Menu

Intervista a Peter Ramirez

Per tornare alla news, clicca qui.

Come hai iniziato la tua carriera?

Ho cominciato disegnando come freelance vignette e illustrazioni per molte piccole compagnie ed agenzie.

Chi è il vignettista che ti ha più influenzato?

Ovviamente il decano di tutti i cartoonist, Charles Schultz, ma i miei mentori sono stati Bill & Bunny Hoest, i creatori della striscia sindacata The Lockhorns, sotto i quali ho fatto pratica per parecchi anni.

Quali i sono i tuoi personaggi preferiti della tua striscia e perché?

PJ e il nonno Antonio (o ‘Buelo) perché rappresentano i due estremi dell’età umana ma i loro atteggiamenti sono così simili – “faccio quel che voglio!”

Tra il lavoro di agente di polizia e quello di cartoonist quale preferisci?

Non fraintendetemi, ero e sono ancora orgoglioso dei miei anni impiegati come agente a New York City, ma per me nulla batte la potenza di una risata. È così gratificante quando qualcuno ride o sorride per merito del mio lavoro.

Come descriveresti il tuo stile? Crei le strisce giornalmente?

Sono della vecchia scuola. Ho studiato le tecniche di alcuni dei migliori vignettisti e ho scoperto che lo humor è più importante che disegnare qualcosa realisticamente. Sì, creo nuove strips ogni giorno.

Preferisci lavorare di giorno o di notte?

Preferisco disegnare durante il giorno e al pomeriggio, ma preferisco scrivere le battute di notte quando posso rilassarmi e liberare la mente.

La cultura ispanica è molto presente nelle tue strips. È così anche nella tua vita privata?

Sì, è come se, attraverso le mie strisce, potessi riconnettermi con la mia cultura. Mentre crescevo, mia madre mi spingeva a imparare l’inglese, perché sapeva che, se avessi voluto sfondare nel mondo, quella era una cosa che mi sarebbe servita. Così ho un po’ trascurato la mia cultura di origine, ma da grande ho capito la sua importanza, specialmente dal momento in cui era il mio turno di passarla a mio figlio. È molto difficile tramandare una cultura perchè credo che venga “diluita” o influenzata dalle situazioni della cultura nella quale cresci.

Hector è un personaggio autobiografico. Come sei arrivato, invece, agli altri personaggi?

È molto facile rispondere... ho usato la mia famiglia come modello... Sono tutti molto divertenti.

So che hai scelto il nome Hector in memoria di un tuo amico nella polizia, una cosa molto toccante. Cosa ci puoi dire di lui?

Hector Fontanez era un gigante gentile e un gran poliziotto. Hector era di origini dominicane mentre io sono di origini portoricane, e quando si parla del mondo latino c’è la credenza sbagliata che le diverse culture latine si disprezzino fra loro. Non c’era ostilità tra me e Hector. In realtà ci scherzavamo sempre sopra e lo facevamo ad alta voce, per far capire a tutte le malelingue che si sbagliavano. Se Hector era di pattuglia e io avevo bisogno di aiuto, sapevo che lui e il suo compagno sarebbero arrivati subito. Era un gran lavoratore, coscienzioso e scrupoloso. Era impegnato a fare il suo dovere quando fu ucciso... Ti ringrazio per avermi chiesto di lui... Mi ha dato l’occasione di pensare a lui e alla nostra amicizia ancora una volta.



Carlo Coratelli
Torna in alto