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Intervista a Lorenzo Bartoli e Roberto Recchioni



Intervista a Lorenzo Bartoli e Roberto Recchioni: John Doe - Terza Stagione

A cura di Giulio Capriglione, Stefano Perullo.

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Roberto, tempo fa dicesti che con la fine della terza stagione tu avresti lasciato John Doe. Sei ancora di questa idea? In tal caso, John Doe sopravviverà all'abbandono del suo co-creatore o finirà la sua corsa?

Rrobe:
Sono dell'idea che, quando avrò finito quanto avevo da dire sul personaggio di John Doe, smetterò di scriverlo. Non sono sicuro se questo significherà che l'Eura deciderà di rispettare la mia decisione (e quella di Lorenzo) ma lo spero. Anche perché, per come ho in mente di concludere le vicende di JD, non saprei proprio come sarebbe possibile andare avanti.

Tempo fa, nell'ormai defunto "Dojo di Rrobe", facesti delle riflessioni interessanti sul fatto che, mentre la prima stagione di JD è assimilabile al fumetto mainstream italiano, e la seconda a certo fumetto super-eroistico USA, la terza sarebbe stata qualcosa di più aderente al manga. Quali aspetti dei fumetti nipponici troveremo nella terza stagione?

Rrobe: La prima stagione era una sorta di rilettura di certi stilemi bonelliani (se andate a guardare, tutta la prima stagione è una lunga riflessione sul mito).
La seconda è stata scritta come se fosse una unica storia corale, con tanti personaggi e un protagonista che non è sempre al centro della scena. Per molti versi assomiglia più agli X-Men che a una serie bonellide.
La terza stagione vuole mediare tra gli approcci delle prime due stagioni e nel contempo provare qualcosa di nuovo. Vogliamo che "la storia" di ogni singolo episodio torni ad essere importante rispetto alla "Storia" di tutta la saga. Nel fare questo ci siamo trovati a scrivere una vicenda che, per molti versi, ricorda alcune opere giapponesi... in special modo quelle che maggiormente hanno influenzato la mia generazione. Purtroppo, se vi dicessi quali finirei anche per rivelare alcuni elementi narrativi della terza stagione che non voglio che vengano rivelati. Magari ne riparliamo poi.

Sempre nel dojo dichiarasti di avere avuto un'idea per una quarta stagione, e che all'Eura si pensava di realizzare, magari, una terza e una quarta stagione più brevi, in modo da concludere in ogni caso la serie con 75 numeri. Che decisione avete infine preso?

Rrobe: Allo stato attuale, l'idea è di strutturare tutto in quattro stagioni e di chiudere in bellezza con il numero 99.
Adoro l'idea di lasciare un senso di incompiuto, evitando di dare un numero 100 ai lettori.
È come se dicessimo: è finita... ma c'è ancora una ultima storia che, un giorno o l'altro, potremmo raccontare.
Mi piacerebbe che i nostri lettori rimanessero soddisfatti e con la voglia di leggerne ancora... e non sfiniti e contenti perché la serie abbia finalmente chiuso.

Lorenzo: John andrà ben oltre il 75, ma sarà comunque una serie a termine. Sia io che Roberto preferiamo chiudere un personaggio e vararne degli altri, piuttosto che portarlo avanti in maniera stiracchiata per un numero infinito di uscite. Le idee, comunque, ci sono, e garantiscono a John almeno altri 4 anni di vita editoriale, a meno di un crollo verticale dell’affetto del pubblico nei suoi confronti.

Perché cambiare periodicamente l'ambientazione e le tematiche della serie? Volontà di sbalordire il lettore o consapevolezza che le idee su cui si poggiano i singoli cicli narrativi non potrebbero essere sfruttate per un periodo di tempo troppo lungo?

Rrobe: Tutte e due le cose ma non solo.
John Doe non ha mai fatto mistero del fatto che ha bisogno di "fare rumore" per continuare ad esistere.
È un concetto che esiste a più livelli nella serie... sia come tematica narrativa sia come ragione commerciale.
Il cambiamento, il rinnovamento, l'imprevedibilità, tengono desto il pubblico e lo incollano alla serie. Certo... c'è sempre il rischio di far incazzare qualche lettore e perderlo per strada... ma capita pure che qualcuno, curioso, salga a bordo in corsa.
Il punto principale è che scriviamo con la volontà di divertirci noi per primi e per fare questo abbiamo la necessità di raccontare una storia che sia qualcosa di più che la semplice reiterazione delle stesse tematiche.
Io e Lorenzo siamo cresciuto a pane e fumetto americano... il che significa che abbiamo una passione per la continuità narrativa ma pure un profondo odio per i cambiamenti che poi, alla fine, lasciano tutto uguale a prima (cosa che nei comics di supereroi è quasi una regola). Con John Doe volevamo andare oltre al concetto americano di continuty e presentare un personaggio davvero in evoluzione.

Lorenzo: La ciclicità da telefilm americano (ogni Stagione ha 24 episodi, poi si cambiano un po’ le carte in tavola) l’abbiamo sbandierata sin dalla prima uscita di John Doe. Col passare del tempo, abbiamo imparato a pensare in ventiquattresimi, visto che due anni sono un tempo abbastanza lungo per sviscerare una tematica narrativa, per tirare i fili delle sottotrame e per creare qualcosa di nuovo. Insomma: giochiamo con regole chiare, che ci consentono di far cambiare l’aria all’intera serie senza tradire le aspettative di nessuno. Anzi: Bartoli & Recchioni sono quelli che stupiscono, che spiccano per originalità. Questo è ciò che pensa il pubblico, questo è il vestito che abbiamo indosso. Ci piacerebbe saper creare eroi d’acciaio, immarcescibili e archetipici. E invece, sappiamo creare soltanto personaggi pieni di dubbi.

Lorenzo Bartoli, da un paio di anni hai rarefatto il tuo contributo sul mensile di John Doe a favore di un impegno settimanale sulle vicende della Trapassati Inc. Ora che Roberto sembra il burattinaio che tesse i fili della serie regolare, non senti un po' meno tuo John?

Lorenzo: No. Concertiamo insieme le storyline e scrivo dei numeri dove sono completamente libero da continuity. E poi anche Trapassati è John Doe, e mi permette di alleggerire i toni e di divertirmi con le corde più umoristiche della mia scrittura.


Andrea Cassola
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