcosa di reale e fanno solo intrattenimento per intrattenimento. “24” dice cose sull’amministrazione americana pesantissime, in una serie apparentemente patriottica.
Quando ho iniziato a scrivere David Murphy ero alla ricerca di un cattivo e mi è capitato tra le mani il libro di Naomi Klein, "Shock Economy". Sono loro i cattivi! Gente che all’indomani di Kathrina dice: “Bene, Dio ci ha mandato la possibilità di rimettere a posto New Orleans”. Ma neanche i cattivi da film!

Non ti lasci sfuggire nemmeno un accenno all’11 settembre, solitamente un tabù anche in Italia nonostante siano passati anni, ormai.

Beh, metà della gente è convinta che le Torri Gemelle le abbiano buttate giù gli americani stessi. Io non sono convinto dell’idea del puro complotto, ma è palese che da quella data in poi gli USA si sono potuti permettere di fare quello che cazzo gli pareva in giro per il mondo. Che quel complotto sia vero o no, è l’elemento scatenante che ha cambiato il mondo e ignorarlo è un’assurdità. Ho sempre trovato assurdo che ci sia chi “fa finta di niente”.

A proposito di catastrofi, ci sarà un crescendo continuo? Ma non c’è un rischio Willi E. Coyote?

Sì, rilanceremo in ogni numero. E più che un rischio era quello che volevo. Mi piace l’idea di aumentare sempre. Uno degli elementi di "Die Hard" che mi hanno sempre divertito era che all’inizio al centro di tutto c’era un palazzo, poi un aeroporto, poi una città… e alla fine gli interi Stati uniti. È divertente e su una mini di quattro numeri rischi relativamente poco. C’è un’escalation fino al tre e poi un confronto con i cattivi, che in termini di spettacolarità è un po’ minore, però ha parecchi elementi anche pesanti sul livello politico. Se ci sarà un quinto numero, posso dirti che il seguito si chiamerà “Guantana”.

Cosa puoi dirci di un seguito, se la miniserie andasse bene?

Se andasse bene bisognerebbe creare una struttura capace di seguire degli autori, Matteo non potrà certo disegnare tutti i numeri. Io spero ovviamente che vada bene, penso che per parlare di successo basterà assestarsi sulle 20 mila copie. Se così fosse, dovremmo ragionare molto rapidamente per decidere se e come andare avanti: la mia idea è quella di produrre 8 numeri all’anno, per archi di miniserie. Ogni mini una stagione, insomma.

La Panini periodicamente fa tentativi in questo senso. Rat-Man a parte, non è mai andata poi così bene, mi pare.

Con Arkhain erano acerbi come idea di fondo produttiva. Qui mi sembra abbiano già acquistato competenza. Del resto hanno assunto me non solo per le qualità di sceneggiatore, ma anche per quello che viene definito il know how produttivo. Dopotutto ho in edicola una serie da sessanta e passa numeri, e un’altra arrivata a 24 numeri.

Tornando alla struttura, come giocherai con i flashback? Saranno un elemento caratterizzante?

Nel primo numero li ho usati per catapultare il lettore direttamente nell’azione e poi tornare indietro a raccontare come ci eravamo arrivati, non volevo un preambolo lungo. Nel secondo numero torno a utilizzarlo ma un po’ di meno; il terzo numero ha un’entrata all’inizio, un grosso sviluppo centrale in flashback e un ritorno al presente. Il quarto numero è tutto in tempo diretto, anche perché i lettori che hanno seguito i primi tre ormai hanno tutte le informazioni necessarie e sopporteranno un po’ di pagine iniziali più tranquille… perché fino al terzo ho fatto esplodere il mondo.

Te lo chiedo perché pensavo che un’altra similitudine con i telefilm più moderni, come Lost o Heroes, poteva essere la scelta dei flashback.

Sì, assolutamente. Ma anche su Lost si sono trovati a utilizzare quello schema perché dovevano raccontare delle cose sul passato dei personaggi e allo stesso tempo quello che succedeva sull’isola. Ma poi si sono dovuti fermare per raccontare un insieme. Insomma, così ti è permesso di mantenere alta l’attenzione, è un meccanismo che funziona abbastanza bene, ma non alla stretta finale dove ti serve un crescendo.
Tra l’altro abbiamo pensato alla possibilità di un volume unico per tutta la storia, e ci serviva uno strappo non troppo brutale tra i primi tre e l’ultimo, quindi abbiamo scelto questa strada.

A chi potrebbe piacere David Murphy?

I miei lettori di John Doe lo adoreranno. Ha molti elementi in comune, un certo umorismo in comune. Io vorrei che piacesse a qualche lettore non abituale di JD, con cui il rapporto è talmente complice ormai che se faccio una battuta rideranno quasi sempre… a meno che non scriva una cagata.

Pensi che ci si possa avvicinare più il lettore di altre testate Panini, come Conan o l’Uomo Ragno, piuttosto che il lettore di Dylan Dog o Tex?

Guarda, io non riesco a ragionare senza tenere conto del fattore produttivo… il che non mi renderà mai un artista. Ma io ho cercato di fare un prodotto trasversale. Il lettore di John Doe si sentirà a casa. Il lettore di supereroi troverà un tipo di narrazione che somiglia molto a quella degli Ultimates, ad esempio, e le copertine di Gabriele Dell’Otto. La speranza è che se dovesse capitare tra le mani di un lettore di Tex, non venga lanciato dal balcone. La vedo molto difficile. Però ci provo, l’eroe per molti versi è tradizionale, senza macchia. Speriamo che il linguaggio, che è molto diverso da quello tradizionale Bonelli, non spaventi e che la tematica funzioni. Io spero che il prodotto arrivi a tante nicchie… è chiaro che quella dei manga non la coglierei mai.

3. CARO VECCHIO JOHN DOE

Due parole su John Doe. Nella prossima stagione vedremo disegnatori un po’ fuori dagli schemi: Massimo Dall’Oglio, Claudio Stassi, Andrea Gadaldi e altri ancora. Da cosa deriva questa scelta? Ci sono dei motivi narrativi?


La quarta stagione è molto più surreale rispetto alle precedenti. Mi servivano disegnatori meno legati al realismo ma che potevano andare un po’ sopra le righe. Poi, io ho una passione per un certo tipo di disegno. Se dovessi identificare i miei disegnatori preferiti, per come mi batte il cuore, non per professionalità (dato che sono tutti bravi professionisti), mi scaldo per Andrea Accardi, Maurizio Rosenzweig, Giorgio Pontrelli. Sono disegnatori che fanno del disegno un elemento di sintesi. Non sono quel tipo di disegnatore che disegna solo il reale, a cui chiedo poi di darmi di più. Prendi Goran Parlov: lui invece, pur essendo completamente realistico, è anche completamente di stile. Per me sono quelli i veri disegnatori di fumetti. Il mio preferito in assoluto resta sempre Jordi Bernet, perfetta sintesi tra il reale e un filtro del mondo. In questa stagione, metto solo i disegnatori che mi piacciono intimamente.

Dobbiamo aspettarci allora storie più surreali come quelle già disegnate (o scritte) da Rosenzweig e Accardi?

Sì, è proprio il contesto che sarà assurdo. Le prime tre stagioni tutto sommato sono rimaste connesse, nella quarta c’è un inizio completamente nuovo, la serie si potrebbe chiamare quasi in un’altra maniera.

4. ROBERTO RECCHIONI, BLOGGER

Passiamo ad altro. Sei sempre stato uno degli autori più attivi su internet. Cosa ne pensi dei fumetti per il web? Proprio questa settimana la Marvel ha annunciato diversi nuovi titoli inediti per il proprio sito.


È un discorso su cui riflettevo proprio di questi tempi. A proposito di Lucca, ci saranno titoli che potranno aspirare al massimo a, chissà, 2000 copie? 1500 copie?

Beh, in fumetteria 1500 copie è un successone, oggi come oggi.

Io sono dell’idea che se fai una cosa devi cercare di raggiungere il più vasto pubblico possibile. Ora, con 1500 copie, come guadagni, di certo non puoi permetterti di camparci fino alle altre 1500 vendute un anno dopo, alla Lucca successiva. Il mio blog fa 1700 contatti unici al giorno. Vuol dire che pubblicando un fumetto sul mio blog otterrei più lettori di quanti ne farei con una produzione di quel tipo per Lucca. Se il meccanismo è solo quello di pubblicare roba per farla vedere agli altri, il blog è perfetto. In più ci stanno le soluzioni che ci arrivano dal Giappone: stanno iniziando a vendere i fumetti su cellulari, iPhone e simili. Il sistema del “Touch” è il primo supporto hardware che secondo me rende accettabile la fruizione di un fumetto su qualcosa che non sia la carta, perché comunque mantiene un’estrema gestualità. Io ci sto pensando, e nel prossimo periodo credo che manderemo qualche mio fumetto sull’Apple Store. Sto cercando un sistema per visualizzarli nella maniera più carina possibile. L’unico che mi piace come pubblica sul web è Canemucca, con quella jpeg enorme che scorre. Le altre soluzioni finora non mi convincono molto, né gli Zuda Comicsi fumetti on-line della Marvel.

Ma potrebbe essere una soluzione fattibile?

Potrebbe. Sul mio cellulare porto sempre le tavole delle cose su cui sto lavorando, se mi capita di doverle fare vedere in giro. E la risoluzione non è male. Non siamo ancora all’optimum, servirebbe un hardware più grande, con un formato più vicino al comic book americano. Però secondo me ci arriveremo, anche perché se la Asus riesce a tirare fuori questi computer touch da 100-200 euro grandi come un tascabile Mondadori, forse si potrebbe creare una nicchia. Chiaro che è un mercato tutto da vedere.

Torniamo a Lucca Comics, visto che questo speciale esce a ridosso della manifestazione. Cosa ti aspetti da questa edizione, da autore che ne ha visitate tante?


Da esterno, per me questa rischia di essere l’ultima grande orgia. Secondo me dall’anno prossimo sarà diversa, perché sarà cambiato lo scenario editoriale italiano. Siamo alle soglie di un grosso cambiamento, in positivo e in negativo. Credo che questa sarà l’ultima Lucca dei deliri, in cui tutte le case editrici presentano 20 novità di cui il 70% supera i 10 euro, una Lucca che andrà oltre il punto di massa critica. C’è troppa, troppa proposta. Io stesso, che sono facilitato perché molti fumetti me li regalano, non compro più tutto a una fiera perché c’è troppa roba. So per certo le cose che prenderò, già adesso, e so per certo cosa escluderò. Sono sicuro che prenderò il nuovo libro di Gipi e la nuova raccolta di Don Zauker di Daniele Caluri ed Emiliano Pagani.
Per quello che riguarda David Murphy, è un prodotto che costa molto poco, che ha avuto grande hype tra il pubblico delle ferie, che in larga parte è fatto dalla gente che va in giro su internet. Abbiamo una copertina che spingerà tanti lettori curiosi a comprarla. Sono ragionevolmente certo che almeno in fiera David Murphy andrà bene.

Ringraziamo Roberto per la lunga e ricca chiacchierata e gli auguriamo un grosso in bocca al lupo per la sua nuova creatura.


Marco Rizzo
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