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Francesco Borgoglio

Francesco Borgoglio

New 52: Hawkman e Firestorm

  • Pubblicato in Focus

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The Savage Hawkman

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Tony DanielPhilip Tan è affidato il rilancio dell'Uomo Falco. The Savage Hawkman ci propone un Carter Hall in fuga dal passato e dalla sua seconda identità di supereroe, un inizio piuttosto inaspettato per questo albo, dove il protagonista giunge fino a rinnegare e bruciare il suo costume e la sua attrezzatura. Per ora non è dato saperne il motivo, anche se la trovata sembra orientata tutta ad introdurre il nuovo look e la nuova natura del personaggio. Il mitico metallo Nth, che da a Hawkman la forza e la capacità di volare, reagisce come uno spirito al rifiuto e avvolge in una fiamma l'ex-eroe.

Chiamato da un collega scienziato e archeologo per un analisi di un reperto singolare e straordinario, una specie di mummia aliena che si trasformerà in un minaccia spaventosa di nome Morphicius, Carter ritroverà dentro di sé lo spirito di Nth e, posseduto dalla sua energia, tornerà a vestire la corazza e le ali di Hawkman, ora generatasi dal suo stesso corpo, per affrontare l'abominio venuto dallo spazio; quasi una rivisitazione stile Iron Man infettato da extremis, che in quel caso aveva fuso Tony Stark biotecnologicamente e geneticamente con la sua armatura.

Niente di nuovo dunque, e a un restyling del personaggio molto accattivante graficamente non ne corrisponde uno altrettanto convincente dal punto di vista narrativo, anzi quasi un azzardo rispetto la passata continuity, assai confusa e a cui questo episodio non giova. La trama, d'altra parte, zoppica: il tormento interiore di Carter Hal non viene spiegato, accennato in alcun modo  e men che  meno approfondito lungo la vicenda. Chi regge l'albo e giustifica l'acquisto sono i disegni di Tan, il suo stile morbido e patinato cattura l'attenzione e fa dimenticare la scialba storia.
Accantoniamo la bocciatura, ma attendendiamo fiduciosi un secondo numero più equilibrato ed esauriente da parte dello scrittore, il Falco se lo merita.

The Fury of Firestorm: the Nuclear Men

Fury-of-Firestorm-1Ethan Van Sciver abbandona le matite (si spera momentaneamente, visto il suo straordinario presente e passato artistico) per dedicarsi alla sceneggiatura di questa serie voluta per il rilancio dell'”Uomo Nucleare”, The fury of Firestorm: the Nuclear Men. L'artista americano, ancora in erba nel ruolo di scrittore, è stato supportato dall'esperta Gail Simone, che ha curato anche i testi dell'albo e il risultato ottenuto per questo primo numero è stato convincente.

Si sta parlando di un personaggio assolutamente secondario del DC Universe, non facile da approcciare e da rendere godibile; tuttavia  le potenzialità ci sono, più che da parte del supereroe in sé dai risvolti che si possono sfruttare a partire dai due teenager protagonisti, Ronnie Raymond e Jason Rusch; il primo uno spavaldo giovane dalle grandi doti atletiche e da altrettanta poca propensione agli studi e il secondo un ragazzo di colore, antitetico a Ronnie, poco incline allo sport ma dalla cultura e dall'intelligenza non comuni.
Gli autori lo hanno capito. Hanno resettato il rapporto tra i due adolescenti così come lo si era conosciuto fino a Brightest Day, facendolo ripartire da capo e giocando subito sulle affinità e soprattutto sulle frizioni dovute a due caratteri così distanti.

Simone e Van Sciver hanno improntato un trama efficace, una cruda storia in stile spy-movie, incentrata su di una spietata squadra di professionisti guidati da una misteriosa donna vestita di porpora, senza scrupoli, lanciata alla ricerca di un'ultima misteriosa capsula nucleare, facente parte del cosiddetto “protocollo Firestorm” e  in grado di fornire poteri straordinari e terrificanti; l'autore di questa arma, capace di produrre trasmutazioni incredibili sugli umani e quindi sulla materia, è il professor Martin Stein (che insieme a Ronnie ha dato vita al primo Firestorm), morto in Brightest Day per mano della Lanterna Nera Deathstorm.

L'albo è sicuramente di buona fattura, impreziosito dal tratto esperto di Yildiray Cinar che regala tavole cariche di espressività, addirittura dirompenti quando Firestorm esplode in tutta la sua potenza devastante. 
Cos'altro aggiungere se non l'invito a prendere atto di un altro tassello azzeccato nell'ambizioso mosaico “The New 52!”.

Steve Jobs: la mela e il bastone

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Un lontanissimo giorno di un remotissimo passato un uomo, o forse meglio un animale più simile ad uno scimpanzé che a un uomo, raccolse un legno, un ramo di un albero e lo usò come un bastone, per difendersi e per attaccare. Quel giorno, un uomo per la prima volta interpretava ed elaborava la Natura, alterando il significato e la funzione di un suo elemento a proprio vantaggio, per rispondere a un suo bisogno. Era nata la tecnologia.
Da quel momento e per sempre, uomini speciali, singolari e geniali avrebbero raccolto quell'eredità e inventato strumenti e macchine meravigliose o terrificanti.
Un filo invisibile lega quel bastone a una mela, la mela di Apple, la mela di Steve Jobs, ancora un altro suo membro in cui l'umanità ha voluto esprimersi in tutto il suo vigore e la sua energia creativa.

Per questo motivo il mondo è triste e più povero, perché Steve Jobs non c'è più, sconfitto alla fine di una lotta estrema, interminabile, da un male che lo affliggeva da tempo e che non gli ha dato scampo.
Tutto il mondo lo ha ricordato e gli ha reso omaggio perché se ne andato un grande, in ogni senso, e diventa difficile, impossibile dire ancora qualcosa che non sia già stato detto. Libri, biografie autorizzate e meno lo raccontano da anni, editoriali, interviste ad amici e nemici, pezzi di archivio si susseguono da giorni su tutti i media. Eppure si continua a scrivere, per continuare a rendergli omaggio, tributargli riconoscenza e Cus non vuole isolarsi dal coro.

Si sono consumate metafore, paragoni d'ogni sorta e soprattutto iperboli, per descriverlo, fino a definirlo il “Cristo del Computer”, il messia della modernità e del futuro che si fa presente.
Ma Jobs era ben diverso dalla figura umile e amorevole di Gesù di Nazareth, o meglio era capace anche di grande dolcezza e sensibilità come e soprattutto di sfacciata arroganza, presunzione e cinica praticità.
Era un lavoratore instancabile, che pretendeva dai suoi collaboratori e dipendenti la sua stessa maniacale dedizione. Sapeva encomiare per un ottimo lavoro oppure umiliare per un'inezia. Non aveva sfumature il suo modo di essere, la perfezione o il nulla. Lo ha testimoniato tutta la vita, con trionfi e cadute rovinose, successi e sconfitte amarissime.
Perché oltre alla genialità, il fondatore della Apple ha conquistato tutti anche con la sua vita rocambolesca, a partire dall'adozione, la mancata laurea, la filosofia hippy, il primo laboratorio nel garage di casa, la prima società con l'altrettanto geniale Steve Wozniak e la nascita del primo personal computer alla fine degli anni '70. Da quel momento ancora grandi traguardi e fallimenti, il licenziamento dalla compagnia da lui fondata, la scommessa e l'ennesima intuizione geniale fatta  con l'acquisto della Pixar e l'inizio digitale e 3D dell'animazione, il ritorno alla Apple e i nuovi successi, fino ai nostri giorni.

Il suo carisma indiscutibile e il suo successo presso ogni tipo di pubblico, anche il meno avvezzo all'informatica e alla tecnologia, sono dovuti in gran misura proprio a questo, alla capacità di farsi dal nulla, di incarnare davvero il sogno americano, di sapersi rialzare sempre e di non darsi mai per finito.
La sua umanità era vera, carnale, fatta di elementi spigolosi, scomodi, a volte antipatici, da intelligenza impareggiabile e da un intuito quasi animale per il successo, uniti a una sensibilità sottile; Jobs era capace di licenziare un suo tecnico perché non gli era piaciuto il colore del nuovo prototipo al vaglio oppure di catturare e commuovere un platea per nulla facile come quella dell'indimenticabile discorso ai neo-laureati di Stanford del 2005.
Perché Jobs non era solo un uomo di scienza, era un artista, i suoi prodotti non potevano essere solo funzionali, efficienti, dovevano essere eleganti, seducenti.   
L'arte e la scienza, l'estro e la razionalità sono i due grandi principi antitetici e irriducibili tra cui l'uomo è sospeso e diviso, quando questi due poli si mescolano, scambiano, combinano, nasce il genio. E allora l'uomo non si accontenta di un bastone appuntito per colpire, il bastone diventa lancia affusolata, borchiata, intarsiata, in una ricerca di perfezione senza fine. Questo è stata la vita di Steve Jobs.

È stato capace di anticipare sempre i tempi, indovinare i gusti e i bisogni della gente, trasformare oggetti ovvi in straordinari, dare loro un nuovo scopo o ridefinirne completamente la funzione, ma senza venire mai meno allo stile,  al suo significato estetico e filosofico, creando sempre qualcosa di rivoluzionario. Indiscrezioni di questi giorni, per esempio, parlano di una futura sfida legata alla televisione per la Apple, lo sviluppo di un'idea di Jobs intorno a una TV che unisca tutte le qualità dei prodotti di Cupertino, Internet e le sue applicazioni di punta, ancora una volta un mezzo e una tecnologia mai visti prima, generati rielaborando l'essenza di altri strumenti e dando vita a qualcosa di completamento innovativo.

Proprio nel citato discorso di Stanford disse: “We can’t connect the dots looking forward, we can only connect them looking backwards” (“Non possiamo unire in puntini guardando avanti, possiamo solo farlo guardando indietro”). Non possiamo dunque prevedere, avere già un'idea degli sviluppi futuri di ciò che stiamo facendo nel presente, sapere a cosa porteranno i nostri propositi e le nostre scelte,  possiamo solo collegare quei punti voltandoci indietro, capire cioè cosa abbiamo realizzato solo molto tempo dopo aver portato a termine ciò che ci eravamo prefissati, ma è inevitabile farlo, scegliere liberamente e appassionarci in ciò che faremo; questa è la sfida e l'augurio per ogni uomo, perché chiunque voltandosi alla fine della sua corsa possa essere orgoglioso nel vedere e comprendere a pieno cosa sia riuscito a costruire e possa assistere goduto nel vedere altri usufruirne.

New 52: Lanterne a 4 dimensioni

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GreenLantern1Le gerarchie dell'Universo DC sono cambiate. C'è una nuova triade in vetta, come potenza di fuoco in termini di testate e indice di gradimento da parte del pubblico. Lanterna Verde spodesta Wonder Woman, ecco un dato sicuro che emerge dal mega evento “The New 52!”.
Alla serie ammiraglia Green Lantern e alla veterana Green Lantern Corps si aggiungono i nuovi spin-off di Blackets Night, Red Lanterns e Green Lantern New Guardians. Per arrivare a un tale numero di pubblicazioni tra serie dedicate al protagonista, comprimari e spin-off, Batman a parte, si devono scomodare niente di meno che l'Uomo d'Acciaio & family.
Non si corre il rischio di eresia dunque nel dichiarare che la nuova “Trinity” in termini di pagine e prodotte e lette è quella di Batman, Superman e Green Lantern, non ce ne voglia la Principessa Diana.
Così se Green Lantern ospita le gesta e le vicende della più famosa delle Lanterne Verdi, Hal Jordan, Green Lantern Corps ci racconta di Guy Gardner e John Stewart mentre Green Lantern New Guardians si concentra su Kyle Rayner, garantendo un'indiscutibile  par condicio a tutti i poliziotti smeraldo della Terra; la novità assoluta invece riguarda Red Lanterns dedicata ad Atrocitus e al suo corpo delle Lanterne Rosse, che alla volontà hanno preferito votarsi alla rabbia.

La pubblicazione destinata al corpo delle Lanterne Verdi è parso con Green Lantern, il prodotto più convincente. La trama è solida e spassosa oltre ad essere un soddisfacente numero uno per un nuovo lettore con in breve e chiara la spiegazione di cosa sia una Lanterna Verde. L'ingrediente principale è lo stesso usato in abbondanza da Geoff Johns nel #1 della serie ammiraglia: la quotidianità. Guy Gadner e John Stewart sono alle prese con ben altri problemi che minacce e mostri alieni; il primo annaspa e barcolla alla ricerca di un lavoro e il secondo si arrende nel tentativo di compiere al meglio il proprio, impotente davanti al cinismo e alla burocrazia.
Peter J. Tomasi alla penna si conferma una garanzia, come Fernando Pasarin alle matite.

Green Lantern New Guardians ha offerto lo spunto e la trovata più divertente. La storia non si è limitata infatti a reintrodurre il passato di Kyle Rayner, ma destinata ad ospitare tutti i rappresentanti dei corpi dello spettro emozionale, ci ha mostrato il suo protagonista accerchiato e accusato di furto da furibondi  rappresentati delle Lanterne Gialle, Viola, Rosso e Indaco, derubate dei propri anelli. Prova superata dunque anche per Tony Bedard e Tyler Kirkham.

Infine la testata più audace, Red Lanterns. È parsa da subito la sfida più grande. Il protagonista e le altre Lanterne Rosse hanno fatto breccia nelle simpatie dei lettori, tanto da conquistarsi una serie regolare, ma il soggetto è delicato e cimentoso. Atrocitus e i componenti del suo corpo sono essenzialmente tutti extraterrestri, caratterizzazioni molto immediate ma dallo spessore appena accennato e alieni e riottosi a quella linea guida orientata all'umanità e alla vita reale dei protagonisti che è emersa dalle altre tre testate del quartetto. Larfleeze o le Lanterne Blu forse, avrebbero fornito più complessità e soluzioni, ma Peter Milligan è un ottimo autore, riesce  comunque a proporre  un fumetto onesto, una storia fluida anche se povera di contenuti che vanno poco oltre il riassunto delle origini di Atrocitus ma che tentano di porre delle basi più solide per il futuro della serie, cercando spunti nella riesumazione di Krona, nel rapporto difficile tra il leader del corpo e i suoi membri e aprendo alla possibilità di una Lanterna Rossa terrestre. Impeccabili i disegni di Ed Benes, curati, plastici e assai accattivanti.

Il risultato finale della tetrade è certamente positivo. Gli autori in gioco sono di primissimo livello e lo dimostrano senza mezzi termini; tutte storie essenziali, certo, introduttive o riassuntive, ma con innesti e trovate convincenti per futuri sviluppi. Non sarà facile garantire uno standard qualitativo soddisfacente e continuo per addirittura quattro testate dedicate all'universo di Lanterna Verde, ma questo inizio e l'impegno che emerge dagli  albi vanno riconosciuti e incoraggiati.

New 52: La Superman Family

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Luci, soprattutto luci e qualche ombra sul nuovo quartetto di testate per la Superman family.
E partendo dalle luci, quelle più brillanti, veniamo subito agli artisti, di cui se ne parla sempre dopo, a fine commento sulla sceneggiatura; tutti nomi più o meno conosciuti che hanno espresso un lavoro egregio.
Se si dovesse fare un bilancio tra sceneggiatura e disegni per tutti e quattro gli albi, la parte grafica ne risulterebbe senza dubbio il punto di forza e di gradimento da parte di critica e pubblico. Eppure alle penne sono presenti nomi ancora più altisonanti e blasonati.

La serie ammiraglia, Superman è stata affidata a un certo George Pèrez, che se come primo risultato inseguito era quello di offrire un esordio non vincolato al recente rilancio di J. Michael Strackzynski, risalente a poco più di un anno fa, si può dire che l'autore abbia ottenuto ciò che si era prefissato. Tuttavia viene quasi da rimpiangere l'approccio di Strac, soft, pacato, terra-terra per fare il verso alla titolo della run, Grounded. Il grande artista e scrittore di origini portoricane preferisce un avvio deciso e dirompente ma dall'esito un po' sconclusionato.
Si rispolvera una vecchia conoscenza dell'Uomo d'Acciaio, Morgan Edge, e lo si ripropone candidamente in tutta la sua caratterizzazione pre-Crisis,  prima del reboot di Crisis on Infinite Earths, quale direttore generale delle Galaxy Comunications nonché come proprietario del Daily Planet. Le conseguenze sono la demolizione letterale del vecchio Planet  e la riconversione dello storico giornale di Metropolis in un ultramoderno contenitore multimediale.
Il nuovo status quo è sicuramente d'effetto ma viene sbattuto in faccia al lettore senza alcuna spiegazione o introduzione, risultando ostico ai fan di lungo e breve corso e, cosa ancor peggiore, privato di qualunque spunto o elemento che possa accendere e alimentare la curiosità e l'interesse nei confronti dei numeri a venire, non fosse per l'intrigante frizione e la conseguente rottura che si vengono a generare tra Lois Lane, promossa ai vertici del nuovo media, e Clark Kent, guardingo e sospettoso della nuova linea scandalistica del giornale e pronto a difendere la professionalità e la concretezza del defunto Daily Planet.
Una trovata interessante ma che inevitabilmente richiama alla memoria ciò che è già accaduto in The Amazing Spider-Man, nel dopo Brand New Day , al Daily Bugle con l'arrivo di Dexter Bennett.
La trama risulta inoltre raffazzonata e disarmonica nel tentativo di introdurre elementi squisitamente classici, in pieno stile Golden Age come il mostro di fuoco venuto dallo spazio e le inutili e stucchevoli didascalie che raccontano in terza persona le gesta del supereroe; le pagine sono piene zeppe di dialoghi a volte superflui e distolgono il lettore dalle tavole comunque apprezzabili di Jesus Merino. Superman, delle quattro testate è l'unica davvero a scricchiolare sonoramente e da un autore di questo calibro, da Pèrez, ci si aspetta e pretende qualcosa o meglio, molto di più.

La nuova Action Comics, che narra le avventure di un giovane Superman, vanta invece nel team creativo un altro mostro sacro quale Grant Morrison e i risultati sono qui diversi e positivi. Il Superman che appare in questo extra-size di 40 pagine è inusuale, originale, una rivisitazione post Watchmen del supereroe senza macchia e senza paura, un duro e puro, senza mezzi termini o compromessi, difensore della giustizia ai confini della legge, se non un Dark Knight, certo un “Bright Knight”.
Lois Lane e Jimmy Olsen sono ricollocati in ruoli diversi e divisi anche dal lavoro, impiegati infatti su una testata giornalistica rivale a quella di Clark Kent.
Lex Luthor è ancora sempre il suo arcinemico, sottile macchinatore. Morrison ci offre un supereroe che difende i deboli e gli ultimi ma che pure utilizza metodi al confine con la sua etica e i suoi principi più radicali, tanto da essere inseguito e braccato dalla polizia. Il suo alter-ego sembra invece un timido e impacciato ragazzo di provincia, assai diverso da quando indossa la calzamaglia e il mantello, due personalità volutamente marcate e distanti che ridanno vigore e linfa vitale alla miglior tradizione dell'Uomo d'Acciaio.
Ottimi come si è già accennato all'inizio, i disegni di Rags Moraled e Rick Bryant.
Non sono presente legami con la continuity della testata ammiraglia ma, visto il risultato incerto di Pèrez sembra meglio così; Morrison sta elaborando qualcosa (di buono) alle spalle di noi lettori e lo stesso fa con  il suo “quasi sosia” Lex Luthor nel fumetto.

Le serie teenager del gruppo sono apparse nel complesso interessanti ma con una riserva, andare al sodo e offrire storie più sostanziose in futuro. Di sicuro hanno presentato le tavole più pregiate ed estrose.
Supergirl in mano a Mike Johnson e Michael Green per i disegni di Mahmud Asrar, ci è sembrata la più convincente.
Impossibile innanzitutto restare indifferenti al nuovo look della protagonista, in cui è sparito il gonnellino per lasciare una, tutt'altro che innocente, sgambata mutandina e sono apparsi due sgargianti stivali. La storia è d'altra parte scorrevolissima, con brevissimi dialoghi e didascalie, tutta azione dopo l'introduzione riflessiva di Kara, scaraventata sulla Terra,  in una Siberia travolta da una bufera d neve, in cui la protagonista non riesce  a comprendere se sia un sogno o realtà, se sia il suo pianeta natale Krypton o chissà quale  altro luogo. Il secondo numero dovrà offrirci dopo l'azione pura una storia più corposa e articolata, ma questo primo numero lascia presagire un felice proseguimento.

Anche con Superboy si riparte da zero. Scott Lobdell non rinnega  la nuova caratterizzazione del personaggio introdotta nei primi anni '90 fornendone sia per il neofita che per l'esperto lettore un refresh convincente. 
La vicenda è tutto giocata sulla presunta umanità e pericolosità del clone costruito con DNA kryptoniano e umano (da donatori sconosciuti, almeno fino ad ora), sullo scontro tra i due scienziati di N.O.W.H.E.R.E., tra chi lo considera una semplice macchina, e chi come la giovane Red un essere vivente a tutti gli effetti. Questo novello Astroboy pare all'inizio un esperimento sbagliato e per questo da terminare, ma la reazione imprevista del protagonista schiude la via a nuovi test e speranze. Il feeling del lettore verso Red è automatico e quasi  questo personaggio pare rubare la scena a Superboy. I disegni di R.B. Silva sono patinati, dalla cura maniacale, dal tratto personale, sottile e moderno.

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