Da pochi giorni è disponibile in libreria il settimo volume di The Goon dal titolo Quel luogo di pena e tristezza; è quindi giunto il momento di proporvi la lunghissima intervista che abbiamo fatto all'autore Eric Powell lo scorso 20 marzo, quando fu ospite nel Panini Store di Bologna.
In quell'occasione l'autore presentava il volume The Goon in Chinatown e il mistero di Mister Vimini e, oltre a noi e ai lettori accorsi appositamente, c'erano anche il direttore editoriale Panini Marco Marcello Lupoi, la publishing manager Sara Mattioli, nonchè l'editor italiano dei volumi (e traduttore) di The Goon, Diego Malara.
Un estratto dell'intervista può essere letto anche nell'Anteprima di questo mese; oltre alla chiaccherata fatta con Powell vi consigliamo di leggere l'articolo che riassume la vita editoriale e la serie dall'inizio fino al volume attualmente in libreria (e oltre).
Buona lettura!
The Goon: dalla nascita a oggi (film compreso)
Ciao Eric,
iniziamo l’intervista parlando del volume che stai presentando in questo periodo: The Goon in Chinatown e il mistero di Mister Vimini. Se si paragona agli altri numeri della serie di The Goon, si notano da subito delle differenze nei toni e nello stile. È stato pensato come un graphic novel serio fin dall’inizio, giusto?
Sì. Nei primissimi libri di The Goon c’era tantissimo umorismo, ma ho pensato che farlo nello stesso modo sarebbe stato come prendere in giro tutti. Nessuno l’avrebbe preso sul serio così ho chiesto di avere l’opportunità di ottenere qualcosa di grande impatto emotivo ed ecco perché abbiamo deciso di farlo come un grande graphic novel.
Chinatown è un vero è proprio noir: l’umorismo è assente, gli avvenimenti sono drammatici come non mai e c’è la dark lady, Isabella, la prima e unica ragazza di cui Goon si è innamorato. Lei è la seconda donna nel cuore di Goon dopo la zia Kizzie, e in questo volume scopriamo anche come il picchiatore si è procurato la cicatrice che gli segna il volto. Quali sono le parti della storia di Goon che non hai ancora raccontato ai lettori?
Beh, in U.S.A. siamo molti numeri avanti rispetto a qui in Italia; in quelli attuali sto iniziando un lungo arco narrativo che è una sorta di fase successiva della serie. Spero che il pubblico italiano possa leggere gli altri volumi in fretta…
Se non sbaglio, in America siamo fermi da un po’ a The Goon #43
Sì, ma stavo cercando di ricordare il numero del volume di cui ti voglio parlare.. c’è un grande arco narrativo che penso per voi inizierà presto. Ah sì, nei prossimi tre volumi che leggerete (ovvero il settimo, l'ottavo e il nono. ndr) tirerò le fila del materiale che avete visto fino a oggi e ci saranno molte rivelazioni e molti momenti emozionanti. Come ho detto al momento sto lavorando alla prossima grande storia, quella che probabilmente finirà con il numero cinquanta. Ci sono grandi storie in arrivo e sarà eccitante sia per me che per i lettori.
Parlando della creazione della serie di The Goon, hai iniziato a lavorare nell’industria dei comics verso il 1995…
Sì, più o meno in quel periodo.
All’inizio non eri molto contento di come stava andando con le varie case editrici, quindi hai deciso di creare la tua serie…
Beh, è stato una combinazione di non essere felice di come stava andando e del fatto che il lavoro cominciava a calare. Nessuno mi ne dava quindi dovevo trovare il modo di cavarmela da solo. Ho “osato” fare la mia serie e, fortunatamente, ho avuto fortuna ed è andata bene.
Perché The Goon? Una storia che unisce i gangster all’horror, la fantascienza anni ’50, zombie e rozzi contadini degli stati uniti meridionali. Come ti è venuto in mente?
Beh (ride. ndr) ho letteralmente preso tutto quello che amavo e mi piaceva, l’ho messo insieme unendo un gruppo di personaggi che mi sarebbe piaciuto disegnare alla volontà di fare un buon lavoro. Questa è la semplice risposta: ho solo iniziato con quello che mi piaceva e l’ho messo insieme.
Fin dall’inizio tutto sembrava già definito: c’era il Circo con zia Kizzie e Goon bambino, c’era la storia con Labrazio e tutto il background era molto definito. Hai iniziato a lavorare su questa base per poi sviluppare l'ambientazione o sei partito da un’ idea iniziale per poi ampliarla nel tempo?
Avevo qualche idea in mente quando ho iniziato, ma per la maggioranza tutto era ed è legato ai personaggi che ho creato. Si trattava solo di avere l'idea per una storia in modo da cacciarceli dentro. Un discorso tipo: “Ho questi personaggi e una storia con un inizio, una parte centrale e una fine”. Si tratta di avere un’idea su… Chinatown (dice indicando il volume di fronte a sé. ndr) e ci metto i miei personaggi dentro. Non è qualcosa per cui possa vederci una fine e probabilmente continuerò a fare storie differenti in questa maniera per, non so, fino a che rimarrò al mondo, spero.
Le tue storie pescano a piene mani da innumerevoli generi diversi, ma anche il tuo stile di disegno, pur essendo personale e riconoscibile, denota molte influenze dai grandi autori come Will Eisner, Jack Kirby o Gene Colan. A parte questi tre chi sono stai i tuoi maestri, quelli cui guardi quando disegni?
Bernie Wrightson ha avuto una grande influenza su di me quando ero piccolo, e tramite lui ho scoperto Wally Wood, Frank Frazetta, Jack Davis e tutti quei ragazzi che facevano parte dello staff dell’ E.C. Comics. Sono molti gli autori cui mi riferisco, quindi non è facile fare un nome piuttosto che un altro, ma direi che questi sono stati tra quelli che mi hanno dato di più, a parte ovviamente Eisner e i nomi da te citati.
Il tuo modo di disegnare varia lungo la serie. Ad esempio, per Chinatown hai adottato uno stile pittorico ed emozionale, ma diverso da altre storie come quella che s’ispirava a “A Christmas Carol” di Dickens. È come se ogni volta tu cambiassi qualcosa; come decidi la via da seguire? Ti siedi e ti dici: ”Ok, ora sperimento questo stile e vediamo che succede”?
Molto è dovuto al fatto che cerco di mantenere alto l’interesse nel lavoro che faccio. Mi piace sperimentare gli stili che mi hanno portato in questo medium e mi annoierei facendo sempre le stesse cose, giorno dopo giorno. E se io mi annoio, sono sicuro che si annoia anche il lettore. Sono un severo critico di me stesso, quindi cerco costantemente di fare meglio. Quando mi trovo ad affrontare una storia, tento di capire se cambiando un po’ la mia maniera di disegnare posso ottenere risultati migliori. Per il rifacimento di “A Christmas Carol”, ad esempio, ho tentato di riempire la storia con toni marrone slavato in modo da farla apparire come se fosse stata disegnata su carta antica, in modo da rendere credibile il fatto che stessi raccontando una storia alla Charles Dickens. Tutto viene dal fatto che deve piacermi e divertirmi quello che faccio, in modo da ottenere lo stesso risultato anche da chi mi legge.
Quindi se tu ti diverti allora sai che anche i lettori si divertiranno?
Lo spero.
Anche la caratterizzazione dei personaggi varia molto. Franky e gli Unholy Bastards, ad esempio, hanno gli occhi completamente diversi dagli altri personaggi. Perché?
Volevo che ricordassero l’animazione degli anni ’30 e ’40 dove c’era un mucchio di personaggi con gli occhi completamente neri. Volevo che, nel vedere alcuni miei personaggi, si pensasse a quell’animazione o a strip storiche come Bringing up father (Arcibaldo e Petronilla. ndr) o Little Orphan Annie.
Normalmente nelle altre serie, dopo un po’ che il lettore legge le storie, capisce le regole del gioco e può immaginarsi l'evolversi delle vicende; in The Goon questo non succede e cerchi sempre di stupire il lettore.
È una delle ragioni che mi ha fatto scegliere di adottare lo humor e tutte le cose di cui di cui ho parlato prima. Non voglio che il lettore sappia cosa lo aspetta quando prende un nuovo numero. Voglio che si chieda: “Sarà triste? Sarà divertente? Buffo?”. E non deve conoscere la risposta! Ripeto, tutto sta nel mantenere vivo il mio interesse in differenti tipi di storie; penso che l’inaspettato mantenga vivo anche l’interesse dei lettori.
Con il graphic novel Chinatown hai vinto due premi Eisner, e con The Goon hai vinto un totale di cinque Eisner Award. Com’è cambiata la tua vita dopo questi premi? Qual è quello di cui sei più fiero?
La tua vita non cambia poi molto. Non è come vincere un Oscar, dove l’attore può chiedere più soldi per quello che fa. Nei comics è più come: ”Hei, guarda cosa ho fatto!” e la gente ti risponde”Bravo, torna al lavoro e pensa al prossimo numero”.
Non ce n’è uno cui tengo di più specificatamente, anche se il primo che ho vinto ricopre una certa importanza per me sia perché, beh è stato il primo, sia perché me l’ha consegnato Eisner in persona. È stato nell’ultimo anno che ha presentato il premio, quindi riceverlo da lui nel suo ultimo anno, unito al fatto che è stato il mio primo Eisner, è stato molto importante per me.
Parliamo del film d’animazione di The Goon. L’anno scorso avete lanciato una ricerca fondi tramite Kickstarter e il teaser che abbiamo visto era molto buono. Quali sono i prossimi passi del progetto?
Ora stanno lavorando allo storyboard e non appena lo “story reel” sarà pronto – che è il motivo per cui abbiamo cercato fondi tramite kickstarter – andremo ancora in giro per trovare finanziatori. Siamo a questo punto, abbiamo assunto alcuni storyboarder e speriamo che il tutto si sblocchi.
Lo speriamo anche noi. Qual è il tuo coinvolgimento nel progetto? Sei una sorta di coordinatore o hai solo scritto la sceneggiatura? Si partirà da uno story-arc della serie o ci sarà qualcosa di completamente nuovo e pensato per il grande schermo?
Ho lavorato alla sceneggiatura perché non si poteva prendere troppo spunto dai singoli story-arc della serie, che erano legati a momenti differenti e numeri differenti. Abbiamo quindi preso un po’ di materiale, l’abbiamo combinato e ho scritto la sceneggiatura per il film basandomi su questo. Oltre alla sceneggiatura… beh, sono nel titolo e sono uno dei produttori, quindi la mia opinione conta, ma mi ascoltano molto, tengono in considerazioni le informazioni che gli do, non abbiamo mai litigato e mi sento molto coinvolto.
Quindi David Fincher ha una grande considerazione di quello che pensi nel processo creativo del film. Penso sia il sogno di ogni autore vedere la sua creatura trasposta in un film, ma vorrei sapere quali sono le voci dei personaggi che senti nella tua testa quando scrivi The Goon e se corrispondono a quelle scelte per il film.
Ammetto che nella mia testa avevo la mia personale interpretazione del “suono” dei vari personaggi, ma ora sento solo Clancy Brown (voce di Goon ndr) e Paul Giamatti (voce di Franky. ndr). Sono stati così bravi nel catturare la loro essenza, che ora sento le loro voci quando scrivo e disegno la serie.
Quindi loro sono LE voci…
Sì.
I personaggi di The Goon sono ottimi per essere trasposti in animazione, ma negli ultimi anni ci sono serie a fumetti atipiche che sono diventani serial televisivi di successo. Pensiamo a The Walking Dead che solo pochi anni fa sarebbe stato impensabile come serial. Pensi a The Goon come a un film singolo o una serie?
Stiamo solo pensando di fare di The Goon un film in animazione quindi non c’è possibilità di cambiare idea e farne un TV show.
Ma tu lo immagini come un singolo film o pensi sarebbe stato meglio farne un serial, visto i personaggi e le trame del fumetto.
Penso che tutto sia possibile. Può funzionare in molte maniere, ma ho supportato il film, quindi...
Ritornando al fumetto: hai detto che all’inizio le cose non andavano troppo bene per te, ma ora le major vengono da te e ti chiedono se vuoi scrivere e disegnare delle storie per loro, utilizzando i loro personaggi storici. C’è qualche personaggio che hai amato affrontare o con cui ti piacerebbe lavorare in futuro?
Beh, ce n’erano un mucchio che mi sarebbe piaciuto disegnare a inizio carriera, ma dopo aver iniziato The Goon, non ho più trovato lo stesso divertimento che trovo nel lavorare con la mia creatura. Sai, molte volte mi offrono un lavoro e mi piace farlo, ma sulla mia serie non devo rispondere a nessuno e faccio tutto quello che voglio. Quando mi assumono per lavorare a personaggi altrui mi sembra sempre di sforzarmi per far felice qualcun altro. È più facile per me fare il mio fumetto e fare tutto quello che voglio.
Una cosa che ho letto nel tuo blog, se non sbaglio nell’ultimo post che hai fatto a maggio dell’anno scorso prima della pubblicazione di The Goon #39 (in cui prendevi in giro il fumetto supereroi stico e le sue regole), è che qualcuno ti ha chiamato “venduto” solo perché hai fatto qualche lavoro per Marvel e Dc. Puoi spiegarci cos’è successo?
Penso tu ti riferisca al fatto che qualcuno ha detto qualcosa di negativo sul mio lavorare per le major. Beh, sono stato uno dei portavoce nel consigliare ai creatori di fumetti negli Stati Uniti di farsi i loro personaggi, perché troppo dei loro affari era già controllato da Marvel e Dc. L’industria dei fumetti supereroistici è attualmente troppo limitante e ho solo detto che, a un certo in passato, anche Spider-Man è stato un nuovo personaggio, così come lo fu Batman o Superman prima di lui.
Ho detto che dobbiamo prenderci l’opportunità di avere nuovi lettori, ma qualcuno mi ha criticato dicendomi: “Perché dici alla gente di creare i propri personaggi quando anche tu hai fatto un libro di Superman?” al che io ho risposto ”Ok è vero, ho fatto un volume di Superman, ma ho dodici di questi (dice indicando The Goon. ndr)." Quindi non è stata tanto una critica nei miei confronti; per quel che mi riguarda, è stato bello fare un volume di Superman, mi sono divertito ma questo è tutto.
Ne ho fatto uno e per me è più che abbastanza.
Parlando della creazione del tuo comic book, tu sei uno di quelli che l’ha fatto ed è diventato celebre. Dello stesso gruppo mi vengono in mente Jeff Smith con Bone, Terry Morre con Strangers in Paradise o Dave Sim con Cerebus. Per te è molto importante che ogni artista trovi la sua strada; il vero autore dovrebbe essere in grado di scrivere e disegnare per il proprio personaggio o non lo reputi assolutamente necessario?
Non necessariamente; qualcuno può anche non essere un buon sceneggiatore, e quindi mettersi in team con un altro che, magari, non sa disegnare bene e insieme creare un buon prodotto. Non penso che sia assolutamente necessario scrivere e disegnare interamente il proprio fumetto, ma aiuta molto se non devi dividere i soldi con qualcun altro.
È più facile fare questo lavoro per vivere se non devi dividere il ricavato con qualcun altro, ma non penso che qualcuno debba necessariamente fare tutto il lavoro da solo. Se lavori a commissione per una grande etichetta, per disegnare i personaggi creati da qualcun altro, va bene uguale. Qualsiasi cosa li renda felice va bene; solo che penso che più persone dovrebbero creare i propri personaggi, perché in questa maniera ne detieni il possesso completo e, se riesci ad avere successo, è solo tuo e non devi renderne conto a nessuno.
Questa è la prima volta che vieni in Italia. Qual è stata la reazione del pubblico italiano a te e cosa pensi di quello che hai visto alla convention cui hai partecipato, ai due panel che hai tenuto e ai posti che hai visto?
Sono stato in una convention a Milano (Cartoomics. ndr) e assomigliava molto alle convention americane. Non ho visto chissà quali differenze, c’erano gli stessi ragazzi in costume, fumetti, giocattoli etc. Non c’era tanta differenza ed è stato bello notarlo. Riguardo me e The Goon, beh, sembrava che i lettori fossero presi e sono felice, perché mi sembra che il pubblico abbia reagito bene alla mia presenza.
Quando creasti The Goon, ormai quindici anni fa, avresti mai immaginato che molte persone da paesi e stati differenti l’avrebbero letto? Qui abbiamo il tuo traduttore Diego Malara che dice che tradurti è abbastanza impegnativo, poiché usi molti idiomi differenti, qualcuno anche inventato, e alcuni termini sono molto legati alla cultura americana.
Sì, ci sono molte cose che sono veramente legate alla cultura degli Stai Uniti meridionali, quindi immagino che a volte possa essere difficile da tradurre. Non avrei mai immaginato che The Goon potesse avere questo successo, e non mi è mai passato in mente che sarebbe stato pubblicato in altri stati. Dà molta soddisfazione e mi spiace sia difficile da tradurre, ma sono contento che Diego sia qui e non mi odi.
Poco prima dell’intervista mi ha confessato che si diverte un mondo a tradurre The Goon.
Sono molto contento che sia qui e che stia curando l’edizione italiana così bene.
Penso che l’idea di divenire un autore di fumetti venga fin da piccolo. Devi amare questo lavoro fin dall’inizio. Se un nuovo autore, o qualcuno che vorrebbe diventare un nuovo autore, viene da te per chiederti qualche consiglio, cosa gli dici?
Gli dico di disegnare ogni giorno. La sola maniera per migliorare è lavorare duro, non c’è storia. Se vuoi diventare un disegnatore, devi disegnare ogni giorno e provare a migliorare ogni giorno di più. Questa è la sola cosa da fare. Ho visto un mucchio di ragazzini alle convention in America portarmi il loro portfolio e, dopo avergli dato i consigli che ho detto a te, me li sono visti tornare l’anno successivo con gli stessi identici disegni. In tutto quel tempo non avevano fatto nulla! Ripeto, disegnare ogni giorno è l’unica maniera, perché questo è un lavoro che devi fare e migliorare giorno, dopo giorno, dopo giorno.
L’ultima domanda è più sul tuo futuro. Già ci hai detto del grande story-arc cui stai lavorando, ma la domanda che voglio farti è: hai già pianificato una fine per The Goon?
Assolutamente no, non vedo una fine per la mia serie. Penso che quando sarò vecchio e dovrò morire (e spero di essere vecchio quando dovrò morire) mi metterò al tavolo da disegno per pensare a una maniera per far finire la storia di The Goon, ma nulla è pianificato per ora.
Eric, grazie mille per l’intervista da parte mia e di tutti i lettori di Comicus.
Grazie a te, è stato un piacere.